Quel giorno a Dallas

Una tesi ufficiale, quella della commissione Warren. Una rivisitazione del 2011 che la conferma grazie all’uso di nuove tecnologie. L’ipotesi più famosa di complotto, ripresa da Oliver Stone nel 1991. Tre modi diversi di vedere i dieci secondi più lunghi della storia.

Nel novembre del 1963 il presidente Kennedy arriva al termine del tour nazionale attraverso nove stati per la preparazione della campagna elettorale in vista delle presidenziali dell’anno successivo. Novembre è il turno della Florida. Novembre è il turno del Texas. JFK vi si reca per ottenere dai ricchi finanziatori locali fondi per il programma spaziale e la campagna per la rielezione, recuperare i voti del Sud persi dopo l’appoggio ai diritti dei neri, e cercare di ricucire lo strappo dentro il partito democratico texano fra il governatore John Connally, conservatore amico di Johnson, e il senatore liberal Ralph Yarborough. Il 22 novembre l’Air Force One partito dalla base aerea di Andrews atterra nell’ordine a San Antonio, Houston e Fort Worth. Poi è il turno di Dallas.
L’aereo presidenziale arriva all’aeroporto Love Field alle 11.30. A bordo ci sono il presidente e la first lady, il vicepresidente Johnson e la moglie, il governatore del Texas, Connally e la moglie Nellie. Alle 12.30 Kennedy è atteso per un discorso al Trade Mark.

Le fasi iniziali della visita di JFK a Dallas sono, ad oggi, l’unica cosa veramente chiara di quel tragico 22 novembre. È accertato che subito dopo l’atterraggio i Kennedy si intrattengono con un gruppo di ammiratori. Alcuni stringono cartelli di benvenuto, altri cercano le mani di Jack. Jackie riceve un mazzo di rose. Sono le 11.40. Cinque minuti dopo la Lincoln Continental presidenziale lascia l’aeroporto. A bordo ci sono i Kennedy, i Connally e l’autista Bill Greer, agente dei servizi segreti. L’autovettura del presidente è preceduta da una Ford bianca e seguita da una Cadillac Halfback decappottabile con a bordo gli uomini della scorta e una Lincoln 1963 blindata. L’unica sosta tra il Love Fied e Dealey Plaza viene effettuata, su ordine di Kennedy, alle 11.50. All’incrocio fra Lemmon Ave e Lomo Alto Drive la Lincoln si ferma per permettere a JFK di salutare un gruppo di bambini.

Alle 12.25 il corteo presidenziale entra fra due ali di folla nel centro di Dallas: prima Ervay street, poi Main street. Stop. Fin qui tutte le versioni sono identiche e inoppugnabili. Le diverse teorie, gli studi, le ricostruzioni, le tesi complottiste e quelle ufficiali si focalizzano nel minuto successivo che va dal momento in cui le moto della polizia in testa al corteo girano da Houston Street fino al colpo che squarcia la testa di Kennedy.
Sono le 12.29 quando i centauri della polizia di Dallas lasciano Main street girando a destra su Houston Street e poi a sinistra per imboccare Elm street da Est. Alle 12.30 si sente uno scoppio che fa girare alcuni presenti fra la folla. Si pensa a un petardo, a un fuoco pirotecnico. Dopo otto secondi uno sparo colpisce il presidente che si porta le mani alla gola, due secondi dopo il colpo che uccide Kennedy frantumandogli il cranio.

