“Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso,
ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura.
D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie,
ma la risposta che dà a una tua domanda.”
(Italo Calvino, Le città invisibili)
19 dicembre 2013 – La città è la casa della nostra casa.
Nel momento in cui scegliamo dove vivere, la nostra posizione nello spazio comporta uno stile di vita ben preciso, con un conseguente impatto ambientale e un’impronta ecologica definita: è compito dell’urbanista tenere conto di queste dinamiche quando progetta la città.
Per una volta, l’Italia è all’avanguardia. Presso la Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano, il Laboratorio di Simulazione Urbana, specializzato nello studio del contesto urbano e delle sue dinamiche, elabora dei modelli virtuali della città. Uno dei coordinatori è Eugenio Morello, ricercatore e docente di progettazione urbana, che ha iniziato ad approfondire queste tematiche durante un periodo di ricerca in America, all’MIT di Boston.
[box type=shadow] Il Laboratorio di Simulazione Urbana è una realtà relativamente recente, nata nel 2007 grazie al prof. Fausto Curti, a cui è intitolato, e al prof. Peter Bosselmann dell’Università of Berkeley (California), che ne ha impostato il metodo di analisi. I suoi ambiti sono tendenzialmente due. Il primo è l’investigazione degli aspetti sensoriali (soprattutto visivi) della percezione della città e dell’architettura: vengono elaborate rappresentazioni del costruito capaci di trasmettere in modo immediato la vera conformazione tridimensionale degli spazi, ponendo sempre come base di partenza l’esperienza che ne abbiamo attraverso i nostri occhi. L’altro ambito è lo studio degli aspetti ambientali ed energetici relativi alla forma “fisica” della città: vengono analizzati sia elementi come la dimensione degli edifici, l’orientamento rispetto agli assi cardinali, o la disposizione all’interno degli isolati, sia fenomeni derivati dal sole, come l’andamento delle ombre degli edifici ed il loro influsso sul microclima urbano o, di contro, quanto e come gli edifici stessi siano irraggiati direttamente dal sole.[/box]
“L’idea alla base del nostro lavoro è quella di ridare importanza all’aspetto fisico della città promuovendo un approccio basato sull’esperienza” esordisce Morello. “Un conto è osservare passivamente un modello 3D su un monitor, ben altro è avere l’impressione di viverlo e di percepirne le interazioni con noi e con l’ambiente circostante. Il Laboratorio di Simulazione Urbana prova a restituire questa esperienza attraverso la modellazione (cioè, l’elaborazione di un modello tridimensionale) e la simulazione (cioè, la proposizione di fenomeni sensoriali). Il risultato è una vera e propria immersione virtuale in contesti non ancora materialmente costruiti. In questo modo cerchiamo di prevedere quale sarà il risultato delle scelte progettuali del presente rispetto a ciò che succederà nel futuro, in termini di interazione tra i nuovi edifici e l’ambiente esistente, e viceversa.”
Un approccio del genere si pone tendenzialmente in contrasto con l’urbanistica del passato, più programmatica e decisamente poco attenta a tematiche di questo tipo. La relazione con il contesto ambientale in tutta la sua complessità diventa fondamentale e consente di pensare a un modello di sviluppo della città finalmente consapevole, fortemente integrato e connesso con la realtà.
“Oggi, se escludiamo gli interventi di ripristino delle grandi aree urbane dismesse o inutilizzate, in Italia e nei paesi europei la città non viene progettata ex novo” riprende Morello. “Gli sforzi vengono convogliati soprattutto nella ricerca di metodi per riqualificare ciò che è già costruito, con l’obiettivo di rendere la città un organismo efficiente sotto tutti gli aspetti (energetico, ambientale, gestionale, sociale) e migliorare una situazione che in certi casi è drammatica. Non si tratta di un’impresa semplice, poiché i centri urbani hanno spesso problemi intrinseci, legati soprattutto alla loro conformazione fisica e allo sviluppo che ne è conseguito negli anni.”
Secondo Morello, una buona parte della realtà urbana attuale e con la quale ci dobbiamo confrontare è la conseguenza dello sviluppo di due modelli diametralmente opposti di pianificazione urbanistica, entrambi nati nel secondo dopoguerra in un’atmosfera di rinnovamento generale e desiderio di tagliare di netto con il passato: i grattacieli ad alta densità e le villettopoli a bassa densità.
Istintivamente, verrebbe da pensare che, tra questi due approcci, sia la costruzione ad alta densità a mal conciliarsi con la sostenibilità. Del resto, come potrebbe un agglomerato urbano costituito da edifici alti più di 15 piani, compatto, con una percentuale minima di verde, spesso caotico e inquinato competere con l’idea di un contesto urbano rarefatto, composto da case immerse nel verde e nella tranquillità, magari costruite seguendo le regole del risparmio energetico e della bioedilizia, o addirittura autosufficienti?
