Il no di Tirana

Dopo una giornata difficile, il governo albanese rifiuta di stoccare le armi chimiche siriane

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/DSC0165aida.jpg[/author_image] [author_info]Aida Iris Biceri, nata oltre adriatico, viene trascinata in Italia all’età di 12 anni dalla sua famiglia grazie a false promesse di breve permanenza. Assidua frequentatrice di biblioteche universitarie, si impegna volenterosamente a diventare eclettica realizzando che i binari certi degli studi economici sono troppo poco per lei. Abbraccia comunque con zelo e passione le strade della ricerca di marketing, della patient satisfaction in presidi ospedalieri e cliniche private, e approda addirittura a un ambito lavoro in banca. Sente da qualche parte che il futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei propri sogni e si fa trasportare dal proprio inconscio che sceglie la fotografia come principale forma d’espressione. Consapevole che tutto scorre, niente sta fermo. Ad oggi il suo percorso fotografico la porta a concentrarsi sulla fotografia documentaria e di ritratto, con un interesse più profondo sulle storie di sottoculture, realtà non convenzionali e sul concetto di identità di sé.[/author_info] [/author]

Venerdì 15 novembre. Il Governo albanese rifiuta la proposta di Washington di smaltimento delle armi chimiche siriane nel proprio territorio. Il popolo albanese esulta a tale rifiuto e pare chiaro che è stato un giorno di vittoria per la società civile in Albania.

Il governo albanese aveva recentemente confermato le voci che avevano iniziato a circolare lo scorso mese sul fatto che l’Albania fosse tra le nazioni candidate a ospitare lo smaltimento delle armi chimiche che si trovano in Siria.

Completato il censimento di armi chimiche e gas in territorio siriano, l’OPAC – Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche – si è impegnata a trovare un paese disponibile ad accettare sul proprio territorio gli arsenali e procedere alla distruzione di questi. La guerra in atto in Siria impedisce la distruzione in loco delle armi di massa in adeguate condizioni di sicurezza.

Washington chiede all’Albania di occuparsene anche grazie al fatto che il Paese è stato il primo nella storia a completare pienamente il processo di disarmo chimico distruggendo il proprio arsenale prodotto durante il regime comunista. Questa operazione, legata all’adesione albanese alla NATO, ha richiesto allora il supporto da parte degli Stati Uniti sia nella supervisione che in interventi finanziari. La richiesta di Washington viene confermata dal ministro degli Affari Esteri albanese, in visita a Parigi il 6 di novembre, al giornale Le Monde.

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Nel frattempo il Governo di Tirana temporeggia. Edi Rama, il Primo Ministro eletto il 23 giugno con forti speranze da un elettorato stanco di 20 anni di poca trasparenza del precedente governo, prende da subito decisioni importanti come l’annullamento della contestata legge sull’importazione dei rifiuti. Rama, infatti, a metà settembre dichiara che l’Albania non rischierà più di diventare la pattumiera dell’Europa. Accettare la proposta degli USA significherebbe un’impopolare decisione e una delusione soprattutto della gioventù albanese, parte sociale questa che ha fortemente sostenuto Rama nella sua campagna elettorale e nel suo programma politico.

AKIP, l’alleanza contro l’importazione dei rifiuti costituita da associazioni ambientaliste e nata per contrastare la legge voluta da Sali Berisha, ex Primo Ministro, che permetteva l’ingresso nel Paese di rifiuti di diversi paesi europei, esprime sin da subito la sua contrarietà all’iniziativa. I portavoce dell’organizzazione dichiarano che gli ambientalisti si opporranno fortemente all’eventuale trasferimento delle armi chimiche siriane in Albania.

Nascono così  a catena manifestazioni di protesta della società civile organizzate sia in territorio albanese che in altre zone d’Europa e del mondo dove risiedono le comunità albanesi. Le folle ricordano soprattutto il precedente del 15 marzo 2008 di Gerdec, villaggio situato tra Durazzo e Tirana, quando una forte esplosione scuote le due città e una nube nera copre i loro cieli. Era avvenuto un errore durante il disinnesco di una bomba che causò una serie di esplosioni a catena con fatali conseguenze: 26 morti, 300 feriti, 315 case rase al suolo, 4000 persone evacuate.

Questa contro la distruzione dell’arsenale siriano è una delle prime libere manifestazioni della società civile in Albania. In un certo senso questa è una vittoria anche di Rama che ha formato una mentalità di reale democrazia. Non si è trattato, infatti, di proteste contro il Governo quanto del diritto di un popolo di poter dichiarare il proprio dissenso in libertà. Un altro precedente da ricordare è quello del 21 gennaio 2011 quando la Guardia nazionale albanese sparò su una manifestazione contro il governo Berisha; furono 4 i morti.

La strumentalizzazione politica è dietro l’angolo. L’ex premier Berisha, dimesso dopo le ultime elezioni politiche, e l’attuale sindaco di Tirana Lulzim Basha hanno tentato di unirsi alle proteste, ma sono stati allontanati dai manifestanti. Diversi rappresentanti della società civile dichiarano che la mobilitazione chiede soltanto il rifiuto del Governo alla proposta di Washington. La mobilitazione pacifica indica anche una fiducia in Rama; non ci sono stati forti attacchi da parte della folla perché l’intenzione era quella di dare al Primo Ministro la chance di mantenere le promesse elettorali e perché media ed elettorato hanno tenuto conto delle pressioni che potevano provenire dagli Stati Uniti, forte alleato dell’Albania sin dai suoi primi passi verso la democrazia.

Venerdì 15 alle 17.00 il Primo Ministro albanese ha dichiarato pubblicamente il rifiuto dell’Albania  alla proposta degli Stati Uniti manifestando convinzione in merito all’incapacità del Paese di farsi carico dello smaltimento di circa mille tonnellate di armi chimiche siriane.

Nonostante i vantaggi che avremmo avuto da questo accordo, l’Albania oggi non può dire di sì” ha concluso Edi Rama.



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