Parigi: neocoloniale inquinata noiosa

La ville lumiere giace sotto uno splendido sole ghiacciato immersa in un’atmosfera altamente inquinata. Da sette giorni almeno le polveri sottili impazzano e frullano nell’aria  fin dentro i polmoni ben sopra la soglia d’allarme di 80 microgrammi per metro cubo

da Parigi, Bruno Giorgini

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20 dicembre 2013 – Così, secondo le autorità preposte non si sa bene a cosa, vecchi e bambini rimangano sigillati in casa, i caminetti spenti – pare che fonte somma d’inquinamento siano i riscaldamenti a legna –  le automobili vivamente pregate di restare in garage, specie diesel, e se proprio non se ne può fare a meno, devono muoversi con velocità non superiori ai cinquanta chilometri l’ora anche lungo i boulevards peripheriques, al solito con limite di 90. Come per le grida di manzoniana memoria, nessuno fa caso ai proclami, le microparticelle continuano a piovere avvelenando  respiri e polmoni, mentre secondo le parole profetiche di Dalla e Roversi in una famosa canzone, gli ingorghi misurano decine, vuoi centinai di chilometri nell’Ile de France, la regione di Parigi, dove tutto si accentra, merci, esseri umani, potere politico e poteri più opachi ma non meno potenti, anzi di più, quello della finanza per esempio, o della speculazione edilizia.

Se andare a passeggio non è igienico per via dell’aria, si può sfogliare Le Monde di giovedì 12 dicembre. In prima pagina la France dans le piège centrafricain, la Francia nella trappola centrafricana, e di spalla alerte à l’amiante dans la tour montparnasse, allarme amianto nella torre di Montparnasse. Che l’edificio più alto di Parigi fosse intriso d’amianto già si sapeva, e in più occasioni si erano avviate bonifiche parziali, costosissime (oltre 250 milioni di euro), con annessa evacuazione temporanea dei piani interessati ai lavori, e già non era stata una buona pubblicità per questo simbolo della modernità globalizzata, ma il giornale va ben oltre, pubblicando stralci di un rapporto tecnico riservato dove si dice che l’amianto sarebbe, tra l’altro, presente nelle bocche e nei condotti d’areazione.

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Questo significa che gli affilatissimi, impercettibili e cancerogeni aghi d’amianto potrebbero circolare per aerosol in tutto l’immobile, venendo così inalati nei polmoni delle persone durante la respirazione un po’ ovunque. Secondo Le Monde la prefettura della regione tenta di evitare l’evacuazione totale rispondendo che “con tutti questi posti di lavoro in ballo a due settimane dal Natale non c’è neanche da pensarlo”, mentre l’associazione dei proprietari ha cercato di buttare acqua sul fuoco senza però smentire le rivelazioni del giornale. Il presidente della stessa s’arrampica sugli specchi ipotizzando senza tema del ridicolo un atto di sabotaggio. Nella tour de Montparnasse lavorano circa cinquemila (5000) persone, in gran parte impiegati e funzionari di banche e istituti finanziari vari, che adesso letteralmente non possono arrischiarsi a tirare il fiato. Quindi ci sono i lavoratori meno qualificati, addetti/e alle pulizie, alla manutenzione, alla sicurezza (safety and security) che girando tutti i piani sono particolarmente esposti, però i pompieri che intervengono per rimettere in funzione gli allarmi lo fanno senza alcuna protezione, perchè il loro responsabile giudica che anche una semplice mascherina, “preoccuperebbe la clientela”. Ma se il grattacielo luccicante eletto a più alto simbolo del profitto e dell’accumulazione globale e locale (glocal con brutto neologismo) di capitale è foderato d’amianto, e imbecillità, a consolazione i parà francesi sbarcano in Centrafrica.

 

Il buon vecchio riflesso coloniale funziona sempre. S’intende sub specie di missione umanitaria che però non salva dal rischio di finire in trappola. Anzi più trappole. Le truppe francesi non hanno alcun mandato internazionale esplicito se si esclude una richiesta piuttosto fumosa dell’Unione Africana, e la Francia isolata va più o meno mendicando una qualche lettera di raccomandazione da una qualche istituzione della UE a certificare che almeno l’intervento non è del tutto fuorilegge. Per quel che attiene la missione in loco, scopo dichiarato dovrebbe essere di separare i contendenti della comunità cristiana e di quella mussulmana che da alcune settimane se non mesi si ammazzano, disarmando le rispettive milizie, a fronte di un governo che tra corruzione, violazione dei diritti, rapine dei suoi cittadini si avvia a battere tutti i record.

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E già questo pone problema, perchè certo ci sono le razzie, i saccheggi, gli stupri etnici e religiosi e altre massacranti pratiche, ma su entrambi i fronti, cristiano e mussulmano, mentre le milizie non sono costituite da sparuti gruppi di assassini e/o terroristi, bensì sono formazioni popolari, sostenute dalle rispettive comunità, il che non giustifica ma rende molto difficile separare i buoni dai cattivi, i colpevoli dagli innocenti.

