Il nuovo anno europeo si apre con la Grecia che assume la presidenza di turno del Consiglio europeo, cui succederà l’Italia nel secondo semestre, e con la Lettonia che si unisce all’Eurogruppo e diventa così il diciottesimo paese ad adottare la moneta unica.
da Berlino, Nicola Sessa
8 gennaio 2014.– L’oroscopo della vecchia Europa non promette scintille, ma mette in guardia da pericolosi malanni ed eventi sfortunati. La serie lunghissima di anni horribiles non terminerà con il 2014. L’anno appena conclusosi ha tracciato il solco del percorso accidentato che l’Europa dovrà attraversare: la crisi che, sebbene attenuatasi, non da ancora segni di cedimento e anzi, allunga l’ombra più nera sulla Francia; le elezioni europee che promettono di portare a Bruxelles eserciti di nazionalisti ed euroscettici; la nomina – non facile – della persona che dovrà sostituire José Manuel Barroso alla presidenza della Commissione europea; i mal di pancia tedeschi, molto più incisivi e destabilizzanti delle lamentele provenienti dalla periferia; come si è detto, infine, la Francia: forse il vero grande malato d’Europa.
Sul fronte della crisi si registra dunque qualche nota positiva: l’Irlanda si è appena “liberata” uscendo dal programma di aiuti governato dalla troika Fmi-Bce-Ue ed entro sei mesi anche il Portogallo dovrebbe essere in grado di camminare di nuovo sulle proprie gambe. La Grecia potrebbe avere accesso nuovamente ai mercati per vendere il proprio debito e avere quel po’ di ossigeno necessario ad allentare la stretta dell’austerità richiestale nell’ultimo quadriennio.
Su Atene restano aperte, però, delle ferite profondissime che hanno mutato l’apparato umano e fisiologico della società greca: l’avanzata spaventosa di Alba Dorata, gli assassinii impuniti di migranti, la violenza inaudita, le parole vuote delle istituzioni – anche a livello europeo – in cerca di soluzioni improbabili, la disoccupazione prossima al trenta percento hanno esercitato degli effetti devastanti e irreversibili (almeno nel breve termine). Gli scioperi quotidiani neanche fanno più notizia e l’odio covato e nutrito nei confronti dell’Europa e della Germania specialmente, non trovano un vaccino adeguato: le tante bandiere dell’Ue bruciate e l’assalto con Kalashnikov contro la casa dell’ambasciatore tedesco ad Atene dello scorso 30 dicembre non sono l’acme, ma solo l’inizio di un crescente fenomeno di radicalizzazione antieuropea.
Di certo non è anti europea la politica di Angela Merkel che però ha decisamente virato verso una visione che vede protagonisti gli stati nazione e riduce l’influenza della Commissione europea che nel corso del 2012 ha visto recepite dai paesi membri solo il 10 percento delle raccomandazioni espresse. La Germania, si dice a Berlino, non vuole meno Europa ma la vorrebbe solo un po’ più tedesca. Non è un caso che anche nel contratto di coalizione – quindi anche a firma Spd – si chieda una maggior riconoscimento del ruolo tedesco e soprattutto della lingua germanica che dovrebbe affiancare il francese e l’inglese come lingua procedurale.
Ma non è solo questo: i termini del confronto verbale si spostano verso toni più aspri: all’ultimo vertice dell’anno la cancelliera Merkel è stata affrontata a muso duro quando ha parlato di austerità anche per il 2014 e ha giurato di chiudere le borse del Bundestag qualora ci fosse bisogno di nuovi aiuti. E se i leader europei trovano il coraggio di mettere all’angolo Angela Merkel, quest’ultima per il tramite di un suo stretto collaboratore ha inferto un colpo notevole alla Commissione europea: “Solo gli stati nazione possono giustificare le riforme che sono veramente necessarie”, come a dire che certi tipi di argomenti non possono essere sottoposti al vaglio comunitario ma solo al governo nazionale che ha ben sotto controllo il polso della situazione. Chissà se questa valutazione può essere tenuta in conto anche per i paesi periferici che negli ultimi quattro anni hanno subito una serie infinita di ingerenze.
Con le elezioni europee alle porte, il prossimo maggio, la mappatura politica potrebbe cambiare radicalmente: l’ascesa dei partiti nazionalisti o semplicemente di quei movimenti anti-euro che cavalcano il malcontento dei tartassati e dei delusi dalla politica tradizionale e incolore, mischierà le carte in tavola. Se il parlamento europeo avesse avuto un peso più determinante, la storia dell’Unione sarebbe potuta cambiare. Dal Front National francese alla federazione fascista di Espana en marcha, dalle formazioni nazionaliste dei Paesi Bassi al Movimento 5 Stelle – tutti visti in crescita – arriverà nel cuore dell’Europa legislativa la sfida più seria alla storia del progetto europeo. Si metteranno in discussione i cardini dei Trattati e l’Europa dovrà dimostrarsi forte abbastanza per dimostrare che chi non si fida ha torto, che chi pazientemente ingoia le ricette amare della matrigna Europa ha ragione.