La colonna destra dei siti mainstream italiani è il trionfo dei click e la morte del contenuto in rete. Dai castori che ballano alle anatomie dei corpi esibiti in finti servizi rubati.
Q Code Mag affronta la sonnolenza postprandiale che caratterizza alcune date clou di queste feste, o il senso dilatato delle giornate natalizie e di inizio anno, con una carrellata di consigli fra lettura, video, cinema, facezie o spunti per svuotare la scatola cranica. O riempirla di contenuti di quel bellissimo concetto dei nostri avi, che veneravano l’otium come occasione di crescita personale.
di Angelo Miotto
Due libri, un webdoc, una musica, una scultura che respira. Ecco la mia colonna destra per questi giorni a venire. Nessuna pretesa di critica, qualche consiglio per passare bene qualche spicchio di tempo in più, quando la tavola ormai è un campo di battaglia consumato e le ore che ci separano dal round successivo ci lasciano pigramente galleggiare in un senso di dolce far nulla. E con un particolare pensiero di solidarietà per tutti quelli che, invece, quel momento non lo avranno perché spesso ci dimentichiamo che molti devono lavorare anche a Natale.
Due libri. Il primo sceglietelo a caso nella collezione di autori di noir. Non vi dico Jean Claude Izzo (ma se non lo conoscete dovete assolutamente correre ai ripari), ma molto più semplicemente da qualche tempo la mia dipendenza abbraccia il detective spilungone, ubriacone e disadattato socialmente Harry Hole, uscito dalla testa e dalla penna di Jo Nesbo. Se fossi in voi partirei dal primo libro, il Pettirosso, giusto per avere un po’ d’ordine.
Il secondo libro è una rilettura dei tempi del liceo, un Bulgakov che gioca con il Maestro e Margherita. Dove l’elemento diabolico, così come raccontato e romanzato, assume un fascino irresistibile e finalmente concede al lato oscuro una simpatia che in un gatto dal nome Ippopotamo, fornito di parola e pistole, non può che destabilizzarvi con piacere.
Un webdoc. Ce ne sono molti interessanti. Ma qui possiamo segnalare un ottimo prodotto. Si chiama http://www.noesunacrisis.com/es
Un webdoc dedicato alla crisi partitica, prima che politica ed economica in Spagna. Non c’è molto da dire, c’è da navigare. Scegliete fra inglese, francese e spagnolo.
Una musica. Jesus Blood Never Failed me yet. Gavin Bryars, con vocals di Tom Waits.
Siamo nel 1971, Londra, in una zona che tocca Elephant and Castle e Waterloo Station. Gavin Bryars è un compositore e sta raccogliendo suoni insieme al suo amico Alan Power. Trovano persone che cantano spezzoni d’opera, gente bevuta, e un senza tetto che canta un motivo religioso. Quel motivo non sarà scelto per la colonna sonora del filmato. E così Gavin Bryars decide di lavorarci per un altro progetto.
Perché quando si mette al pianoforte, riascoltando quella canzone, si accorge che il vecchio homeless era perfettamente intonato. Bryars costruisce immediatamente un accompagnamento e si accorge che le tredici battute di cui si compone il canto possono essere replicate in circolo, creando così quello che si chiama un loop. Nello studio di registrazione costruisce questa traccia di ripetizione circolare della voce. Racconta: “Andai a prendere un caffè, lasciando la porta dello studio aperta. La voce del senzatetto si propagava negli ambienti e quando sono tornato dalla mia pausa sono rimasto sorpreso nel vedere come le persone che erano negli uffici si muovessero con più calma, il rumore era più attutito, la musica, questa cantilena serena stava influendo sulle loro emozioni”. All’inizio, tenete conto delle date, la produzione di Bryars fu quella di un disco in vinile. Quando Tom Waits scrisse a Bryars peer chiedere notizia di questa musica di cui aveva avuto informazioni, Bryars dovette rispondergli che ormai il disco era esaurito. Ma una nuova tecnologia stava arrivando, quella del compact disk. E prima di trasportarlo da un supporto all’altro, nacque l’idea di inserire l’inconfondibile voce di Waits nelle tracce finali del disco, in un controcanto emozionante rispetto alla melodia del senzatetto. Il risultato fu eccellente.
Adesso tocca a voi. Provate a mettere questa musica e il vecchio homeless in sottofondo e vedete che effetto fa.
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La scultura. I Pettini del vento, di Eduardo Chillida, San Sebastian, Donosti in basco.
Ecco questa scultura di Eduardo Chillida, un eccezionale scultore di cui non è questa l’occasione di raccontare vita e opere, sono dei pezzi di metallo forgiato incastonati nelle rocce di un promontorio che si incunea nel mare, alla fine della Concha, la conchiglia di sabbia di San Sebastian. La scultura è evocativa e suggestiva, a vederla così. Ma qui si consiglia un viaggio: andate a vedere questi pettini e se avrete fortuna non incapperete in una giornata di sole, ma con il cielo che minaccia temporale, o con un temporale appena terminato, quando la luce là in fondo torna a fare capolino e tutto sembra più nitido e chiaro. Camminando lungo il molo che porta fino alla scultura sarete in compagnia del mare e se c’è vento, ce ne è sempre, vedrete le onde arrivare a riva con le loro creste bianche spettinate e vaporizzate dall’aria che soffia.
La scultura non sono solo i bracci piegati, i denti del pettine. Per terra sono stati scavati dei fori: quando l’onda arriva sotto la roccia l’acqua va in pressione e spruzza vapore acqueo dai fori, che fanno un rumore particolare. Sostanzialmente, respirano. E vi troverete a rimanere lì in una dimensione di curiosità, prima e di attesa ritmica, costante e a respirare insieme alla scultura in un piacevole limbo temporale. Ecco, il solo ricordarlo riporta là, di fronte a quell’invenzione così tellurica, eppure legata indissolubilmente al mare e al moto ondoso.