L’occupazione in piazza, a Kiev, prosegue, in un paese diviso e tirato da due mondi. Tra smacco Ue, rabbia popolare, volontà di potenza di Mosca in un gelo politico da Guerra Fredda
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/12/1481424_10152131654787697_251881934_n.jpg[/author_image] [author_info]di Marco Zecchinato. Nato nel 1977. Dopo un Master in diritti umani ha iniziato a lavorare per progetti di cooperazione internazionale in Croazia, Serbia, Albania, Ucraina, Montenegro, Bosnia Erzegovina e talvolta anche in Italia. Ama tutti questi Paesi, di tanto in tanto ne scrive.[/author_info] [/author]
Da oltre 15 giorni Maidan Nezalezhnosti, la piazza centrale di Kiev dedicata nel 1991 all’indipendenza dall’URSS, è occupata da decine di migliaia di persone che protestano, in seguito alla decisione del Presidente Yanukovich di non firmare l’accordo di associazione con l’Unione Europea, come invece ci si attendeva avvenisse al vertice di Vilnius del 28 e 28 novembre scorso.
L’idea generale che circola a Bruxelles è che la UE abbia subito uno smacco pesante ed inatteso nel suo processo di allargamento ad Est, confidando troppo nel proprio soft power e sottovalutando le capacità di pressione della Russia, intenzionata a mantenere i Paesi dell’ex blocco URSS sotto la propria sfera di influenza. Eppure, la determinazione con cui centinaia di migliaia di Ucraini sfidano giorno e notte gelo e manganellate della polizia, è un segnale forte di quanto l’ideale europeo rimanga un sogno ambito da molte persone, proprio mentre all’interno dell’Unione crescono critiche e scetticismo sulla costruzione di un’Europa unita.
I media italiani, per una volta, stanno seguendo gli avvenimenti con una certa attenzione. Le cose, per come sono raccontate, appaiono piuttosto semplici: da una parte c’è l’ Unione Europea, tradita dal rifiuto ucraino avvenuto all’ultimo momento. Con la UE si schierano gli illuminati cittadini di Kiev e dell’Ucraina dell’Ovest, da sempre filo-europei ed orfani della loro leader ed ex-primo ministro, la graziosa Yulia Timoshenko, che un complotto dei filo-russi ha rinchiuso in prigione da anni, rifiutandole persino la scarcerazione per cure mediche. Dall’altra c’è il Presidente Yanukovich, che ha preferito rinunciare ai democratici valori europei in cambio di uno sconto sul prezzo del gas proveniente dalla Russia. Yanukovich poi, era lo stesso contro il quale si scatenarono le proteste sfociate nella cosiddetta Rivoluzione arancione, che denunciava i brogli avvenuti nel 2004 a danno del suo sfidante “democratico” Viktor Yushenko, poi risultato vincitore dopo che la Corte Suprema aveva annullato le contestate elezioni.
A questo punto, ad un lettore mediamente informato potrebbero sorgere alcune domande: che ci fa al potere colui che fu cacciato a furor di popolo appena 9 anni fa? Come mai l’eroina della protesta di allora è ancora in carcere, nonostante l’indignazione di Commissione, Consiglio e Parlamento europei? Se Yanukovich è un burattino nelle mani di Putin, perchè ha aspettato l’ultimo momento per rinunciare ad un accordo con la UE preparato da anni, rischiando il suicidio politico? Con quale lungimiranza la Russia affronta così apertamente l’Europa, suo principale partner commerciale? Chi sta guidando la protesta nelle piazze di Kiev e quanto effettivo seguito ha nell’intera nazione? Che ci fa in piazza un alto funzionario del Dipartimento di Stato americano a distribuire biscotti ai manifestanti, violando apertamente il tacito patto di non ingerenza negli affati interni di uno Stato esistente a livello diplomatico? Come mai la NATO, di cui l’Ucraina non fa parte, si è permessa di criticare aspramente la scelta di non firmare l’accordo?
Procediamo con ordine. La semplificazione, spesso giornalisticamente necessaria, purtroppo non rende un buon servizio alla comprensione degli eventi.
In Ucraina convivono effettivamente due mondi; quello russofono, prevalente nelle Regioni a Est di Kiev ed in Crimea e quello più propriamente ucraino e maggiormente filo-occidentale. L’adozione o la rimozione del Russo come seconda lingua ufficiale ha provocato negli ultimi anni risse memorabili in Parlamento. La stessa Chiesa ortodossa è divisa tra una maggioranza fedele al Patriarcato di Mosca e un’autocefala Chiesa ucraina, schieratasi apertamente a favore dei manifestanti (le campane della Chiesa di San Michele sono risuonate nella notte del 10-11 dicembre per richiamare i cittadini in piazza, per fronteggiare il blitz, poi fallito, della polizia, che intendeva sgomberare le barricate). Anche i flussi migratori sono divisi: dalle regioni dell’ovest si emigra principalmente verso Europa e Stati Uniti, dalle altre il flusso principale è verso la Russia.