 

[sz-youtube url=”http://www.youtube.com/watch?v=1q91RZko5Gw” /]

 

LA VERSIONE DI WARREN

Torniamo alla svolta su Elm Street secondo le conclusioni della Commissione Warren. In base alla ricostruzione del pool guidato dal presidente della Corte Suprema, Earl Warren, gli spari che accompagnarono il corteo su Elm Street sono stati tre e tutti provenienti dal sesto piano del Texas School Depository Book, dove lavorava Lee Harvey Oswald, ad oggi l’unica persona accusata dell’omicidio. Le diciottomila pagine del rapporto Warren, alcune delle quali ancora coperte da segreto di Stato, non specificano, però, la tempistica e la traiettoria del primo colpo. La ricostruzione del team è basata su una serie di testimonianze e sul filmato principe dell’attentato Kennedy: quello girato in 8mm dal sarto di Dallas, Abraham Zapruder. Nel video di Zapruder si può vedere solo l’effetto degli ultimi due proiettili, quello che colpisce Kennedy da dietro nella parte alta della schiena e che, uscendo dal collo, ferisce Connally in cinque punti diversi; e quello mortale. La tesi della commissione sul secondo proiettile suppone che dal foro d’uscita nel collo di Kennedy la pallottola sia entrata nella scapola destra di Connally, per poi uscire dal petto attraversare il polso sinistro e conficcarsi nella coscia destra. Sulla più che strana traiettoria è fondata la cosiddetta “teoria della pallottola magica”. Il terzo sparo, il più cruento, reso pubblico dalla rivista Life proprietaria dei diritti del filmato Zapruder solo negli anni Settanta, è quello mortale che fa saltare letteralmente la testa del presidente. La commissione Warren ha stabilito che sia stato esploso dai 4,8 ai 5,6 secondi dopo il secondo.

Il colpevole: per la squadra di Warren non ci sarebbero dubbi. Oswald, un soggetto pericoloso con un passato in Unione Sovietica e Cuba, avrebbe agito da solo e senza un reale movente.

url

 

LA VERSIONE DI HOLLAND

Nel 2011 il giornalista e regista Max Holland gira per National Geographic un documentario, dal titolo JFK The lost bullet, che in cinquanta minuti ricostruisce l’omicidio Kennedy alla luce del restauro in alta definizione di tutti i filmati amatoriali girati quel giorno a Dallas. Oltre la prospettiva dominante dell’obiettivo di Zapruder, Holland prende in considerazione i video girati da Mark Bell e Orville Nix che durante il passaggio del corteo in Elm Street si trovavano nella posizione opposta rispetto a quella di Zapruder. Una posizione ideale per filmare il luogo cardine per tutte le teorie complottiste sull’omicidio: la Grassy Knoll, ovvero il terrapieno dal quale, secondo coloro che contestano le conclusioni di Warren, si sarebbero trovati gli altri attentatori. Il recupero dei filmati ha permesso a Holland di escludere che quell’angolo della Dealey Plaza fosse occupato da cecchini o personaggi sospetti. In realtà, racconta il giornalista, nella Grassy Knoll non c’era nessuno; in più, dopo gli spari la gente scappò proprio in quella direzione. Quello che fa Holland è una ricostruzione perfetta degli eventi, con tanto di attori, strumenti di precisione, e misurazioni per riproporre al meglio il tragitto della vettura di Kennedy. Dopo l’audizione di alcuni testimoni e il posizionamento al sesto piano di un cecchino dei marines con un fucile Mannlicher-Carcano uguale a quello di Oswald, il giornalista dimostra, con l’aiuto di un esperto di balistica, che la traiettoria del proiettile magico era del tutto compatibile con la ricostruzione del team Warren. Infine va oltre, cercando traccia della pallottola perduta. Dopo aver riprodotto alla perfezione la stanza da dove sparò Oswald e esaminato altri tre filmati restaurati, il giornalista suppone che il proiettile mancante sarebbe stato deviato dal semaforo all’inizio di Elm Street andando poi a colpire un muretto di Dealey Plaza i cui frammenti avrebbero poi raggiunto James Tague, l’unico ferito al di fuori della Lincoln. Infine, considerando che il filmato di Zapruder non riprende l’intera sequenza degli eventi, ma viene interrotto subito dopo l’entrata delle moto in Elm e riparte con l’ingresso della Lincoln, Holland giunge alla conclusione che il tempo che intercorre tra il primo sparo e il terzo non sia compreso tra i 6 e i 9 secondi, ma che arrivi fino a 11 e che quindi il tiratore possa ragionevolmente essere stato solo uno, e che la preparazione militare di Oswald fosse compatibile con la velocità dell’esecuzione.

