In Bosnia Erzegovina, in una miniera abbandonata nei pressi di Prijedor, scoperta la più grande fossa comune della guerra degli anni Novanta
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-15-alle-20.39.17.png[/author_image] [author_info]di Francesca Rolandi. Storica, ha portato a termine un dottorato in Slavistica e si occupa di studi sulla Jugoslavia socialista. Ha vissuto a Belgrado, Sarajevo, Zagabria e Lubiana e ha provato a raccontarle per PeaceReporter, Osservatorio Balcani Caucaso, Cafebabel e Profili dell’Est[/author_info] [/author]
Ottobre 2013, Bosnia Erzegovina. Mentre il paese è alle prese con il primo censimento dalla fine della guerra – che, secondo i dati preliminari, ha messo in luce una popolazione di 3.791.622 con un calo di 590mila rispetto al censimento del 1991 – anche la conta dei morti continua.
Da alcune settimane, la miniera in disuso del villaggio di Tomasica ha iniziato a restituire corpi – finora 397 – accaparrandosi il macabro primato della più grande fossa comune mai scoperta nel paese dopo la guerra. Nel maggio 1992 nella città di Prijedor e nei villaggi nelle sue vicinanze fu messa in atto una persecuzione ai danni della popolazione non serba, che portò ad esecuzioni , torture e violenze di ogni genere.
Circa 3mila persone vennero uccise e 30mila internate nei campi per prigionieri di guerra, il più noto del quale è il tristemente famoso campo di Omarska. Dei 208 corpi già identificati aTomasica, spesso grazie ad oggetti personali o documenti, si sa che provenivano dai villaggi prospicienti alla città di Prijedor. Le famiglie degli scomparsi stessi starebbero addirittura pagando una delle tre ruspe in funzione, nel tentativo di accelerare le ricerche prima dell’arrivo dell’inverno.
La notizia dell’esistenza di una fossa comune in località Tomasica girava da tempo, tanto da essere arrivata alle orecchie del giornalista svedese Bendt Norborg, che già nel 1996 aveva menzionato in un reportage la dichiarazione di alcuni testimoni, secondo i quale nella miniera sarebbero state seppellite un migliaio di persone. Più che la volontà di nascondere qualcosa, secondo il giornalista svedese, sarebbe stata la paura a indurre la maggior parte degli abitanti del luogo al silenzio. Norborg non ebbe possibilità di andare a fondo, ma neppure le autorità riuscirono a farlo per molti anni. Il fantasma di Tomasica rimase lì ad aleggiare. Finché fu un ex appartenente all’esercito della Repubblica Serba di Bosnia ad indicarne il luogo esatto, rendendo possibili i primi scavi.
Il sindaco di Prijedor, Marko Pavic, noto per le sue dichiarazioni volte a negare il numero delle vittime non serbe e a commemorare i militari serbi, ha espresso in questo caso il più forte rammarico per l’accaduto e ha offerto il massimo aiuto nel processo di esumazione dei corpi. Solo un anno fa aveva proibito ogni tipo di celebrazione per il ventennale dalle stragi sulla popolazione croata e musulmana perpetrate nell’area.
Quella stessa paura che secondo Norborg frenava gli abitanti del luogo è forse dovuta al fatto che solo 16 persone sono state condannate a un totale di 230 anni di carcere per i crimini commessi in una delle zone più insanguinate della Bosnia Erzegovina. Quindi ne deriva che un numero molto più alto cammina ancora oggi per strada.
Nel paese si cercano ancora i resti di 8mila dispersi, la maggior parte dei quali provenienti dalla zona nord-orientale del paese. Il ritrovamento dei dispersi, oltre a costituire la fine di una ricerca spasmodica per le famiglie, rappresenta il primo passo verso una ricostruzione verosimile dei fatti e verso lo spostamento delle responsabilità per le atrocità commesse da un popolo intero agli individui che realmente le hanno commesse. Solo questo passaggio può portare alla lunga a rielaborare la memoria della guerra e a tentare di uscire da un eterno dopoguerra.