Una storia di difesa del territorio che viene giocata dal regista Lech Kowalski a cavallo fra la Pensilvanya e la Polonia. Nemico comune lo shale gas, o gas fracking.
da Amsterdam, Angelo Miotto
La parlata americana stretta e della provincia degli agricoltori della Pensilvanya si alterna a quella dei contadini polacchi. In questo documentario le riprese che non sono sempre curate nei minimi dettagli sono uno degli elementi chiave che ci avvicina alle conversazioni che vengono riprese in un lasso di tempo lungo e che riguardano i pericoli e gli effetti nefasti dello shale gas. Si pompa acqua e coimponenti chimici, e radioattivi, per far uscire dalle viscere della terra gas, per cercare di combattere sul mercato del petrolio.
Sul banco degli imputati c’è Chevron. Una madre americana piange i suoi figli, portati via da una malattia cher collega all’inquinamento dell’acqua, poco distante troneggia il traliccio metallico dell’impianto di estrazione. Dopo alcune interviste nello stato americano si passa in un villaggio polacco, con una bella botiglia di vodka che troneggi su un tavolo da cucina. Si discute di Chevron e del fatto che il villaggio, e molti altri paesini della zona, non vogliono le installazioni che porteranno problemi di salute e di territorio.
Un tema quanto mai attuale, quello di una comunità che si ribella e che dice di no a un’opera che viene considerata da chi ricava il profitto un segno di progresso verso l’autonomia energetica. Vedere il documentario srotolarsi man mano e pensare alla Valsusa, per un italiano, è un meccanismo automatico, ma soprattutto conferma che la battaglia per il territorio è una delle cause che amalgamo le diverse presenze che formano una comuità. Il sindaco del villaggio polacco e il comitato contro lo shale gas incontreranno i goverantori e le autorità pubbliche gerarchicamente superiori: non ci avete consultato, dice. E il ritornello suona alle nostre orecchie.
La protesta unisce e separa, alcuni contadini si astengono dal giudicare, altri hanno già firmato le licenze alla multinazionale, ma i ribelli sono motivati e piantano un cartello grande sul campo che dovrebbe ospitare l’impianto: ieri Tchernobyl, oggi Chevron.
Alla fine, dalla lotta polacca si torna in Pensilvanya, dove invece il fuoco soffia e brucia in cima alla ciminiera. Come se si volesse dire che l’unione, in Polonia, fa la forza. Ma forse è solo un pregiudizio.
I dialoghi dei contadini polacchi, le parole usate dai rappresentanti polacchi di Chevron, le storie degli agricoltori statunitensi sono riprese on maniera così diretta e senza filtri che pare di essere in mezzo a loro e tengono lo spettatore quasi in ansia sul finale della storia.
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Il prossimo film è su un americano che va a imparare dai nordcoreani a fare un film di propaganda. Quantunque anche negli States…
Vi farò sapere.