Sport alla rovescia

La Figc, finalmente, recepisce la campagna delle associazioni ed elimina la discriminazione dei calciatori minorenni extracomunitari 

di Christian Elia

In alcune città italiane, nei mesi scorsi, all’improvviso comparvero dei grandi cartelloni. Nei pressi, di solito, di stadi e strutture sportive. A Milano, ad esempio, erano affissi nei pressi dello stadio di San Siro.

Ragazzi in tenuta da gioco, ma qualcuno aveva una catena. Erano quelli stranieri solo per coloro che hanno paura del futuro, delle società ricche di mille provenienze ed esperienze differenti. Perché il meticciato è una risorsa, non una minaccia.l43-stephan-shaarawy-130410131343_medium

 

Adesso, finalmente, il calcio italiano è più avanti della società italiana. Sono stati infatti aboliti i commi 11 e 11bis dell’articolo 40 delle NOIF (note organizzative interne) della Federazione Italiana Giuoco Calcio (Figc). Quelli che regolavano l’ accesso al tesseramento ed all’attività sportiva per i giocatori privi di nazionalità italiana.

Cosa cambia? Adesso tutti i figli di immigrati extracomunitari possono essere tesserati da società di calcio prima del raggiungimento della maggiore età. Era una norma gravemente discriminatoria, che colpiva uno degli aspetit più sacri del pallone: rendere tutti uguali in campo. E spesso aiuta a farlo anche fuori.

Questo atto di civiltà si deve alla battaglia di una serie di associazioni, unite nel cartello Sport alla rovescia, che ha dato vita alla campagna Gioco anche io. Aiutati dalla rete degli avvocati di Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), decine di realtà antirazziste italiane si sono date da fare in champagne di comunicazione, eventi di sensibilizzazione e pressione sulle istituzioni sportive. Alla fine hanno avuto ragione.

Come fanno sapere gli stessi movimenti resta molto da fare, anche in altri sport, ma questa è vittoria ha sapore splendido, in un paese che non si è ancora liberato della vergogna del fatto che ragazzi nati e cresciuti in Italia non possano dirsi italiani a livello burocratico.

E’ un punto di partenza, bello e prezioso, proprio perché animato dalla società civile. Quella che è già arricchita dal contributo di uomini e donne di ogni colore; una società che trova una sorta di tappo verso il future, in una burocrazia e in una classe politica miope.



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