Marrakech – “Un cucchiaio, afek (per favore)”, chiede Abd’Alì, 5 anni. “Safi (Va bene), ecco il cucchiaio”, dice l’ambulante. Poco dopo il tramonto, nelle strade della Medina, il venditore con il carretto cede al cliente un cucchiaio d’olio.
da Marakech Olga Piscitelli
29 dicembre 2013 – Tecnicamente è la transazione perfetta: un contratto non scritto tra l’uomo che vende e il cucciolo che compra quell’ombra d’olio. Chi gli ha detto di prenderne un cucchiaio? L’adulto sorride con tenerezza, il bimbo è soddisfatto. La manina che ha porto il dirham, la moneta da 10 centesimi di euro, adesso stringe un sacchetto di plastica trasparente con l’olio. Meno di un centimetro, giallo paglierino.
Abd’Alì corre a casa. Una parte di quel liquido grasso rimarrà per sempre attaccato alle pareti del sacchetto. Io in quei sacchetti avevo visto mettere solo pesci rossi. Che progetto di vita è un cucchiaio d’olio?
Ne metto almeno due nell’insalata, tre per fare il sugo da mangiare con gli spaghetti, molti, ma molti di più per le patate fritte.
Ne uso sempre più d’uno anche quando cucino marocchino. Cous cous, tajine, zaaluk si fanno con l’olio. Puoi sceglierlo di buona qualità, d’oliva o di semi, puro o tagliato, ma non puoi farne a meno.
Che progetto di vita è allora un cucchiaio d’olio?
Ho pensato che potevo regalarglielo io un litro d’olio a quel bambino. Mi hanno detto che non si fa. Che è offensivo. Diseducativo, persino. Imbroglia le carte, non è una soluzione. (Intanto Abd’Alì mangerà un tajine fatto con un cucchiaio d’olio e dovrà anche dividerlo con il resto della – sicuramente – numerosa famiglia).
Ho pensato che potevo accordarmi con l’ambulante e far avere a quel bambino un po’ di olio in più. Per una volta… (Avevo chiesto il nome ad Abd’Alì). Intanto che pensavo c’erano altri bambini attorno a me. Ne vedevo tanti, sempre di più. E cresceva il senso d’impotenza. E anche la gioia di vederli lì, felici come solo i bambini, vestiti più o meno, con scarpe che sembrano calzate per vincere record di resistenza del cuoio e della plastica. Qualcosa mangiano, ho pensato. Da qualche parte dormono. Giocano. Vivono.
Mi hanno detto che in quel momento mi sono salvata.
C’è un mal d’Africa, sostengono, che può insinuarsi nel senso di potere (quando io ho pensato di regalare l’olio ad Abd’Alì). Poi il virus, quando entra così non se ne va, cresce cattivo e rovina le intenzioni. Da quel momento ogni cosa che fai diventa falsa, Kidebha: una bugia.
Avevo visto la realtà attraverso quel sacchetto, ma dentro c’erano ancora i pesci rossi.
Ora sono felice, perché Abd’Alì può comprare un cucchiaio d’olio.