Così appena arrivati i soldati cocoricò invece di essere accolti come liberatori, vengono presi a fucilate da ambo le parti, e due muoiono, mentre le TV francesi riprendono una folla di giovani cristiani che mette a ferro e fuoco con caccia all’uomo un quartiere mussulmano lasciato indifeso. Nè il disarmo avviene massivo: con tutta la buona volontà dei media francesi, vengono mostrati e/o raccontati al più qualche mucchio di kalashnikov rugginosi e poco altro, le armi più pesanti e moderne essendo scomparse nel frattempo. Senza dire che i massacri si possono fare a colpi di machete, bastoni, pietre, fuoco. Per di più l’intero intervento militare non ha alcuna prospettiva politica, se non una generica volontà di introdurre la democrazia, il che è derisoire, per dirla in francese,  con 1600 soldati sperduti in un territorio  più vasto (+12%) della Francia, abitato da 4 milioni e mezzo circa di persone che sono cittadini di uno stesso stato soltanto perchè così decisero i colonizzatori d’antan, e senza alcun interlocutore politico interno. Se non ce l’hanno fatta gli USA a capo di grandi coalizioni politico militari in Irak e in Afghanistan, figuriamoci i solitari francesi in Centrafrica.

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Eppure con trombe fanfare gonfaloni il Presidente socialista Hollande è andato in battaglia. Perchè? A parte le smanie dell’uomo, giocano due fattori intrecciati. Il primo dice che la Francia, mancando di una efficace e credibile politica europea e non potendo più agitare il vessilo dell’asse franco tedesco come cardine dell’UE, cerca disperatamente un ruolo, una missione a livello internazionale almeno degna del suo rango di membro permanente con diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU – in tutto sono cinque – perchè un ruolo internazionale forte, se non preminente,  è costituente la nazione e lo stato francese, in particolare la V Repubblica, e come tale è sentito dai cittadini, senza quasi distinzioni politiche; un Presidente carente se non imbelle sulla scena internazionale ne ha metà della persa, metà autorità, metà prestigio, metà carisma, metà voti. Allora bisogna mostrare i muscoli, e quale miglior luogo delle antiche colonie africane dove si ha una certa esperienza di dominio dalla schiavitù in poi, almeno per risalire un poco nei sondaggi – il secondo fattore. Infatti dopo un paio di mesi in costante discesa fin sotto il 15%, Le Nouvel Observateur, storica testata della sinistra, il 12 dicembre annuncia che forse, arrivati in fondo alla buca, si sta invertendo la tendenza poichè l’indice di Hollande segna il 17% di gradimento,  e quel 2% in più par proprio frutto dell’azione militare sedicente umanitaria in Centrafrica. Salvo che due giorni dopo, e due morti francesi in più, soltanto il 44%, dei francesi si dichiara d’accordo con la campagna d’Africa, insomma la pezza può rivelarsi peggiore del buco.

Dall’impresa neocoloniale in Africa al razzismo in patria il passo è breve, due facce della stessa medaglia seppure i socialisti sembrino non accorgersene, con seguito di immigrazione come capro espiatorio e diritti dei cittadini francesi di origini “aliene”, formalmente eguali, di fatto diversi e spesso discriminati.

Le Monde di sabato 14 dicembre pubblica ben sei (6) articoli ampi sull’argomento, tra cui una doppia pagina “La France est-elle vraiment raciste?” dove si racconta uno studio che fissa il numero dei razzisti all’8% dell’intera popolazione. Si tratta di razzisti “biologici”, cioè esistono le razze, e quella bianca è superiore per diritto naturale dovuto al suo DNA, e/o di razzisti ideologici cioè persone che hanno una ideologia del “dominio razziale”, per cui il DNA non c’entra, ma l’uomo bianco è dominante per volontà di Dio e/o per suoi umani meriti, più pulito, più operoso, più intelligente, più pudico, più austero, ecc.. Oltre cinque (5) milioni di individui – i francesi sono 64 milioni e mezzo all’incirca- si dichiarano apertamente  “razzisti”, e si può supporre che questo numero sia un limite inferiore, essendo che alcuni avranno avuto ritegno, come una volta succedeva per il FN i cui sondaggi erano sempre inferiori di 4-5 punti percentuali ai valori reali perchè  molti erano fascisti ma non amavano dirlo, per non dire che, se l’8% è misurato sull’intera popolazione, togliendo dal computo i bambini e i molto vecchi, può diventare un buon 10%. Però non ci si ferma qui, perchè, ci dice lo studio,  dilaga l’islamofobia diventata la nuova forma assunta dal rifiuto dell’altro, il diverso, nonchè motore della sua esclusione.