Il colpevole: Holland sposa le conclusioni della Commissione Warren. Furono sparati tre colpi e tutti da Oswald, senza aggiungere particolari sul movente.

FIG01_122111

 

LA VERSIONE DI STONE

Nel 1991 il film di Oliver Stone, JFK – Un caso ancora aperto, ha ripreso le tesi del procuratore distrettuale di New Orleans, Jim Garrison, e del giornalista Jim Marrs. Nella pellicola, che ha attirato dopo trent’anni l’attenzione degli americani sull’omicidio più famoso della storia, Stone smonta una per una quelle che furono le conclusioni di Warren. Attraverso un cast stellare capeggiato da Kevin Costner, Stone ricostruisce quei giorni e formula le sue ipotesi. La prima e più suggestiva domanda è: perché un cecchino appostato al sesto piano del Texas School Depository Book avrebbe dovuto sparare a un bersaglio in movimento da dietro aspettando che arrivasse su Elm Street e non di fronte mentre transitava da Houston Street? La risposta che offre è che il deposito di libri fosse solo una postazione di tiro all’interno di un triangolo di fuoco, di un’imboscata, che coinvolgeva anche un gruppo armato appostato sulla Grassy Knoll. Oswald avrebbe potuto non agire da solo, secondo Stone, ma essere parte di un complotto, o meglio di un Colpo di Stato, che coinvolse i più alti gradi dell’esercito, la mafia, i dissidenti cubani e finanche il vicepresidente Johnson. Lo spiega ripercorrendo i giorni, riesaminando i fatti e smontando teorie come quella, ovviamente, della pallottola magica. Impossibile per il procuratore Garrison che un proiettile che esce da un corpo possa entrare in un altro e ferirlo a zig zag in ben cinque punti differenti. C’era più di un fucile. Sono stati sparati più di tre colpi da almeno due posizioni differenti. Valga per dimostrazione il movimento della testa del presidente dopo il terzo colpo ufficiale, il quinto nella versione di Stone. Dal filmato di Zapruder si nota che l’impatto del proiettile spinge il capo di Kennedy verso dietro e verso sinistra: la traiettoria naturale se il colpo fosse partito dalla Grassy Knoll.

Il colpevole: c’è un po’ di tutto nell’ipotesi ripresa da Stone. In particolare un movente chiaro: la titubanza di JFK a proseguire il conflitto in Vietnam. Non si sa se la direttiva presidenziale, trasmessa al mister X del film (Donald Sutherland), di lasciare il Sudest asiatico entro il 1965, fosse o meno reale. Lo era certamente nelle intenzioni del presidente, che non aveva mai fatto mistero dell’intenzione di lasciare progressivamente il Delta del Mekong. Questa decisione avrebbe compromesso le logiche di un’economia di guerra e interessi privati per circa 80 miliardi di dollari. Il fatto che Stone sia un reduce della guerra sporca suggerisce che, forse, sia stato affascinato da questa interpretazione. O forse il suo ragionamento trova corrispondenza nella realtà: un omicidio come quello di un presidente non può essere stato solo opera di un folle, di una scheggia impazzita, ma ha necessariamente dovuto coinvolgere pezzi pregiati dell’intelligence statunitensi. Dall’approssimazione delle misure di sicurezza fino alla mancanza di cecchini sui palazzi, tutto, suggerisce Stone, farebbe pensare il coinvolgimento di più soggetti. Alti gradi militari, mafia e dissidenti cubani scontenti dopo il fallimento nella Baia dei Porci.

JFK

 

 

 



Lascia un commento