Una boccata d’aria. Inquinata

Si chiama Escape lo studio epidemiologico sugli effetti nocivi e letali del PM10, svolto con i fondi dell’Unione europea. L’intervista a Vittorio Krogh, epidemiologo dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano tra i firmatari della ricerca

di Angelo Miotto

L’inquinamento dell’aria ci ruba la vita. Le ricerche scientifiche sono concordi. Una delle ultime a essere pubblicate sulla rivista scientifica The Lancet si chiama Escape, finanziata con fondi europei.
In questa intervista l’epidemiologo Vittorio Krogh, che ha partecipato alla ricerca, speiga bene quali siano i termini della questione. E al di là dei dati ricavati rimane un interrogativo senza risposta che giriamo agli amministratori pubblici, locali, nazionali, europei, globali: che si fa?

Qualche dato, per cominciare, poi ascoltate l’intervista.

L’inquinamento dell’aria uccide ben al di sotto dei limiti della sua qualità imposti dalle leggi in vigore nella UE. E’ quanto risulta dallo studio internazionale Escape pubblicato sulla rivista The Lancet, che ha coinvolto 360.000 residenti in grandi città di 13 paesi europei. La ricerca stima che per ogni aumento nella media annuale di esposizione a particolato fine (le particelle di diametro inferiore a 2,5 micron, PM2.5) di 5 g/m3 ci sia un aumento del rischio di morire per cause non accidentali del 7%. Una differenza di 5 g/m3 può essere quella che c’è tra un posto con molto traffico e uno non influenzato dal traffico in una città. Ciò corrisponde ad un accorciamento della speranza di vita di 8 mesi. In Italia, lo studio è stato condotto a Roma (Dipartimento di Epidemiologia del Lazio), a Torino (AO Città della Salute e della Scienza-Università di Torino) e a Varese (Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano) e ha coinvolto circa 31.000 persone e i dati che emergono non sono diversi da quelli in Ue.

 

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