Croazia, omofobia preventiva

Nel referendum per inserire nella costituzione croata un no ai matrimoni gay vincono i promotori, ma forte l’astensionismo

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-15-alle-20.39.17.png[/author_image] [author_info]di Francesca Rolandi. Storica, ha portato a termine un dottorato in Slavistica e si occupa di studi sulla Jugoslavia socialista. Ha vissuto a Belgrado, Sarajevo, Zagabria e Lubiana e ha provato a raccontarle per PeaceReporter, Osservatorio Balcani Caucaso, Cafebabel e Profili dell’Est[/author_info] [/author]

4 dicembre 2013 – Favorevoli o contrari all’introduzione nella Costituzione croata di una clausola che definisca il matrimonio come un’unione tra un uomo o una donna? E’ stato questo il quesito al quale si sono trovati a rispondere i cittadini croati nel referendum del 1 dicembre, promosso dall’associazione Nel nome della famiglia, vicina alla Chiesa cattolica.

In una Croazia prostrata dalla crisi economica, il referendum è stato al centro indiscusso del dibattito politico, offrendo l’immagine di un paese così spaccato in due come mai si era visto dal dopoguerra. I promotori hanno raccolto 740mila firme in due settimane in un paese di meno di 4.300.000 abitanti. Oltre all’associazione Nel nome della famiglia, rappresentata dalla pasionaria Zeljka Marković, a favore  del referendum si sono espressi attivamente i partiti dell’opposizione di centro-destra, la Chiesa cattolica e tutti gli altri rappresentanti religiosi ad eccezione dei luterani e della comunità ebraica di Zagabria.

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Contrari i partiti della coalizione di centro-sinistra al governo, oltre a circa cento associazioni della società civile riunite nel cartello I cittadini votano contro, una parte del mondo dello spettacolo e molti intellettuali. Il presidente Ivo Josipović – anch’egli socialdemocratico – ha fatto un appello affinché la Croazia non diventi una “terra dell’intolleranza” e ha messo in guardia sulle conseguenze politiche e morali che il referendum avrebbe potuto avere.

Le passioni suscitate, tuttavia, non si sono tramutate in affluenza dal momento che solo il 37,90 per cento degli aventi diritto si è recato alle urne. A favore dell’inserimento della clausola sul matrimonio eterosessuale nella Costituzione si è espresso il 65,87 per cento dei votanti, mentre il 33,51 per cento si è detto contrario. Percentuali ancora più alte per l’opzione omofoba di quello che i sondaggi avevano pronosticato. La fotografia è quella di un paese spaccato in due, con una frattura che corre anche su linee geografiche.

A votare contro il quesito referendario con percentuali superiori al 60 per cento spiccavano solo l’Istria e il Quarnero, zone storicamente rosse, mentre all’altro estremo nella provincia di Vukovar la percentuale di favorevoli ha superato l’80 per cento. Interessanti anche i dati provenienti dai seggi all’estero, che vedono da una parte la diaspora croata tradizionalmente orientata in senso ultra-conservatore, mentre d’altro canto i paesi che in questi ultimi anni hanno attratto cervelli croati (come quelli del nord Europa) hanno visto un netto prevalere dei contrari.

Il risultato del referendum non avrà in realtà probabilmente alcun effetto diretto perché la proposta di legge che il governo croato dovrebbe portare avanti nei prossimi mesi prevede l’allargamento alle coppie gay della maggior parte dei diritti previsti per le coppie eterosessuali ad eccezione, appunto, dell’utilizzo del termine “matrimonio” e della possibilità di adozione.

Più che di un’azione mirata a bloccare un progetto di legge, il referendum è stato una prova di forza da parte dei settori conservatori vicini alla Chiesa cattolica, che hanno dimostrato di poter monopolizzare il dibattito pubblico e ottenere una vittoria, certo, ma non di riuscire a schiodare molti croati dal divano per andare a votare in una fredda domenica di dicembre. E come molte altre volte si è visto nei paesi dell’ex Jugoslavia (in primo luogo la Serbia), l’omofobia assume un significato molto più ampio, quasi una sorta di bandiera della destra che nonostante tutto resiste a qualsiasi “svolta di Fiuggi”.

Dietro al referendum del 1 dicembre, secondo molti, si nasconderebbe un altro quesito referendario,  il cosiddetto referendum “contro il cirillico”, la cui raccolta firme si è conclusa proprio ieri. Scopo di quest’ultima consultazione è quella di limitare i diritti linguistici delle minoranze, un gesto dal forte valore simbolico: se fino ad ora l’utilizzo della lingua ufficiale era concesso nelle municipalità dove le minoranze erano il 30 per cento della popolazione, il referendum chiede di innalzare questo tetto al 50 per cento. In questo modo diverrebbe impraticabile l’utilizzo dell’alfabeto cirillico nelle aree che contano una presenza serba superiore al 30 per cento della popolazione ma comunque inferiori al 50 per cento.

La campagna è partita da Vukovar, città-martire simbolo della guerra del 1991, dove negli ultimi mesi erano state più volte rimosse le targhe bilingui – in alfabeto latino e cirillico – dalle strade. Promotore del referendum è il Comitato per la difesa della Vukovar croata, dietro il quale, tuttavia, si nascondono interessi più ampi che però non vogliono uscire allo scoperto. Il partito di centro-destra HDZ, che nel caso del referendum sul matrimonio aveva dato indicazione ai suoi elettori di votare, si tiene in disparte rispetto a quest’ultima consultazione. Così il Comitato per la difesa di Vukovar fa il lavoro sporco, portando avanti una battaglia che sdegna l’Unione Europea e che potrebbe far deflagrare delicati equilibri interni.

Il 1 dicembre la raccolta firme è avvenuta in moltissimi casi all’uscita dei seggi, sebbene ciò sarebbe formalmente proibito. All’indomani, il Comitato per la difesa  della Vukovar croata ha dichiarato di aver con ogni probabilità raggiunto le 500.000 firme necessarie per richiedere la consultazione referendaria, ma di voler aspettare un ulteriore conteggio prima di darne comunicazione ufficiale. Il premier Milanović si è affrettato ad aggiungere che, a prescindere dalle firme raccolte, il referendum contro il cirillico non si terrà, dal momento che si tratta di un referendum in cui una maggioranza decide dei diritti di una minoranza. A questo riguardo, tuttavia, non è ben chiaro perché il referendum sul matrimonio non sia stato neppure sottoposto alla Corte costituzionale, che avrebbe potuto definirne la legittimità.

E’ sicuramente una Croazia alle prese con una crisi di identità quelle che esce da questa doppia battaglia referendaria. Forse è per questo che, nei momenti di incertezza, l’ironia fa particolarmente paura. Così il fondatore di un noto sito, Indeks.hr, colpevole di avere pubblicato una foto in cui la scacchiera, simbolo croato, veniva rappresentata in forma di svastica, è stato fermato dalla polizia e accusato di aver infranto l’articolo 4 della Legge sullo stemma, la bandiera e l’inno della Repubblica croata. La quale recita che è possibile utilizzare i simboli dello stemma o della bandiera “a condizione che non ledano il prestigio e la dignità” del paese.



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