di Angelo Miotto
Antefatto: Otto giorni fa’ la foto era quella degli ex prigionieri politici che annunciavano un appoggio sostanziale e definitivo per la pace. Sulle orme di quanto annunciato anche dal Collettivo EPPK, prgionieri/e politici/che baschi venivano accolte molte delle osservazione del Foro di Lokarri sull’accettazione del reinserimento individuale, cosa mai accettata da chi apprteneva al collettivo dei prigionieri. Forti di questa foto, con 72 ex militanti di Eta scarcerati dopo anni di carcere solo perché Strasburgo e la Corte dei diritti umani ha disintegrato l’assurda dottrina Parot – che a fine pena faceva scattare altri anni costruendo sostanzialmente la strada del carcere a vita – si attendeva la manifestazione dell’11 gennaio. Goccia a goccia, siamo il mare. Tantaz tanta itsasoa gara.
Ma, a sopresa, il mercoledì precedente 8 gennaio, la guardia civil irrompeva in un ufficio di avvocati e perquisiva vari domicili, arrestando otto avvocati, con l’accusa di essere l’ultima struttura di collegamento fra Eta e i prigionieri politici. Un colpo a effetto che si rivelava fin da subito un boomerang per il governo spagnolo, cui fanno riferimento i giudici.
la mobilitazione, specie sulle reti sociali, si moltiplicava e il mare del ‘goccia a goccia, diventava tsunami. Il giudice Velasco, però, non sazio vietava la manifestazione, dopo che un suo collega dell’Audiencia Nacional aveva detto che non c’erano problemi.
Nel giro di poche ore la sinistra basca, il Pnv, i sindacati e altre piattaforme convocavano la manifestazione di Bilbao, che prende il suo posto negli annali, perché è la risposta di popolo, e di movimenti e partiti che non sfilavano da tempo insieme. E anche se è stata contingenza, o calcolo politico, strategia, è un fatto rilevante con un forte significato.
12 gennaio 2014.– Hanno invaso Bilbao. 130.000 persone per la manifestazione che chiedeva Diritti umani, Accordo, Pace e che era stata convocata dalla sinistra basca, il Pnv, i sindacati Ela e Lab, dopo il divieto del giudice spagnolo Eloy Velasco contro la manifestazione Tantaz tanta itsasoa gara.
Sono immagini di energia incandescente quelle che vediamo scorrere in questa notte dopo la grande manifestazione. Non sono solo i numeri, che pure sono importanti, o le facce, i volti, i movimenti e partiti politici che tornano a sfilare dietro lo stesso striscione dopo quindici anni. C’è di più.
Sono tre foto che raccontano l’11 gennaio del 2014 a Bilbao.
La prima è quella della moltitudine, dei corpi.
Il tam tam delle reti sociali, la solidarietà internazionale, i messaggi da molti luoghi di Spagna, dalla Catalogna che ribolle, non è rimasta una petizione, ma si è trasformata in corpi accalcati per le vie della bellissima città basca. Carne e muscoli, fasci di vene e di arterie pulsanti, per dire basta alla dispersione, basta alla negazione dei diritti umani, e per dire basta a dinamiche che oggi non sono accettabili a due anni dall’abbandono della lotta armata di Eta e che anche con Eta in attività non si sarebbero giustificate comunque.
Perché se c’è una cosa che uccide lo stato di diritto è uno stato che si dice di diritto, ma utilizza strumenti che violano il diritto in nome della difesa della democrazia. Inutile dire che le parole quando non si sostengono e vengono abusate perdono di ogni significato e tornano a essere suoni inintelligibili che mastichiamo fra lingua e gengive. Come dei primitivi.
La seconda foto è quella dei due presidenti: quello di Sortu, Hasier Arraiz, e del Pnv, il partito nazionalista basco, Andoni Ortuzar, che dialogano insieme in piazza, che convocano insieme una manifestazione per dire forte e chiaro ai giudici e al governo spagnolo che è tempo di cambiare. Erano quindici anni, da Arnaldo Otegi e Xabier Arzalluz nel 1998, che le due forze nazionaliste non sfilavano insieme. E non è nemmeno il caso di fare paragoni. Siamo in una nuova tappa nei Paesi baschi, solo grazie a politiche e posizioni adottate in maniera unilaterale, dalla sinistra basca e da Eta, sospinta all’abbandono in virtù del primato della politica. Il Pnv non ha potuto, né voluto, tirarsi indietro, perché ha deciso che di fronyte alle provocazioni militari e di Madrid è il momento di tracciare una linea che dica a Rajoy: esci dall’immobilismo calcolato sul tema della fine di Eta.
