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Il blog racconterà di Timor Est, il più giovane stato asiatico, che occupa la parte orientale di un isolotto nel Pacifico, a ridosso dell’equatore, a pochi passi dall’Australia. Si parlerà dei suoi abitanti, poveri, allegri, pigri, delle loro abitudini, della loro vita, e delle loro storie. Il blog è una relazione d’amore con quest’isola incantata, tutta da scoprire, che sta lottando per crearsi una sua identità e un suo luogo dopo secoli di controllo coloniale, terminato solo una decina d’anni fa. [/note]
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/12/Il-volto-di-Fabrizio-1.jpg[/author_image] [author_info] Fabrizio Fontana. 35 anni. Ama ascoltare. Da qualche tempo vive a Dili, in Timor Leste, dove trascorre le sue giornate insegnando, studiando la lingua e la cultura dell’isola, passeggiando e oziando. È interessato alla permacultura, alla salvaguardia ambientale, alla natura, ma soprattutto a trovare un modo di vivere che sia in sintonia con il benessere dell’essere umano. Pensa che ogni situazione sia una storia da raccontare. In questo periodo scrive di Timor Leste, ma per caso, perché ora vive lì. [/author_info] [/author]
11 gennaio 2014 – Una donna si arrampica come una capra per uno scosceso sentiero di montagna. Il mare è pochi metri più in basso e lei sale rapida, ogni passo è una sfida alla gravità. Una mano sorregge un bebè, l’altra un borsone di nylon. Dietro di lei la seguono due bambinelli, anche loro a pieno carico. I tre hanno ai piedi le immancabili infradito di plastica e pochi stracci a ripararli dal sole. Quasi a strapiombo sul mare, qualche decina di metri più in alto si vede la casa, una piccola capanna in legno piantata in un minuscolo spiazzo, uno sbeffeggio al dirupo.
La seguo, la ghiaietta rende la salita ardua e in certi punti mi aiuto con le mani. Sotto di me il mare, oggi una lastra immobile. Un passo falso e si rotola in fondo. Raggiungo la casetta. Poche assi coperte da lastre di zinco. Seduti per terra vari bambini di età diverse. Anche la donna è seduta, tra altre donne, impegnata con i borsoni trascinati da valle. Mi guardano tutti sorridenti; la mia presenza indiscreta non pare un problema.
Il sentiero continua sul fianco scosceso di questa montagna brulla e sassosa. Siamo a pochi chilometri dal centro di Dili, verso la punta della baia. Queste umilissime capanne si godono la vista di un paesaggio di una bellezza indescrivibile, affacciate sulla splendida baia di Dili. La speculazione edilizia non è ancora arrivata; sul Mediterraneo un posto così varrebbe centinaia di migliaia di euro e il brullo versante sarebbe già stato cementificato da tempo.
Poco sopra un’altra capanna. Due donne accovacciate davanti alla porta di casa si lavano i denti, usando l’acqua di un piccolo secchiello di plastica nero. Mi guardo attorno: è un dirupo aspro, terra nuda in molti punti, rocce, pochi alberi. Non si vede traccia d’acqua da nessuna parte. Anche loro mi salutano sorridenti, denti bianchissimi e corpi temprati dall’esercizio continuo. Qui il solo vivere è già sforzo, ma dai sorrisi pare uno sforzo sano.
Continuo a camminare. Le case lungo il sentiero si confondono con l’ambiente, sono piccole, umili e usano ogni anfratto che lo strapiombo si concede. Un vecchio è seduto su un ceppo di legno all’ingresso di casa. I polli razzolano attorno, nella loro incessante attività di ricerca. Alcune capre brucano i ciuffi d’erba sparsi. La famiglia allargata gironzola attorno, i bambini giocano, le donne sono indaffarate con il cibo.
Il sole scende rapido sull’orizzonte. All’equatore il crepuscolo è breve, non c’è tempo per godersi il sole che muore. Un attimo prima è alto in cielo e un attimo dopo scompare sulla linea dell’orizzonte. Il mare è uno specchio immobile, variopinto. Il vecchio mi fa un lieve cenno, un invito a sedermi. Pelle dura e rugosa, capelli bianchi che contrastano con il marrone vivo della pelle, occhi che guardano lontano, come fuori dal tempo. La sua presenza è pura calma, sembra il frutto del mare placido, del silenzio della montagna, dei giorni che scorrono uno in fila all’altro, tutti uguali, senza stagioni, senza cambio di luce.
Il calare del buio è un segnale a ricordarmi che è tempo di rientrare. Le strade di Dili sono pericolose di notte e devo affrettarmi. Ridiscendo con passetti incerti il ripido sentiero. Le donne, i bambini sono ancora lì, davanti a casa. Alcuni mangiano, altri sono seduti in silenzio. Non c’è corrente elettrica e con il calare della notte le attività rallentano, seguendo il ritmo della luce. La vita è tutta all’aria aperta e la baracca serve solo in caso di pioggia o per dormire. Arrivo sul lungo mare e mi ritrovo di nuovo tra i pochi locali sparsi. Gruppi di persone sorseggiano pigri le loro birre. Un’umanità varia, composta di occidentali, probabilmente lavoratori nelle varie ong, e della classe ricca di Timor, lesta a copiare le abitudini del mondo ricco.