Morello ha le idee piuttosto chiare, a riguardo: “La questione è chiedersi se una città sostenibile possa essere la semplice somma di edifici sostenibili. E la risposta è No. L’utilizzo del modello di urbanistica a bassa densità ha provocato uno sviluppo disordinato delle città verso la campagna, la cosiddetta “città diffusa”. All’interno di una grande macchia indistinta, composta da edifici a pochi piani dispersi in parcheggi, strade e verde, si trovano migliaia di villette unifamiliari. Se, per assurdo, tutti gli abitanti della terra abitassero in una casetta unifamiliare, probabilmente ci servirebbe un altro pianeta, perché occuperemmo tutto lo spazio utile. Il punto è che la sostenibilità mette in gioco moltissimi fattori diversi, prima di tutto l’utilizzo consapevole del suolo. ”
Del resto, quanto è sostenibile una realtà urbana che richieda l’uso dell’automobile per qualsiasi attività (lavoro, svago, commercio, sostentamento) perché tutte le funzioni sono distinte e sparpagliate in aree lontane tra loro? Quanto è sostenibile sfruttare il suolo con una densità abitativa così bassa e una percentuale così elevata di spazio adibito a parcheggi e strade? Quanto è sostenibile un contesto urbano talmente diluito da rendere estremamente difficile la progettazione di una rete efficiente di trasporto pubblico?
“Poco, quasi nulla. Nel modello abitativo ad alta densità, la concentrazione degli edifici facilita la progettazione di una maglia di trasporto pubblico efficiente, comprensiva di rete ciclopedonale: in tale contesto, l’utilizzo dell’auto risulta superfluo, delegato a percorrenze a lunga e media distanza. Inoltre, le differenti funzioni urbane possono essere concentrate nello stesso punto, per ottimizzare le risorse e diminuire gli spostamenti: gli spazi diventano così sempre più promiscui e integrati, attivi 24 ore su 24” spiega Morello.
“Dobbiamo inoltre tenere presente che il suolo è una risorsa scarsa ed estremamente preziosa: i primi centimetri di terreno sono quelli dove è concentrato l’humus: una volta modificato o asportato questo strato, bisogna attendere centinaia di anni perché si ricrei un terreno con le stesse caratteristiche. L’alta densità abitativa contribuisce a ridurre il consumo del suolo, a patto che ovviamente si ponga tutta la dovuta attenzione alla gestione dell’acqua, prevedendo cioè delle superfici drenanti e dei sistemi di raccolta che sopperiscano all’assenza di suolo libero.”
È vero infatti che i giardini e i parchi urbani sono un ambiente pieno di risorse sia per le specie animali che per quelle vegetali, e raggiungono spesso un grado di biodiversità maggiore rispetto a terreni agricoli adibiti, per esempio, a colture specializzate. “Giustissimo” conferma Morello. “La campagna non è quasi mai «naturale» e può anzi avere un impatto molto forte sull’ambiente se non si controlla l’utilizzo delle sostanze dannose (pesticidi, diserbanti e concimi) e non si regola il consumo di energia (a volte addirittura maggiore rispetto a quello necessario per il mantenimento degli stessi metri quadri di suolo urbano) richiesta per le lavorazioni che vengono effettuate sui terreni stessi (per non parlare degli allevamenti intensivi). Ecco perché la città compatta risulta una buona base su cui lavorare per ottenere un organismo urbano rinnovato che sia efficiente e sostenibile.”
Vero è che quando si progetta in un contesto urbano consolidato, caratterizzato da variabili in continuo mutamento, bisogna prestare molta attenzione alle condizioni particolari che si presentano caso per caso. Se si vuole migliorare o ampliare una realtà già esistente, bisogna analizzare attentamente le potenzialità del sito e la conseguente possibilità di un intervento ad hoc. Ciò non è sempre possibile a causa dell’apparato legislativo che regolamenta gli interventi edilizi e urbanistici.
