Ultimo fine settimana di apertura per la Biennale di Venezia, che quest’anno presenta molte opere realizzate al di fuori del tradizionale sistema dell’arte. Un piccolo percorso di visita tra bestiari fantastici, ossessioni e racconti di guerra.
Giulia Bondi, nata nel 1976, dopo la laurea in Economia si dedica alla “lotta alla sfiga” raccontando storie dall’Italia e dal mondo. Come giornalista e videomaker ha pubblicato su Galatea, E il mensile di Emergency, Popoli, Liberetà, Terre di Mezzo, Internazionale.it, l’Espresso. Il suo blog è Gnomade
Levi Fisher Ames, veterano della guerra civile americana, scolpisce nel legno di tiglio decine di animali, veri e immaginari, per poi guadagnarsi da vivere portandoli in giro per gli States, raccontandone le storie in una sorta di circo viaggiante. Peter Fritz, assicuratore austriaco, realizza 387 modellini di case, motel, pompe di benzina, negozi, ritrovati nel 1993 dall’artista Oliver Croy in un negozio di cianfrusaglie. Anna Zemankova, odontotecnica nella Moravia del primo Novecento (oggi Repubblica Ceca), inizia a dipingere in tarda età, quando uno dei quattro figli le regala una scatola di colori a olio nel tentativo di alleviare la sua depressione.
Rossella Biscotti, artista pugliese, realizza la sua installazione (una serie di parallelepipedi in compost) al termine di alcuni mesi di laboratorio nel carcere femminile della Giudecca, dove coinvolge le detenute in un esperimento di narrazione reciproca dei propri sogni. Eva Kotaktova crea la sua opera “Asylum” in collaborazione con i pazienti dell’ospedale psichiatrico di Bohnice, non lontano da Praga.
È una Biennale in cui emerge la potenza visionaria delle storie quella che si conclude a Venezia domenica 24 novembre. Tra le opere in mostra, molte sono figlie di un’ossessione (le bambole iperrealiste dell’americano Morton Bartlett), di una ricerca spirituale e religiosa (i dipinti tantrici di autori anonimi o i quadri-doni devozionali realizzati dalla setta protestante degli Shaker) o anche di formule matematiche (gli esperimenti grafici in 8 colori di Channa Horwitz). E non sempre gli artisti che le hanno realizzate si sono integrati in quel sistema o mercato dell’arte internazionale che passa attraverso gallerie, valutazioni, coefficienti, aste e musei.
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Nome e tema della mostra vengono a loro volta da una visione. Nel 1955, Marino Auriti deposita all’ufficio brevetti statunitense il progetto di un “Palazzo Enciclopedico”, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità: un edificio di 136 piani che avrebbe dovuto occupare più di 16 isolati della città di Washington, il cui modellino apre il percorso espositivo negli spazi dell’Arsenale.
La collettiva si ispira al sogno di “una conoscenza universale e totalizzante”, concentrandosi “in particolare sulle funzioni dell’immaginazione e sul dominio dell’immaginario”, spiega il curatore Massimiliano Gioni. Ma il filo conduttore delle storie, sottratte all’oblio e rese vive da chi le osserva, si rintraccia anche nei padiglioni nazionali.
La Santa Sede, presente alla Biennale per la prima volta nella storia, con un padiglione tripartito, affida allo Studio Azzurro il tema della “creazione”: la parola crea il mondo, ma solo se lo spettatore si mette in ascolto, trattenendo con la mano, abbastanza a lungo, i misteriosi personaggi che si muovono in secondo piano su tre enormi schermi interattivi.
Per il padiglione tedesco, Ai Wewei riscopre il tradizionale sgabello in legno, una volta presente in ogni famiglia cinese, e lo ricompone in uno spettacolare labirinto aereo. Nello spazio delle Bahamas, “Polar Eclypse”, chi si aspetta palme e atmosfere tropicali rimane spiazzato dalla scelta dell’artista Tavares Strachan, che dedica installazioni e video all’esplorazione antartica del 1909 di Robert Peary e Matthew Alexander Henson.
Akram Zaatari, per il Libano, scrive una commovente “Letter to a refusing pilot”: un film e una video installazione dedicati ad Hagai Tamir, pilota israeliano che nel 1982 disobbedì all’ordine di bombardare la scuola elementare di Saida, diretta per vent’anni dal padre dell’artista. Rintracciato da Zaatari, dopo avere mantenuto per anni il segreto sulla propria “obiezione di coscienza”, Tamir spiega semplicemente: “Studiavo architettura, perciò ero in grado di distinguere una scuola o un ospedale anche dall’alto”.
I 25 euro del biglietto consentono un ingresso ai Giardini e uno all’Arsenale, anche in giorni non consecutivi, mentre sono gratuite le numerose mostre collaterali organizzate in diversi spazi e palazzi della città. Per una visita virtuale in rete ci sono video e siti dei diversi padiglioni nazionali, o lo speciale Biennale Amore Mio curato dal collettivo milanese Undo.net. Gratis anche il padiglione del Portogallo ideato da Joana Vasconcelos: un battello decorato di azulejos, ormeggiato davanti all’ingresso dei Giardini, in partenza ogni giorno, a orari stabiliti, per mini-crociere verso Punta della Dogana, accompagnate dal ritmo nostalgico del fado portoghese.