La Russia ridisegna la sua politica in Medio Oriente, dalla Siria all’Iran, lavorando a una nuova centralità
di Aldo Ferrari, tratto da ISPI online
3 gennaio 2014 – Negli ultimi mesi la Russia sembra essere tornata prepotentemente al centro della scena politica internazionale. Non solo nello spazio dell’estero vicino post-sovietico, dove continua a tessere una rete di ricomposizione economica e politica basata in primo luogo sull’espansione dell’Unione Doganale Eurasiatica, ma anche in un contesto particolarmente delicato e decisamente esterno come quello del Medio Oriente.
Eppure, sino a pochi mesi fa si aveva l’impressione che Mosca non avesse un gran peso in questa regione, con gli ultimi stati-clienti ereditati dall’epoca sovietica ormai in crisi e una diffusa ostilità nei suoi confronti da parte di numerosi attori politici e religiosi locali.
In un breve volgere di tempo, invece, la situazione appare radicalmente mutata. Il 16 settembre ha visto il successo della mediazione russa riguardo alla distruzione dell’arsenale chimico di Assad, scongiurando in questo modo i bombardamenti americani e l’aggravamento del conflitto in Siria. Il 13-14 novembre si è svolta l’importante visita del ministro degli Esteri Lavrov e di quello della Difesa Shoigu in Egitto per negoziare la vendita di armamenti in un momento in cui questo paese ha allentato i legami politici e militari con gli Stati Uniti. Il 21 novembre abbiamo assistito invece alla conclusione positiva dei negoziati di Ginevra sul programma nucleare dell’Iran ai quali la Russia non ha solo partecipato, ma ha visto in sostanza prevalere la sua linea politica riguardo tale questione.
Infine, quasi negli stessi giorni, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo corrispondente turco Recep Erdogan sono stati a Mosca, in rapida successione, a riprova della crescente rilevanza russa nella regione. A questo attivismo della politica estera nel Medio Oriente si può aggiungere anche la dichiarata volontà di Mosca di porsi come protettrice delle comunità cristiane della regione, la cui sopravvivenza è ormai realmente a rischio.
Si tratta peraltro di un aspetto molto delicato del quale, oltre al lato propagandistico, va segnalato anche il pericoloso precedente storico: un’analoga presa di posizione fu tra le cause che scatenarono nell’Ottocento la guerra di Crimea, disastrosa per la Russia. È anche interessante osservare come la politica estera di Mosca sembri riprendere alcuni aspetti di quella sovietica, in particolare per quel che riguarda i rapporti con Siria ed Egitto. Si tratta tuttavia di un aspetto solo parzialmente significativo. Assai più importante è chiedersi a che cosa siano dovuti gli indubbi successi riportati da Mosca e, più ancora, se questi ne segnino davvero un ritorno permanente ai vertici della scena internazionale, in particolare di quella mediorientale. La risposta non può essere univoca.
Occorre in primo luogo tener presente che il Cremlino non aspira affatto a sostituirsi agli Stati Uniti come attore principale del Medio Oriente. In effetti sa bene di non averne assolutamente la possibilità. Il suo movente principale è piuttosto quello di impedire nella regione altri disastri provocati da politiche di fallimentare intervento esterno simili a quelle applicate in Libia. Inoltre, l’accresciuto ruolo della Russia in quest’area dipende a ben vedere non tanto dalla sua forza quanto dalla presente debolezza della posizione statunitense e dalla consueta inconsistenza di quella europea. Rispetto a Washington e Bruxelles, Mosca ha l’indubbio vantaggio di una linea politica più stabile e sicura, non ostacolata dalla commistione di motivazioni ideali e Realpolitik.
In un contesto internazionale confuso e caratterizzato da processi quanto mai contradditori come quello odierno, il punto di forza della politica estera russa sembra essere proprio il suo carattere “antico”, radicato nella tradizione politica dellasovranità nazionale. Rispetto tanto all’Iran quanto alla Siria Mosca ha mantenuto in questi anni un atteggiamento sostanzialmente coerente, apparendo un partner più affidabile – anche se non necessariamente amato – degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. In sostanza sta crescendo l’impressione che, a differenza di altri attori, la Russia sappia esattamente che cosa fare.
Nell’area mediorientale, inoltre, la presenza della Cina è ancora di basso profilo, e ancor più quella di paesi emergenti come Brasile e India, che non hanno una sufficiente esperienza internazionale per intervenire concretamente in un contesto tanto delicato. Potenze regionali come l’Arabia Saudita, la Turchia e l’Iran sono invece coinvolte – sia pure con modalità diverse – nei conflitti locali e non possono quindi offrire un reale contributo alla loro soluzione. In questa situazione Mosca si trova pertanto in una posizione che le consente di occupare spazi di attività politica lasciati vuoti da altri possibili attori. Si tratta di uno scenario in cui la Russia si sta muovendo con accortezza, ma che potrebbe cambiare, anche rapidamente, dinanzi a politiche più consistenti di altri paesi, Stati Uniti in primo luogo.