Siria, Baghdad, Beirut, Gaza, Cairo e altre ancora. Il 2014 e le vene aperte del Nord Africa, del Vicino e Medio Oriente
di Christian Elia
28 dicembre 2013 – Nella geografia, come insegna Franco Farinelli, si disegnano cartografie a più livelli, fino ad arrivare a una geopoetica dei luoghi, simbolica e allo stesso tempo empirica, che ha molto da insegnare.
Le vene aperte del Nord Africa, del Vicino e del Medio Oriente devono diventare una priorità delle agende diplomatiche, perché non c’è punto di equilibrio allo stesso tempo più instabile e più determinante sugli equilibri globali di quella parte di mondo. Questo è quello che il 2014, ormai alle porte, assegna alla politica internazionale come scadenza ormai non più procrastinabile.
Il Rub al-Khali, o ‘quarto vuoto’, è il secondo deserto più vasto del pianeta. Ricopre due terzi della Penisola Arabica. Disabitato, in alcune zone ancora inesplorato, con dune alte come grattacieli, vive un processo di desertificazione che ne amplia i confini, ma non è sempre stato così.
Freya Stark, spia, viaggiatrice e cartografa, ne raccontò i misteri e il fascino tra le due guerre mondiali, in un libro memorabile: Le porte dell’Arabia. Un diario di viaggio che ancora raccoglieva la memoria carovaniera, che aveva fatto di quel luogo uno degli snodi dei commerci tra l’Africa e l’Estremo Oriente, sulle rotte dell’incenso. Un mare di sabbia che ingoia, progressivamente, esseri umani e città, storie e futuro.
Guardando oggi a una parte di questo mondo, non si può non sentire il peso di un quadro generale che si infiamma sempre di più. Nelle ultime ore un’autobomba a Beirut ha ucciso l’ex ministro delle Finanze Mohammed Shatah, oppositore della Siria, mentre a Baghdad sono decine le vittime degli attacchi contro i quartieri cristiani.
Il Cairo si prepara al referendum costituzionale di gennaio in un clima che si arroventa ogni giorno che passa, con i Fratelli Musulmani messi di nuovo fuori legge, riportando indietro l’orologio della storia, tra bombe e tensioni. Gaza, più chiusa dentro che mai, è di nuovo sotto le bombe, come in un macabro anniversario dell’attacco di Piombo Fuso nel dicembre 2008.
Su tutti spicca il dramma siriano: centinaia di migliaia di morti, milioni di persone in fuga, mentre l’appuntamento di Ginevra per gennaio sembra lontano non solo nel tempo, ma anche e soprattutto dal dramma dei civili che continuano a morire come in questi giorni ad Aleppo, dove il massacro avanza lontano da occhi indiscreti.
La firma dell’accordo tra l’Iran e l’Occidente, tutto da verificare e valido per soli sei mesi, aveva forse illuso molti osservatori superficiali. Le questioni, le vene aperte, invece sono ancora tutte là. E sanguinano copiosamente.
Le rivolte del 2011 sono da ricordare come uno dei segnali più importanti di una parte di mondo, ma lo stato attuale presenta un bilancio molto negativo. I movimenti progressisti sono finiti nell’angolo, schiacciati e non sostenuti a dovere, impotenti davanti allo scontro tra regimi autoritari e integralisti islamici, mentre l’Islam politico – unica realtà pronta davvero a gestire il potere – è stato troppo in fretta liquidato come oscurantista, senza rendersi conto che è con quello che bisogna confrontarsi, per non ingrossare le fila degli oltranzisti.
La guerra in Siria, con le sue ripercussioni in tutta la regione, il conflitto israelo-palestinese, in criminale stato di abbandono, la tensione tra sunniti e sciiti alimentata ad hoc, la tensione tra militari e Fratelli Musulmani, lo sbando della Libia, le radici del contrasto in Bahrein, Yemen e Iraq e tanto altro ancora.
Il 2014 deve iniziare con la consapevolezza che in quella parte di mondo si disegnano coordinate di futuro condivise da tutti. Il deserto si allarga, la sabbia inesorabile si allunga a coprire, come una neve senza ritorno, i confini di una regione che non va abbandonata alle sue divisioni, delle quali in larga parte sono responsabili gli stessi attori che si proclamano pronti a risolverle. Il quarto vuoto va riempito, di giustizia e libertà.