Gli episodi di discriminazione nei confronti delle persone di religione islamica sono quotidiani e a leggerli tutti in fila fanno impressione. Scrivono testualmente gli autori della ricerca: “il mussulmano ha sostituito l’ebreo nella rappresentazione e costruzione del capro espiatorio”.  Vengono in mente alcune parole nelle straordinarie pagine di Primo Levi sull’esperienza di Auschwitz, laddove egli scrive che nel campo “ viene in luce che esistono fra gli uomini due categorie particolarmente ben distinte: i salvati e i sommersi”, essendo i sommersi chiamati  Mussulmani,”con tale termine Muselmann, ignoro per qual ragione, i vecchi del campo designavano i deboli, gli inetti, i votati alla selezione(..) quelli che sono qui di passaggio e di cui non rimarrà che un pugno di cenere”, ovviamente con le dovute proporzioni, perchè la Francia non è un campo di concentramento tantomeno di sterminio, per nessuno. Dulcis, si fa per dire, in fundo, un episodio misura la paura del governo e di Hollande a fronte del cul de sac dove lo ha rinchiuso l’offensiva sull’identità franco francese di Marine Le Pen.

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Un gruppo di lavoro  su mandato del governo ha prodotto un documento ampio sui problemi dell’integrazione “La Grand Nation Pour Une Société Inclusive” dove già alcuni titoli dei capitoli appaiono “scandalosi” rispetto alla situazione attuale, come gli “spazi riservati nei cimiteri per i mussulmani” o il perentorio “lasciamo pregare i mussulmani” oppure “la politica d’integrazione è la politica: ogni politica deve essere politica d’integrazione”, o ancora “Francesi naturalmente, tramite la scuola o i bambini”, e ci sta scritto pure che  è ora di finirla con l’interdizione di portare il velo alle giovani studentesse mussulmane, dicesi il velo, cioè il fazzoletto copricapo non il burka integrale, e che sarebbe ora di riscrivere la storia patria con un minimo di critica al colonialismo francese. Apriti cielo, si è scatenata la destra, estrema, meno estrema, moderata, centrista, tutti in nome della Repubblica, mentre la sinistra di governo – quella non di governo ha taciuto- si è rifugiata dietro il dito del documento di lavoro, senza alcun significato politico, e Hollande è arrivato a dire che sì, il documento era stato pubblicato sul sito del governo, ma non certo su quello dell’Eliseo. D’altra parte un Eliseo neocolonialista non poteva accedere a una discussione aperta e reale sul rapporto tra le diverse comunità, e sull’eguaglianza dei diritti (nessun divieto c’è, per esempio, che a scuola una ragazza cristiana porti una croce al petto o una giovinetta ebrea si adorni i capelli con la stella di davide), così come Hollande non potrà mai mantenere la promessa del voto agli immigrati nelle elezioni locali.

Infine Parigi neocoloniale e inquinata è per soprammercato assai noiosa. Una delle capitali del mondo sempre, con le mostre d’arte, il lungosenna e i bouquinistes,  il french can can, lo champagne, ma le ostriche costano un occhio della testa perchè tra un terzo e la metà della produzione è annichilito per una misteriosa infezione, che misteriosa non è dipendendo dall’inquinamento del mare ormai sopra la soglia critica, cioè almeno per qualche decina d’anni irreversibile, nonchè dalla temperatura dell’acqua troppo alta causa il riscaldamento globale in corso d’opera.

Una delle capitali del mondo però noiosa. Ci fu un tempo in cui a Parigi era palpitante di desideri e di sogni. Ciascuno/a pensava e sentiva che dietro ogni angolo potesse insorgere una avventura del corpo, dell’intelletto, della fantasia, in una dimensione di libertà e d’incontro cosmopolita. Prendevi il metrò e in pochi minuti arrivavi in Africa ma sul serio, oppure nel cuore del Maghreb, in Giamaica se ti piaceva e persino tra gli chalet svizzeri, mentre nei corridoi del metrò dismessi si svolgevano feste notturne  improvvisate e favolose. Parigi era allora di un’eleganza pericolosa e eccitante, misteriosa e piena di fascino. Oggi è prevedibile, senza scarti da una grassa normalità, sempre più uniforme,  e avvolta nei gas più o meno tossici.

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Il punto di svolta fu l’insurrezione delle banlieues del 2005, che vide protagonisti soprattutto giovani beurs. Allora Parigi  scoperse di essere accerchiata, scoprì che fuori dalle sue mura esisteva un popolo di esclusi che aveva deciso di ribellarsi, praticando così la suprema arte della Repubblica, quella delle barricate. E si trovò di fronte  a un bivio, o aprirsi diventando sul serio cosmopolita rispetto prima di tutto a coloro che fino allora aveva escluso, lasciandosi coinvolgere dal conflitto  con tutti i rischi che comportava ma cercando comunque nuove forme di convivenza civile, oppure blindarsi nella sicurezza rannicchiata nei suoi privilegi, e costruendo una società urbana localmente conforme/conformista, globalmente arrivista e finanziarizzata il cui simbolo sono ormai gli Champs-Élysées dal lusso sfrenato ma spesso pacchiano, la Defense, il quartiere degli affaristi e dei mercanti, e la Tour de Montparnasse, foderata d’amianto.

Ma come già è successo in passato, le barricate e la cultura critica a volte risorgono quando meno ce lo si aspetta, e con loro la città. Quando? Presto, spero.

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