Live in Budapest

Shopping natalizio tra i negozi di vestiti di seconda mano e le sedi dei nuovi istituti  bancari nazionali ed asiatici entrati nel paese

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/12/1482358_10201544698914098_328256574_n.jpg[/author_image] [author_info]di Alessandro Grimaldi, da Budapest. Scrivo e mi appassiono qui, a Budapest, perchè da 150 anni è il posto dove in Europa ci si annoia meno. Tiene il blog Live in Budapest [/author_info] [/author]

 

” – Tutto è incerto non bisogna cercare di capire . (….) 

 – Il denaro non è nulla” (La famiglia Moskat, Isaac B. Singer)

5 gennaio 2014 – Ultimo giorno di lavoro. Quest’anno mi hanno spostato il turno e mi alzo col buio, ma è dicembre, il sole sorge dopo le 7. L’unico vantaggio è che il mio caro tram 37 è pieno di pendolari e non puzza ancora di barboni. Ho proprio tutte le fortune. Lo svantaggio è che non so a che punto è il paese, perchè il puzzo dei barboni nel tram è il mio personale indicatore economico nazionale.

Oggi però è una mattinata lunga, al lavoro si stappa lo spumante e  allora mi tocca ammazzare un paio d’ore prima che anche l’ultimo turno sia completato e la grande sala riunioni sia libera finalmente. Certo avrei circa 3000 libri nella mia memoria elettronica, ma son qua e preferisco sfogliare le riviste a cui l’ufficio è abbonato, cara vecchia carta.

Ecco una copia di Figyelő, l’Osservatore, prestigiosa rivista economica ungherese,  certo ben fatta, le notizie economiche del momento,il braccio di ferro del governo-banche sui mutui a tasso variabile schizzati alle stelle, poi l’equitalia ungherese, politica del gas russo, e Paolo Spada, consigliere d’amministrazione dell’Unicredit ungherese, ma l’uomo di copertina è Meszàros Csaba, neanche 40 anni e già tra i grandi ricchi d’Ungheria, ingegnere elettronico, un uomo che si è fatto da solo, tante aziende di successo, hi tech ed IT, una bella intervista, il momento più difficile della sua vita è stato quando ha vinto l’appalto per l’ammodernamento dei nastri trasportatori dell’aeroporto di Sidney, potevano lavorare solo tre le 23.30 e le 5 e alle 5 doveva essere tutto superefficiente.

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Ora si butta nel settore bancario, ha rilevato lo sportello (centralissimo) di una nota banca sudcoreana, Hanwha, pochi clienti, ma affezionati, servizi personalizzati per i suoi amici d’infanzia. Banche, dappertutto si sbraita contro le banche ma è l’Ungheria che si muove, sistema bancario tassato fino all’estremo, certo la maggior banca d’Ungheria è ungherese la gloriosa OTP, ma le altre son tutte straniere e delle più insidiose, Germania, Austria, Italia con Unicredit e Intesa San Paolo son loro che si arricchiscono tassiamole e pazienza se poi i costi ricadranno sui clienti, il direttore della Banca Centrale Ungherese l’ha detto chiaro e tonto, quattro delle prime otto banche devono lasciare il paese, vatti a fidare di una banca tedesca, meglio aprire i confini a na banca che non ha bisogno di soldi, perché il paese ce li ha già, banche russe, arabe, la Bank of China che già svetta lì  guarda un po’ di fronte alla banca centrale, o qualche piccola banca ungherese, siam piccoli e cresceremo.

Insomma il paese è pieno di giovani intraprendenti e di successo, basti dargli una spintarella o una pacca fraterna sulle spalleun po’ di fiducia e torneremo grandi, siamo a pochi mesi dalle elezioni gli indicatori economici si sono messi incredibilmente al sereno, al di là delle attese. “Ungheria e Romania saranno per l’IT l’India d’Europa”. C’era da aspettarselo, hajra magyarok…

Manca ancora un’oretta e allora pesco anche il Szabadföld, (terra libera, come una telenovela sugli emigrati italiani in Argentina), il settimanale della provincia nel suo riconoscibilissimo formato un po’piugrandedeglialtri , anche questo un bel giornale, con un’anima, una pagina di esteri per i villici  e ancora la rubrica degli scacchi sotto la posta del cuore. Terra libera ha invece un articolo corredato di grafici e tabelle sulle regioni d’Ungheria relegate, a parte la regione di Budapest e quella accanto all’Austria, agli ultimissimi posti nella classifica UE per reddito pro capite. Le ultime 20 regioni sono tutte in Ungheria, Romania e Bulgaria.

