Intervista a Mila Turajlic, regista belgradese, autrice di Cinema Komunisto, dall’amore del Maresciallo Tito per il cinema all’epoca d’oro della settima arte in Jugoslavia
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/08/IMG_4409.jpg[/author_image] [author_info]di Samuel Bregolin. Diplomato come perito agrario, ha seguito letteratura contemporanea a Bologna. Si occupa di agricoltura biologica, reportage, poesia, giornalismo e viaggio. Ha viaggiato in Francia, Italia, Inghilterra, Spagna, Ex-Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Turchia, Tunisia e Marocco. Ama raccogliere e raccontare storie dal basso e dalla strada. Ha collaborato con Il Reporter, Colonnarotta, Lindro e Turisti non a Caso. Collabora con Viaggiare i Balcani, OggiViaggi, Il circolo del Manifesto di Bologna, Articolo3, Il Reportage, Qcode Mag. [/author_info] [/author]
5 gennaio 2013 – La questione etnica, nazionalistica, è ancora spinosa in ex-Jugoslavia. Sono recenti le manifestazioni contro il cirillico in Croazia, in Serbia ci si barrica dietro all’ortodossia della chiesa, ancora non si conoscono i risultati del censimento sulla popolazione in Bosnia e in Kosovo le tensioni continuano. Eppure tendiamo spesso a dimenticare che per più di quarant’anni queste repubbliche vissero assieme, in un paese prosperoso che giocò un ruolo importante nella politica di quell’epoca. Della Jugoslavia ricordiamo solo l’esplosiva fase finale: le carneficine e le pulizie etniche.
Mila Turajlic è una giovane regista belgradese, ha deciso di raccontare la storia cinematografica di quel paese che fu la Jugoslavia attraverso un documentario: Cinema Komunisto, uscito tre anni fa in Serbia e da qualche mese in Francia, mai presentato in Italia. Una carrellata sugli attori di fama mondiale che venivano all’epoca in visita a Belgrado, la passione del Maresciallo Tito per il cinema, gli enormi mezzi finanziari investiti per scenografie e riprese. Una maniera per aprire il dibattito e portare l’attenzione sulla memoria storica e collettiva della Jugoslavia.
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Mila, dove nasce Cinema Komunisto?
Mila Turajlic: L’idea mi è venuta vedendo lo stato d’incuria e di abbandono in cui sono ridotti oggi gli Avala Studios, i nostri studi cinematografici nazionali. Questa sorta di Hollywood dell’Est che fu costruita durante il comunismo, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale e che all’epoca fu tra i più grandi studi cinematografici al mondo, sul modello di Cinecittà a Roma. Sessant’anni dopo gli Avala Studios sono completamente dimenticati, distrutti, in uno stato spaventoso. La mia prima idea era di raccontare la loro storia: ignorati, ma fortemente legati a ciò che fu la Jugoslavia. D’altra parte ero anche preoccupata per il loro futuro, potrebbero essere rasi al suolo in qualsiasi momento nel processo di privatizzazione: non sono protetti come patrimonio culturale, qualsiasi imprenditore potrebbe costruire lì un supermercato o un centro commerciale.
Cosa racconti con Cinema Komunisto? Il cinema in Jugoslavia era propaganda?
MT: All’inizio attraverso la storia degli Avala Studios volevo comparare il passato e il presente. Un passato pieno di energia, dedicata alla costruzione di una società probabilmente troppo rigida, ma dove comunque esisteva un vero senso della comunità, che voleva costruire il proprio futuro. In questo momento in Serbia stiamo schiacciando, dimenticando il nostro passato e contemporaneamente non c’è nessuna visione chiara per il futuro.
Sfogliando tra gli archivi mi sono resa conto che questo paese visse in un decoro, ed è questo che è diventato il vero filo conduttore del mio film: come il cinema sia stato utilizzato per creare una recita ufficiale della Jugoslavia. Un progetto in due direzioni diverse, da una parte la costruzione della Jugoslavia politica e sociale, dall’altra l’uso di un cinema che desse l’immagine di questo progetto.
Nel tuo film il proiezionista personale di Tito racconta come il Maresciallo guardasse più di 300 film all’anno: fin dove arrivava questa sua passione?
MT: Approfondendo il ruolo del comunismo sulla società attraverso il cinema mi sono resa conto che fu davvero la volontà di Tito a creare la Jugoslavia. Le troupe cinematografiche gli inviavano le sceneggiature, che lui restituiva con correzioni scritte a biro, c’era un quotidiano scambio di fax e telefonate tra lui e il set. Tito non si limitava a vedere tutti i film di produzione jugoslava, era davvero coinvolto nel processo di realizzazione, sopratutto nei film storici sulla seconda guerra mondiale e la resistenza. È lui il padre fondatore che ha creato il mito cinematografico della Jugoslavia, il vero regista del paese.
In questi anni tutto quanto rappresenti la Jugoslavia viene abbandonato e dimenticato: che ne pensi di questa rimozione del passato?
MT: Le nuove generazioni in Serbia non conoscono il passato e la storia della Jugoslavia. I giovani sono stupiti dal vedere che in visita venivano personalità del calibro di Orson Welles, Alfred Hitchcock, Sofia Loren, o Alain Delon. Ignorano che la Jugoslavia fece parte del processo culturale di quegli anni, implicata nello scenario cinematografico mondiale.
La nostra società sarà obbligata a fare un dibattito sulla nostra memoria ufficiale e il mio ruolo di giovane regista è proprio quello di conservare la storia per dare alle prossime generazioni la possibilità di riscoprirla e di farsi una propria opinione.
Quali sono state le reazioni al film in Ex-Jugoslavia? Possiamo parlare oggi di un diffuso sentimento nostalgico?
MT: Sono cresciuta in una famiglia anticomunista ma molto legata al concetto di Jugoslavia e personalmente ne conservo un’idea e un’immagine molto forti, ma nel mio film non ho voluto prendere una posizione, ho preferito lasciar liberi gli spettatori di farsi la propria. Quello che vedono gli apparirà piuttosto reale o fantastico? Ho seguito Cinema Komunisto in tutte le sue proiezioni in ex-Jugoslavia, mi ha stupito molto vedere gli anziani rapiti dai sentimenti di nostalgia della gioventù. Per i giovani è stata una scoperta completa, che a volte ha scatenato delle discussioni tra padre e figlio, tra due generazioni divise al baratro della guerra.
Non so se esista un vero sentimento di nostalgia del periodo socialista, è evidente il contrasto con il presente: dove le persone si sentono completamente abbandonate nel processo di privatizzazione del capitalismo neoliberale. In paragone ad oggi la Jugoslavia aveva sicuramente un sistema sanitario e assistenziale migliori, le persone erano assistite, c’era un posto per tutti. Credo sia questa la vera ragione dei sentimenti nostalgici.