Lui e lei, lei e lui. Due attori per due pupazzi, in un chiasmo di genere che mette in scena un dramma burlesco su un tema delicato, quello della violenza sulle donne. Tema duro, complesso e difficile, che la giovane compagnia Manimotò affronta con una rappresentazione ridotta all’osso capace di commuovere nel senso vero del termine, quello di mettere in movimento.
Ariela Maggi e Giulio Canestrelli, attori-autori dello spettacolo, trattano un problema su cui non è facile intervenire rinunciando a mettere al centro le storie vere delle donne che hanno realmente vissuto il dramma della violenza. La forza dello spettacolo sta nella sua capacità di astrazione dalle storie particolari. I meravigliosi pupazzi che vediamo in scena – creati dagli stessi autori – riescono ad avvicinare il pubblico al problema della violenza, che spesso è percepito come lontano.
E’ un paradosso: la disumanizzazione della finzione teatrale di “Tomato Soap” riesce ad abbattere quel muro fatto di imbarazzi e di tabù che spesso impedisce una riflessione profonda sul problema, e infine umanizza i personaggi, li avvicina a tutti noi, in un messaggio universale che ci chiama in causa e ci mette in movimento.
Gli attori-autori di Manimotò giocano coi ruoli, scombinano le carte. Inaspettatamente, a vestire i panni di Gianni, l’uomo violento, è Ariela Maggi, mentre Giulio Canestrelli impersona la sua compagna, Gilda. La vestizione dei pupazzi avviene in scena, e durante tutto lo spettacolo si assiste a un gioco complesso a quattro che rimanda a una manipolazione sempre in agguato.
Vediamo la violenza, e la carica espressiva del teatro e dei pupazzi lascia sgomenti – in quella sala buia, quando dopo la violenza la musica si ferma, tra la platea passava una tensione palpabile, i respiri sospesi, in attesa di qualcosa che per fortuna arriva, una musica che sapientemente sdrammatizza e ci fa tornare alla normalità della vita domestica a due, con lui che torna dal lavoro e si mette a leggere il giornale, e lei che, come sempre, porta in tavola la zuppa di pomodoro. La normalità che rassicura, che è fatta anche di piacevoli dettagli – lei che apparecchia muovendosi a suon di musica, lui che gioca con lei: la semplicità dell’amore. Quella quotidianità felice, che cancella gli abissi del dolore e della solitudine, e che rappresenta ciò che in fondo tutte cerchiamo: essere amate.
E lì capisci perché, nella scena precedente, lei ha accettato: ha accettato la violenza, le scuse di lui, ha accettato di consolarlo, di alleviare il suo senso di colpa. L’ha fatto pur di essere amata, pur di vederlo tornare a guardarla con lo sguardo carico di desiderio. Quello schema della violenza, che si conclude col paradossale e raccapricciante perdono della vittima verso il carnefice, un perdono che ristabilisce l’equilibrio spezzato e che fa tornare alla quotidianità. Quello schema malato, per uscire dal quale occorre un coraggio estremo – il coraggio di accettare la verità più dolorosa: che a quella forma di amore occorre rinunciare. La violenza che la donna accetta è anche dentro di lei, dentro quel bisogno di amore per cui accetterebbe tutto, appunto, pur di.
La messa in scena scelta da Manimotò ci ricorda che dietro ai modelli di comportamento che conosciamo – l’uomo violento, la donna vittima – c’è molto altro, c’è manipolazione. Ed è proprio per questo che il tema della violenza di genere parla a tutti, uomini e donne: perché in fondo significa parlare di amore, della sempre difficile e necessaria ricerca di quell’equilibrio che spesso fatichiamo a trovare tra amor proprio e amore per l’altro.
“Tomato Soap” non dà una soluzione. Non sappiamo se Gilda riuscirà a spezzare la catena della violenza, o se invece resterà intrappolata nella ragnatela dell’amore che lui non sa darle ma che lei spera di trovare. Gli autori ci lasciano in sospeso, in quel sentimento misto di dolore e consapevolezza che forse rappresenta la prima molla per una rivoluzione.
Per info: http://manimototeatro.wordpress.com/