L’atteggiamento degli Ucraini nei confronti di Europa e USA riflette questa ambivalenza. Anche se considerare l’Ucraina un paese razzista sarebbe sbagliato, un certo grado di ostilità verso gli stranieri è testimoniato non solo dai frequenti pestaggi a danni di asiatici o persone di colore, ma anche per una malcelata insofferenza nei riguardi degli Europei, specie da quando Kiev è diventata meta privilegiata di turismo sessuale e di improbabili matrimoni tra arzilli settantenni e splendide fanciulle autoctone. Le autorità, a loro volta, conservano alcuni atteggiamenti di stampo sovietico e vedono spesso con sospetto le attività di imprese o associazioni occidentali; del resto, una delle caratteristiche della politica estera USA nei Paesi dell’ex blocco comunista è stata il finanziamento di ONG e media d’opposizione; sul modello di Otpor, il movimento che sconfisse Milosevic in Serbia, il Dipartimento di Stato americano ha fornito supporto a tutte le rivoluzioni “colorate” dell’area.
L’abbattimento di una piccola statua di Lenin nel centro di Kiev è stata riportata con enfasi da tutte le testate europee, come simbolo della ribellione ucraina alle pressioni russe di oggi e di ieri. Pare che l’azione sia stata opera di militanti del partito di ultra-destra Svoboda, ex-Partito Nazionalsocialista Ucraino. Il suo leader, Oleg Tiaghnibok, è stato in passato parlamentare nel partito di Victor Yushenko e poi espulso per dichiarazioni anti-semite e anti-russe. Non esattamente un modello di europeismo.
Personalmente, mi è tornata alla mente un’altra immagine dal forte significato simbolico, custodita nel Museo della Grande Guerra Patriottica di Kiev, che commemora la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, costata la vita a 23 (ventitrè) milioni di sovietici; la sala d’entrata del museo è spoglia ed enorme, sormontata da una gigantesca cupola sulla cui sommità si erge l’imponente statua in titanio dedicata alla madrepatria (intesa come Russia), addirittura più alta della Statua della Liberta di New York. Sui muri della sala sono incisi i nomi dei soldati caduti, onorati come Eroi dell’Unione Sovietica. Al centro, l’aquila nazista brandisce una svastica e giace abbattuta, con le ali spezzate, ai piedi di un fante sovietico. Il visitatore occidentale, abituato a ricordare solamente gli angloamericani come artefici della liberazione dal nazi-fascismo, rimane impressionato dall’enormità del sacrificio, della resistenza, della potenza che traspare dai marmi e dalle immagine contenute nel museo.
A 540 chilometri più a Ovest, nella splendida città di Leopoli, la successiva visita al Museo di Storia o quella alla Prigione di Lonskoho produrranno un senso di straniamento: la seconda guerra mondiale viene qui raccontata esclusivamente dal punto di vista dei nazionalisti (o patrioti) ucraini, antisemiti e ferocemente anti-comunisti, che si batterono sia contro i sovietici che contro i nazisti, inizialmente invece benaccolti nella regione. Sembra il racconto di un’altra guerra, gli eroi celebrati a Kiev sono qui rappresentanti come un criminale esercito d’occupazione. Nel 2010, l’uscente Presidente Yushenko proclamò Stepan Bandera, icona del movimento di liberazione durante la seconda guerra mondiale, eroe nazionale ucraino.
Arrivato al potere, l’attuale presidente Yanukovich cancellò l’onorificenza. A Leopoli può capitare di essere insultati se si parla in russo in pubblico. Le bancarelle del centro sono piene di magliette che inneggiano alle famigerate bande dell’UPA, l’ala militare del movimento indipendentista. Addirittura esiste un locale, arredato come fosse un bunker di guerra e ricco di cimeli nazionalisti, al quale si accede solo dopo aver proclamato alla guardia all’entrata la parola d’ordine “Gloria all’Ucraina” e aver brindato sorseggiando vodka da una condivisa gamella d’acciaio. Durante la recente guerra che nel 2008 ha visto contrapposte Russia e Georgia, il Municipio di Leopoli esponeva in segno di solidarietà una gigantesca bandiera della piccola repubblica caucasica. E proprio dalla regione di Leopoli sono giunti molti dei dimostranti di Piazza Maidan di questi giorni. Accanto alle bandiere europee, sventolano molti vessilli rossoneri, simbolo dell’UPA.
Nazionalisti ed “europeisti” sono dunque fianco a fianco nelle barricate, tra le quali risuonano contemporaneamente l’italiano coro partigiano “Bella ciao” ed inni patriottici ucraini. Tra i leader della protesta, accanto al già citato Oleg Tiaghnibok, emergono Arseni Yatseniuk, oggi dello stesso partito di Yulia Timoshenko, ma con una contorta storia politica alle spalle, ed il popolare ex campione di pugilato Vitali Klitschko, ora leader di un partito di ispirazione liberale (ricordo che quest’ultimo, incontrato anni fa ad un evento benefico nei corridoi dell’Istituto Nazionale del Cancro di Kiev, in visita ai bambini malati, mi rimproverò perchè mi ero espresso nel mio zoppicante russo, anziché in uno squillante ucraino, che peraltro non consocevo…).
