Kiz Reporter

Istanbul, kentsel dönüşüm (trasformazione urbana) e smarrimento urbano e antropologico

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/12/1474942_10152145986573982_1364540848_n.jpg[/author_image] [author_info]di Alessandra Mainini. Sono nata nel 1982 nella provincia di Milano, sono antropologa e faccio ricerca a Istanbul, dove ho vissuto per diversi periodi studiando e lavorando. Il mio punto di vista è visuale, ovvero: mi interesso di tutto quanto si rende visibile, l’apparenza come sostanza, lo stile come impronta. A Istanbul indago il modo in cui le persone che abitano mettono in scena il loro abitare, la casa essendo il luogo in cui si materializzano i valori, i sentimenti, le scelte morali e politiche in senso lato. Il blog: Kiz Reporter[/author_info] [/author]

Questo post racconta alcuni stralci delle mie conversazioni con gli abitanti di Fikirtepe, Kadıköy, Istanbul. Il quartiere è interessato da un progetto di rinnovamento su larga scala. Nei fatti viene completamente demolito per fare posto ad edifici che arrivano a ottanta metri di altezza e che contengono appartamenti di lusso. Il progetto è statale, gli sviluppatori sono una cinquantina di compagnie edili grandi e piccole; ognuna ha il suo blocco assegnato. Gli abitanti hanno firmato contratti con queste compagnie per ricevere, in cambio dei terreni, gli appartamenti che vi verranno costruiti. Nell’attesa vivono in affitto a spese delle stesse compagnie edili.

20 dicembre 2013 – Mulime si vergogna un po’ ma ci fa entrare volentieri; si scusa sorridendo e dicendo: “È una casa di poveri”. Mesut, che fa il guardiano per la compagnia edile di questo cantiere, dice sarcasticamente che questi hanno vinto la lotteria. Da poveri e ignoranti abitanti semi-abusivi di gecekondu si ritrovano proprietari di appartamenti lussuosissimi in una di quelle che stanno per diventare le zone più pregiate della città. Alcuni ricevono anche più di un appartamento in funzione della grandezza del terreno e della famiglia.

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Orhan però venderà gli appartamenti che gli spettano e se ne andrà a vivere ad Adapazarı, fuori Istanbul, dove vivono i parenti della moglie, Şefika. Là c’è la casa che assomiglia a quella in cui immagina di poter vivere: unico piano (terreno), un giardino con alberi da frutta, dove si può bere il tè e ricevere gli ospiti. Dove può tenere i suoi due canarini (ne ha due nel soggiorno) e anche un cane. Nella nuova Fikirtepe non potrebbe mai vivere. La moglie è velata e loro sono molto religiosi. Come fanno ad abitare in un posto dove la gente va in piscina mezza nuda e si vanno a far fare i massaggi. “Ci vergogneremmo. Inoltre da qui alla fine della strada saluto e scambio due parole con almeno cinquanta persone. Con questi appartamenti, ognuno il suo, con chi parlo? Io ho bisogno di una casa che apro la porta e sono subito in strada, vicino alla gente.”

Orhan ha le idee così chiare e questo mi aiuta molto. In molte delle persone che intervisto c’è quella sospensione, quell’incapacità di raccontare di sé, della propria casa e del proprio quartiere come era prima, e di immaginare quello che sarà dopo. Mulime, dalla sua casa che si affaccia sul vuoto creato dalle ruspe, in riga con le altre case a cui tocca la prossima demolizione, non sa nemmeno di preciso quando inizieranno i lavori, né dove andrà temporaneamente in affitto. Ha circa sessantacinque-sessant’anni e vive con il marito Hasan.

Il padre di Orhan ha novant’anni, non capisce bene, ma conosce l’espressione kentsel dönüşüm (trasformazione urbana), usata dal figlio per spiegare cosa ci facciamo in casa sua. La casa l’ha costruita lui, che ha partecipato alla “guerra tedesca” e di cui nel salotto c’è una foto di quando aveva ventidue anni con il fez e i calzari e gli şalvar.

Me lo immagino nei diversi spostamenti: da casa sua a chissà dove in affitto per due o tre anni, poi nella lussuosa casa del suo quartiere trasfigurato in attesa di essere venduta, poi finalmente ad Adapazarı, nel suo grande giardino a bere tè e sgridare il cane. Me lo immagino chiedere lentamente con un filo di voce, come aveva fatto di fronte a me e a un amico fotografo di passaggio a Fikirtepe, seduti di fronte a lui con i nostri apparecchi neri in mano: “Ne için? Per che cosa?”

Invece Husein proprio non capisce la mia domanda quando gli chiedo: “Ma non sarà un po’ difficile per le persone anziane?” Riformulo tre volte pensando che sbaglio qualcosa con la lingua, poi mi rendo conto che non riesce proprio a capire quale possa essere il problema. Eppure racconta che, essendo lui stesso costruttore ed essendosi costruito da sé la propria casa, non è riuscito a guardare mentre la demolivano, perché sarebbe stato troppo doloroso.

Lui non vuole guardare indietro, e nemmeno sa bene cosa aspettarsi. Non riesce a descrivermi il suo quartiere, non capisce le mie domande. Ma ha fede in Dio e sembra sicuro che ciò che Dio vorrà dargli lo soddisferà.



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