La colonna destra dei siti mainstream italiani è il trionfo dei click e la morte del contenuto in rete. Dai castori che ballano alle anatomie dei corpi esibiti in finti servizi rubati.
Q Code Mag affronta la sonnolenza postprandiale che caratterizza alcune date clou di queste feste, o il senso dilatato delle giornate natalizie e di inizio anno, con una carrellata di consigli fra lettura, video, cinema, facezie o spunti per svuotare la scatola cranica. O riempirla di contenuti di quel bellissimo concetto dei nostri avi, che veneravano l’otium come occasione di crescita personale.
di Cora Ranci
Intanto, una musica.
28 dicembre 2013 – Un album di Paolo Conte, che in realtà è molto di più: lui stesso lo ha definito “un progetto ambizioso, un sogno inseguito da trent’anni”. RazMataz (uscito nel 2000 e direttamente tratto dall’omonimo musical-vaudeville) è un incredibile e coinvolgente spiegamento di musica, voci, dialoghi, rumori. Il disco è una storia: narra di un incontro avvenuto a Parigi negli anni Venti: quello tra la vecchia Europa e la musica nera proveniente dagli Stati Uniti.
I 18 brani mescolano musica americana, francese, lirica italiana e danza spagnola. Un album che catapulta in uno spazio-tempo magico, meraviglioso ed esotico. Da ascoltare ad alto volume. Paolo Conte ne ha parlato così:
RazMataz è la realizzazione del sogno di un musicista che scrive tanta musica e vagheggia l’idea di riuscire, un giorno, a riunirla tutta assieme in un unico contenitore. Da parecchi anni nutro il desiderio vagamente megalomane di scrivere molte musiche diverse per poi riunirle tutte in una storia; ed è proprio per questo motivo che ho deciso di scriverla, una storia, ambientandola tra gli anni Dieci e gli anni Venti che mi sono tanto cari. L’epoca che ho sempre amato di più e alla quale faccio continuo riferimento nel mio lavoro è appunto quella del primo Novecento: mi sono invaghito di un tempo in cui non ero ancora nato, al quale appartengono moltissime cose che mi hanno estremamente interessato. Andando a cercare, per istinto, la “quintessenza” del secolo scorso, mi è parso di trovarla proprio in quegli anni, nei quali c’è uno straordinario concentrato di modernità, come mai ce ne fu negli anni successivi.
Poi, un libro. Anzi, due.
Il primo è un classico: Chiedi alla polvere dell’italo-americano John Fante (uscito nel 1939), e non è qui il caso di presentarlo. Basti dire che siamo nella California della grande depressione, dove arriva Arturo Bandini, un giovane che sogna di fare lo scrittore.
Il libro comincia così:
Una sera me ne stavo a sedere nel letto della mia stanza d’albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell’albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.
E in sole poche righe, Fante ci ha raccontato un mondo: che vale la pena scoprire.
L’altro libro ci riporta in Italia. Nella Napoli del secondo dopoguerra, per la precisione. L’amica geniale di Elena Ferrante – pseudonimo di un’autrice di cui non si conosce la vera identità – narra la storia di un’amicizia tra due bambine, poi adolescenti e infine donne. Lila e Lenù crescono in un mondo fatto di litigi improvvisi, mazzate, lacrime e bestemmie. Ma proprio nella loro amicizia trovano un “accendersi” a vicenda che le porterà a intessere un legame speciale, in cui in molte possiamo riconoscerci, almeno in parte. “Cominciate a leggere questo libro e vorrete che non finisca mai”, cita il retro del libro. E per chi vi si appassiona, c’è anche una buona notizia: L’amica geniale è solo il primo volume di una trilogia già edita. La storia continua…
Infine, un film documentario.
Searching for Sugar Man riesce a emozionare come se fosse un film di finzione, solo che non lo è. C’è qualcosa di magico e a tratti leggendario nella storia di Sixto Rodriguez, cantautore statunitense, classe 1942. Verso la fine degli anni ’60, questo incredibile artista di origini messicane iniziò a cantare la condizione della classe operaia della sua città natale, Detroit. Negli Stati Uniti, però, mentre artisti del calibro di Bob Dylan si andavano affermando, Rodriguez non riuscì ad avere successo – con grande stupore dei suoi produttori apparentemente incapaci di spiegare un tale fallimento – e per far fronte alle difficoltà economiche dovette iniziare a lavorare come operaio. Sconosciuto nel suo paese, Rodriguez diventò però una stella nel Sudafrica dell’apartheid, dove le sue canzoni furono la colonna sonora della lotta contro la segregazione dei neri. Mentre tutto questo accadeva, Rodriguez lavorava come operaio a Detroit assolutamente ignaro di quello che stava accadendo nell’altro emisfero del mondo, dove le sue canzoni erano i tormentoni di una generazione intera di giovani. Ma che fine aveva fatto Rodriguez? La sua figura è rimasta avvolta nel mistero, fino a che qualcuno non si è messo sulle sue tracce…
C’è una canzone, “Cause”, particolarmente intensa. E’ stata incisa nel 1971 e parla di un uomo che ha perso il lavoro proprio due settimane prima di Natale. Chiudiamo su queste note, con un pensiero speciale ai tanti che si trovano oggi in quella condizione.