Ma è la terza foto quella che mi dice di più, che esprime la forza, l’energia della manifestazione di Bilbao. La terza foto é nella mia testa. Sono volti di persone che ho conosciuto in diciotto anni di viaggi in Euskadi.
Amici, conoscenti, politici, buone fonti, avvocati, scrittori, editori, ex militanti di Eta. E in questa foto che si compone ci sono in alcuni casi anche i figli, una nuova generazione, perché in così tanti anni e con un tasso di repressione politica e fisica così elevato gli indirizzi e i numeri di telefono sull’agenda venivano cancellati, poi tornavano, poi cambiavano, poi si doveva cercarne di nuovi. Nella terza foto sono anche i cartelli dei prigionieri politici portati da familiari e amici. Mi hanno sempre colpito non per una simpatia militante, né per una condivisione intellettuale degli strumenti di lotta, ma perché lì ho sempre visto la più grande sconfitta dello stato di diritto e dell’arte della politica.
Lo stato di diritto, se viene gridato, va applicato.
Ricordo come fosse ora la prima encartelada davanti all’Arenal di Bilbao e un gruppo di genitori che mi raccontava cosa fosse la dispersione carceraria.
Nella terza foto di Bilbao ci sono decine di persone che hanno scontato carcere perché erano e sono giornalisti, politici, uomini di pace – si direbbe alla Bambi Zapatero, che aveva definito così Arnaldo Otegi – persone che hanno subito processi, carcere preventivo, torture senza essere militanti di Eta, in base a quel teorema di criminalizzazione del nazionalismo tout court che risiede nei faldoni dell’orripilante macrojuicio 18/98+.
La terza foto mi balla davanti agli occhi, perché le vittime di Eta e della repressione di stato che ho incontrato ormai due anni fa erano capaci di parlarmi di riconciliazione come una via obbligata per la pacificazione. E la dispersione carceraria, e il mancato rispetto dei diritti umani negli interrogatori, nelle celle, dovunque, non creano riconciliazione. Creano odio.
Per questo l’energia di Bilbao, raddoppiata dalla leva che politici e giudici spagnoli dovrebbero ormai conoscere in terra basca – più li colpisci e più si rialzeranno – è linfa dal sapore buono. Perché è popolo, perché sono corpi, perché cercano una via per chiudere una sofferenza che fu creata come strumento da infliggere in una guerra senza confini, da una parte e dall’altra.
L’assurda operazione decisa a Madrid contro gli avvocati baschi, cui hanno sommato anche il veto a una manifestazione che si svolge da anni, hanno risvegliato El Pais che ha messo a segno un paio di editoriali più taglienti rispetto alla non –politica del governo postfranchista di Mariano Rajoy. Il calcolo del rimanere con le mani in mano non può più funzionare, serve una politica di stato, gli ricordano da El Pais. Non serve un ministro dell’Interno incapace di mantenere segreta un’operazione di polizia, serve che si muova Mariano Rajoy. Il primo quotidiano di Spagna parla del Tea Party del Pp che remerebbe contro una soluzione e avverte che molto è legato ancora a José Maria Aznar e ai suoi uomini in un partito scosso dallo scandalo della corruzione, fondi neri e leggi primitive. Lo stesso gesto del Pnv di scendere in piazza è un segnale al premier spagnolo. Mentre a Sud della capitale le bandiere catalane sventolano con trombe da battaglia. “Quel che conquistammo con le armi nel 1714 ora lo riprenderemo con i voti”, ha detto oggi il presidente della Generalitat Artur Mas, mentre all’ultima Pasqua militare il titolare spagnolo della Difesa è tornato a parlare dell’art.8 della Costituzione spagnola, dove l’esercito è garante dell’unità di Spagna.
Manca una visione di futuro, una capacità politica, manca la volontà di chiudere davvero una stagione.
Vale ripetere una domanda ragionando sul nodo basco: chi davvero vuole ed è interessato alla pace?