Mi gratto un po’ il capino allora, anche giunto nella sala riunioni bella e storica, disegnata dal grande Lechner ai primi del 900, quando ancora le banche ci avevano i soldini, e purtroppo oggi dannatamente fredda, ma almeno i vecchi dipendenti ormai in pensione giunti come tradizione a festeggiare con noi sono molto carini. Un omino che a malapena si regge in piedi fa un discorso commovente e impostato che inizia con lui nel 1949 pieno di speranza che cambia 3-4 lavori prima di trovare la sua vocazione; e dire che aveva frequentato i corsi di teatro…

Il giorno dopo sono libero, come un piccolo risparmiatore, il cielo è grigio da 7 giorni e devo passare un’ora in giro neanche so più perché. Sono all’imbocco della Dohàny, lì all’inizio del VII basso, quando la magnificenza del New York si stempera nel grasso dei gyros. Entro allora in un negozio di vestiti di seconda mano che qui a Budapest vanno alla grande (specialmente se con la union jack sulla vetrina e la scritta vero abbigliamento inglese). I negozi di vestiti usati, il mio secondo preferito indicatore economico nazionale. Siamo a Natale, è pieno di gente, colori caldi alle pareti, e tante donne dentro. il sistema si sconfigge così. Le camicie quasi nuove sono a 4 euro, io ne esco con una cravatta a due euro per le feste di Natale cui affidare il mio successo sociale.

Ci prendo gusto e mi dirigo sulla Rakoczi, il grande viale dedicato al Garibaldi ungherese, che dalla bellissima stazione orientale taglia i vecchi quartieri semicentrali di Pest, attraversa Blaha, il vero cuore pulsante della città e poi Astoria, l’altro grande incrociosimbolo, e poi il Danubio, il ponte Elisabetta, Sissi, e poi a tagliare Buda. Quasi naturalmente dalla stazione la via si riempì di alberghi grandi e piccoli, negozi e centri commerciali, dal Corvin Arihaz anni ’20 al magazzino del giovane pioniere.

Da anni però la Rakoczi è un fantasma, la storia è passata e il presente non c’è, la città si è sviluppata in altre direttrici e questa parte è incredibilmente rimasta al palo, vecchie insegne al neon, rimaste lì, negozi di libri da rimodernare, lo straniero che passa di là impara le parole Kiado ed Elado*.  una di quelle strade che meglio descrive dove è il paese e cosa le sta succedendo.

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Sicuramente si capisce che in Ungheria succede che la gente è molto affezionata alla moda vintage; ci provo gusto e me ne faccio altri tre o quattro, praticamente uno affianco all’altro, sempreverdi, commesse e  locali rimasti quelle degli anni 80 con qualche ruga in più e qualche speranza in meno nella vita. La commessa di 60 anni mi sorride, guarda, un bel giovane qua dentro.

Alla fine attraverso la Rakoczi, giusto all’altezza del grande palazzo neomoresco di Schmahl e lì sotto gli archi ocra arabeggianti ecco l’insegna nuova di zecca della SBER, colore dominante verde, verde speranza, è una banca e non un profumo, ma nei manifesti in vetrina c’è sempre un ragazzo figo e snello con cravatta e maniche di camicia e la tua compagna di classe carina in camicia, tailleur, occhiali con bordo leggermente colorato che ti sorride e ti da una mazzetta di soldi. SBER. la più grande banca russa e dell’Europa dell’Est e la terza d’Europa, la grande apertura all’est è in marcia, e mica cavoli, la SBER era la grande banca dell’URSS e ora di Putin, che l’anno scorso ha comprato la Volksbank entrando trionfalmente nel mercato ungherese.

Nella filiale stanno ancora lucidando l’argenteria, ma già hanno aperto. Ancora un isolato ed arrivo ad Astoria, il grande hotel eclettico degli intrighi di regime e di fronte l’EastWest business center,  il grande palazzo a vetri per uffici dove l‘Occidente incontra l’Oriente, la prima timida bolla edilizia dopo il crollo del muro (1991) in fondo non bruttissimo.

Lì di fronte alla fermata del 7, dove per anni c’era l’insegna tricolore disegnata da un bambino del “Banco Popolare”, ora c’è questo simbolo discreto giallo e arancione che ha già cambiato nome, evidentemente le indiscrezioni erano esatte, l’Osservatore ci aveva visto lungo e qui le banche stan cambiando piano piano tutto… girato l’angolo ecco poi la colomba stilizzata della banca Magnet, magnetico, anzi no, la rete del nocciolo (mag in magiaro), insomma Mag-net con arguto giuoco di parole ungherese, la prima banca etica ungherese, fondata il 29 Aprile 2010, guarda caso un paio di settimane dopo la schiacciante vittoria elettorale di Orban, l’avevo già incrociata durante la notte dei musei, dopo esser entrato all’Hopp Ferenc il museo di arte orientale, nella bella villa sul viale Andrassy dedicato al grande viaggiatore magiaro di inizio secolo con le sue foto e i suoi ricordi dalla lontana Corea, poi lunga coda al nuovo museo dell’oro, cineserie dorate, un museo da 15 euro di biglietto quel giorno gratis, e coda lunghissima, alla fine rinuncio ma subito dopo mi imbatto in un’altra villa di quelle prima di un ricco ebreo, poi di un ricco nazista, poi di un ricco dirigente comunista. Tavolini di artigianato tipico andino e collanine, stemmini del Magnet dappertutto, l’edificio magnifico. Tutto sembra tranne che una banca. Faccio due più due, che Oriente e Occidente  si siano conosciuti cosi, tra vicini di casa.

*affittasi e vendesi



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