“Attualmente le norme urbanistiche statali, regionali e comunali sono basate su standard prescrittivi, cioè su indicazioni minime o massime di volumi, superfici, distanze, parametri, che garantiscono un livello “di legge” a seconda della destinazione d’uso” conferma Morello. “Di contro, sono poco utilizzati gli standard prestazionali, focalizzati sulla performance che si vuole ottenere. In parole povere, ipotizziamo di dover progettare uno spazio abitativo all’interno di una situazione critica, ad esempio un isolato urbano molto denso con corti interne di dimensioni ridotte. Per concepire una soluzione efficiente, più che considerare quale sia la distanza minima tra gli edifici (uno standard prescrittivo che, in questo caso, sarebbe inapplicabile), occorre valutare se venga raggiunta una prestazione che assicuri una condizione accettabile di benessere al loro interno. Un parametro potrebbe essere ad esempio garantire almeno 3 ore di luce diretta al giorno. In questo modo l’intervento viene ottimizzato rispetto al suo contorno e rispetto alle proprie caratteristiche, in un’ottica di efficienza globale.”
Si tratta quindi di cambiare le regole del gioco: basterebbe la volontà politica, perché gli strumenti informatici per elaborare questo tipo di valutazioni non sono alla portata dei soli ricercatori, ma di tutti i tecnici del settore. Tuttavia, nel concreto, cosa accade al momento in Italia?
Morello mi indica la città, fuori dalla finestra del laboratorio: “Pensiamo a Milano, che attualmente è interessata da interventi urbanistici di grande impatto. Questi grandi cantieri stanno trasformando porzioni della città in maniera significativa come poche volte è successo nel capoluogo lombardo. Il problema è che derivano da Piani Integrati di Intervento, strumenti attuativi utilizzati per ristrutturazioni urbane complesse, tutti concepiti prima della crisi finanziaria, con canoni ormai superati.”
La conversazione cade immancabilmente su Citylife, il grande progetto di riqualificazione dell’area dell’ex Fiera Campionaria, per il quale -secondo Morello- molte scelte progettuali non rispecchiano gli obiettivi dell’urbanistica sostenibile.
“Morfologicamente, CityLife rappresenta uno stravolgimento dell’isolato tradizionale milanese, poiché si è scelto di collocare le residenze in edifici più bassi sul perimetro e le funzioni terziarie e commerciali al centro, all’interno di grattacieli e delle zone di pertinenza. In questo modo, i servizi risultano baricentrici rispetto all’isolato, ma si trovano in una posizione che non consente relazioni con la vita di quartiere della porzione di città confinante. L’intera area è un “macroisolato pedonale”, percorribile in auto unicamente sottoterra per raggiungere i parcheggi residenziali, e non è attraversabile da veicoli esterni: ciò è positivo per la qualità dell’aria interna al complesso, ma inutile per il miglioramento del problema del traffico in città (anzi si assiste a un peggioramento proprio nelle zone limitrofe), poiché l’uso dell’auto non è disincentivato. Senza dimenticare i potenziali problemi di sicurezza che comportano strade interne isolate e poco frequentate.”
Ma non è tutto. “No, infatti. Il problema è che il quartiere, pur trovandosi all’interno del tessuto urbano, non dialoga con il contesto ed è più simile a un distretto satellite che a un intervento di riqualificazione urbana. Muri e cancellate tolgono dignità alle strade esterne che ne percorrono il perimetro, il grande parco è posto in una posizione che rende difficoltosa la fruizione per gli esterni e le distanze dai servizi centrali sono difficilmente percorribili a piedi: in queste realtà spesso i residenti preferiscono prendere la macchina e usufruire di attività commerciali esterne, piuttosto che raggiungere i servizi interni camminando per strade senza attrattive. Inoltre, gli edifici residenziali hanno una densità molto elevata, con corti piccole rispetto alle loro dimensioni, che sollevano qualche problema di ombreggiamento eccessivo. E sono così alti che fanno ombra sui palazzi preesistenti del quartiere. All’opposto, il complesso di grattacieli al centro, pur avendo altezze comprese tra i 170 e i 200 mt, non provoca alcun problema di questo tipo, perché l’ombra si comporta come quella di una grande meridiana, su un’area relativamente ampia.”
Certo, è doveroso tenere presente che il complesso CityLife è stato concepito quasi 10 anni fa, e paga quindi una certa arretratezza rispetto alle nuove tendenze dell’urbanistica. Peccato, perché di fatto, come testimonia il lavoro del dott. Morello e del suo team, oggi l’urbanistica sta finalmente modificando i propri parametri con l’obiettivo di impedire che, soprattutto negli interventi di grandi dimensioni, si perdano l’identità dei luoghi e la loro relazione con il contesto climatico e urbano.
Il senso di appartenenza a un luogo è fondamentale affinché le persone vivano in modo consapevole e responsabile la città. Ecco perché gli interventi dovrebbero essere modellati per agevolare comportamenti sostenibili dell’uomo (esigenze, abitudini, stile di vita) e sviluppati per poter interagire con l’ambiente (clima, contesto urbano, territorio), e non soltanto secondo logiche economiche speculative.