Queste tre figure, generalmente in disaccordo su quasi tutto, stanno ora fronteggiando il presidente Yanukovich, in una situazione di caos politico e di profonda crisi. Quello che molti media occidentali omettono, è infatti la drammatica situazione economica nella quale da anni si dibatte il Paese. Considerato già nel 2008 tra i primi quattro Paesi nel mondo a rischio di default finanziario, l’Ucraina si è salvata nel 2009 grazie ad un prestito concesso dal Fondo Monetario Internazionale. Furono necessari la svalutazione della moneta locale del 100% in pochi mesi nei confronti dell’euro, il fallimento delle principali banche ed il congelamento dei depositi e finanche dei conti correnti.
Tra le prime ad avvertire le pesanti conseguenze della crisi mondiale, l’Ucraina non è finora riuscita a risollevarsi. Le cosidette crisi del gas (2006 e 2009), vertevano proprio sui presunti prelievi illegali che le autorità ucraine imponevano al gas russo in transito verso l’Europa, per cercare di risanare i bilanci (o, secondo altri, per arricchire gli oligarchi locali). Nel 2009 una spettacolare azione di polizia presso la compagnia di Stato ucraina del gas per acquisire le prove di indebiti arricchimenti fece palesare lo scontro tra quelle che erano state le due anime della Rivoluzione arancione, il Presidente Yushenko ed il Primo Ministro Yulia Tomoshenko.
Il primo controllava le forze speciali che gestirono l’operazione, la seconda era stata a capo del cartello dell’energia, accumulando enormi ricchezze dal commercio di gas russo. Da un lato un Presidente incapace di offrire stabilità politica, dall’altro una donna ambiziosa e spietata, che flirtava ora con la Russia ora con l’Europa, entrambi immersi fino al collo in un clima di corruzione dilagante. La maggior parte dei sostenitori della Rivoluzione arancione ne fu disgustata. Appare assodato che il processo contro la Timoschenko non abbia rispettato i necessari criteri di imparzialità e i diritti della difesa, ma è decisamente fuoriviante indicare l’ex “principessa del gas” come un’innocente vittima di macchinazioni. E’ in questo quadro che si spiega la risalita di Yakunovich, abile a sfruttare le divisioni degli avversari e a proporsi come unica alternativa di stabilità. Ma la crisi economica rimane e anche per il presidente attuale si pone il dilemma: aderire all’accordo proposto dalla UE, con prospettive al momento più ideali che economiche, oppure negoziare un prezzo del gas vantaggioso con l’ingombrante vicino russo?
Putin ha buon gioco a ribaltare verso UE, USA e NATO le accuse di interferenza, pressioni e minacce. Si è limitato ad abbassare il prezzo del gas offerto all’Armenia, in cambio dell’assenso di quest’ultima ad aderire all’unione doganale filo-russa. Un chiaro messaggio ai vantaggi di cui potrebbe usufruire l’Ucraina se compisse la stessa scelta. Dall’altra parte, l’adesione dell’Ucraina agli standard richiesti nell’accordo con la UE avrebbe un costo immediato molto alto, con positive ricadute economiche solo nel lungo periodo. E l’Ucraina non può permettersi di aspettare. Ecco che allora acquista un senso la tattica di Yanukovich di temporeggiare e cercare di strappare condizioni più favorevoli alla UE, oltre alla richiesta di 20 miliardi di euro come immediato aiuto economico.
Il Presidente continua ad affermare che si è trattato solo di postporre la firma, per risolvere alcune questioni tecniche legate all’accordo. Ma ha giocato male le sue carte. La sterzata a poche ore dal summit di Vilnius è apparsa troppo brusca, uno schiaffo bruciante all’Europa e a quanti vedono l’Occidente come la naturale destinazione del futuro ucraino. E così, probabilmente inaspettata ed inizialmente sottovalutata, è scoppiata una protesta che ormai travalica le iniziali ragioni del dissenso, spingendosi a chiedere le dimissioni del Governo ed elezioni presidenziali anticipate. Finora, i maldestri tentativi di riportare l’ordine con la forza sono risultati inefficaci e hanno attirato critiche sferzanti da parte della comunità internazionale. Se anche riuscissero alla fine a rimanere in sella, i vertici politici del Paese rischiano di uscire fortemente screditati dalla vicenda.
Sullo sfondo rimane poi un’altra domanda, forse per noi la più importante. Nello scenario attuale, è conveniente per l’Europa allargare nell’immediato il proprio raggio d’azione, coinvolgendo un Paese di 46 milioni di abitanti, alle prese con una situazione economico-finanziaria drammatica, prima di aver risolto le profonde contraddizioni che scuotono le fondamenta stessa della costruzione europea?