Idfa, una grande festa per il festival del documentario internazionale ad Amsterdam. Siamo al secondo giorno le porte dei cinema sono già affollate dalle nove del mattino. Iniziamo a raccontarvi i film che nabbiamo visto per voi.
da Amsterdam, Angelo Miotto
Lui è Donald Rumsfeld, il segretario di stato sotto George W.Bush che inventò un vero e proprio vocabolario per giustificare una lunga teoria di orrori, dalla guerra in Iraq, passando per Afghanistan e l’articolato complesso di torture e scandali che hanno sconvolto l’America stessa. Il regista è Errol Morris, che crea questo film documentario dopo quattro sedute per 33 ore di intervista all’ex segretario di stato Usa. Il titolo: The Unkown Known. Suona a metalinguaggio e infatti negli oltre cento miunuti del film si scoprono alcune caratteristiche di Donald Rumsfeld probabilmente sconosciute ai più.
La prima: Donald Rumsfeld è bravo a guardare in camera come uno dei più navigati attori di Hollywood. Spigliato, sorride, ride, è severo, si commuove. Mai un tentennamento, qualche momento di riflessione a volte per cercare la parola corretta. La seconda: i suoi pensieri, i giudizi e i ricordi sono netti, tagliati con precisione, e il linguaggio rivela uno studio delle parole che è stato strumento per coniare delle definizioni che passeranno, ahimé, alla storia. Dai detenuti di Guantanamo, che riesce a sottrarre alle Convenzioni di Ginevra, fino alla guerra globale al terrore, che è cosa rimasta nelle dichiarazioni contemporanee.
Il documentario è avvincente: Rumsfeld risponde alle domande del regista, motiva e spiega in un viaggio che ci porta dall’Iraq fino agli esordi del giovane Rumsfeld, segretario di stato già con il presidente Ford e in una galoppata sotto tutti i potenti presidenti degli Stati Uniti, con foto di repertorio, citazione di articoli. Morris, il regista, costruisce intorno a questa intervista un apparato visivo potente, con immagini simboliche, con grafiche eccellenti, sottolineando le parole attraverso la riproposizione di decine di docunenti, dei memo dello stesso Rumsfeld, ormai declassificati e traccando in grafica un piccolo vocabolario dei termini più controversi, che ci appaiono in sovraimpressione come singole voci appena estratte dal dizionario.
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La musica, eccellente, è di Danny Elfmann. Così coinvolgente che a volte ‘disturba’, perché l’orecchio viene rapito dalle note e si distrae, se pur per un infinitesimo, dal flusso di parole, che non si ferma mai.
Alla fine è necessario uno sforzo di realismo per evitare che quel volto dai lienamenti marcati, dai capelli grigio argento e dall’eleganza impeccabile non appaia non diciamo simpatico, difficile, ma umano. Ma, forse, anche in questo sta la bellezza di questo documentario, perché anche quelli che per una presunta ragion di stato, e molte implicazioni di finanza e industria delle armi, sono persone e sentirle parlare dice più di molte analisi.
Sala piena a due passi del Rokin di Amsterdam, pubblico olandese e internazionale, mentre si corre per prenotare la visione di molti film che sono finiti già sold out.
Fatevi un’idea della ricchezza del festival, qui.
Adesso vado a vedere #Chicago Girl. Ve lo racconto al prossimo post.