La vita nonostante la guerra

Insegnare la bellezza contro la disperazione

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/FacebookHomescreenImage.jpg[/author_image] [author_info]di Susanna Allegra Azzaro. Amo definirmi “cittadina del Mediterraneo”. Le mie origini si perdono tra Sardegna, Genova, Sicilia e Nord Africa, ma è a Roma che sono (casualmente) nata. Lavorare nella cooperazione internazionale mi ha dato la possibilità di vivere un po’ in giro nel mondo; la curiosità, invece, mi ha spinta a cercare di imparare il più possibile dalle culture con cui sono venuta a contatto. Tra il 2008 e il 2009 il lavoro mi porta in Medio Oriente e da allora esso continua ad essere una presenza costante nella mia vita. Recentemente vi sono tornata per approfondire i miei studi della lingua araba colloquiale “levantina”.[/author_info] [/author]

14 gennaio 2014 – La maggior parte di noi ha avuto l’immensa fortuna di non vivere direttamente una guerra.
Ogni giorno ne sentiamo parlare dai media, la osserviamo a distanza, la temiamo e ne siamo incuriositi allo stesso tempo; per nostra fortuna, poi, spingendo un pulsante del nostro telecomando, ce la lasciamo alle spalle.
Basta il movimento insignificante di un dito.

Ma com’è’ la vita di chi non può permettersi questo lusso? Cosa vuol dire “vivere” nonostante la guerra?
Mi sono sempre posta questo genere di domande ed ero solita, anni fa,  rimanere incredula davanti la tv ogni qualvolta che  vedevo un barlume di vita normale in un paese devastato da un conflitto (ricordate le immagini dell’elezione di Miss Sarajevo durante l’assedio?).

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E’ stata proprio la Bosnia, alcuni anni fa, ad insegnarmi molto in questo senso.
Alcuni amici bosniaci mi raccontarono che durante il lungo assedio di Sarajevo molti giovani si ritrovavano a far festa in uno scantinato della città, consci del fatto che quella sarebbe potuta essere l’ultima notte della loro esistenza terrena.
I cecchini appostati sulle colline volevano farli fuori, ma loro non rinunciavano al loro sogno di normalita’.
Da quel momento in poi ho cominciato a guardare la guerra con occhi diversi, cercando di non soffermarmi solo sull’orrore che questa giustamente provoca, ma di individuare quegli aspetti ai quali la gente si aggrappa per continuare ad avere l’illusione di un’esistenza ordinaria.

Il Medio Oriente e’ da anni terreno di sanguinosi conflitti e le previsioni per il futuro immediato  non sono di certo delle più rosee.
Generazioni di palestinesi, per citare un esempio,  hanno vissuto la loro intera vita in un campo profughi; alcuni paesi non hanno mai assaporato il gusto della pace vera, intesa come quella definitiva e duratura.
Eccome le persone continuano a lavorare, andare a scuola, persino a innamorarsi e divertirsi, nonostante la guerra faccia perennemente da sfondo alle loro esistenze.

Recentemente ho trovato su un giornale una galleria di immagini straordinarie che ritraevano una coppia siriana il giorno del loro matrimonio nel campo profughi giordano di Zaatari.
Oltre 120 mila disperati abitano in quell’immensa città di baracche, ma l’espressione sui volti dei due ragazzi non era diversa da quella degli sposi che quasi ogni giorno vedo
al Fontanone,  nella tranquilla Roma.

Qualche mese fa girovagavo tra le sale deserte del museo di Arte Contemporanea di Amman quando notai due uomini intenti a fotografare dei vecchi libri d’arte.
Cominciammo a parlare e quello più anziano dei due mi disse di essere professore d’arte  all’ Università di Baghdad.
“Insegna la bellezza per non soccombere alla disperazione”.
Ogni giorno quest’uomo dalla voce gentile guida per le strade di Baghdad con la consapevolezza che potrebbe non arrivare a destinazione.

Si reca in facoltà dove impiega il suo tempo ed energia a parlare d’arte, quanto di più elevato sia prodotto dall’uomo, ad un nutrito gruppo di giovani studenti, i quali, a loro volta, sfidano il pericolo di attentati e la prospettiva di un futuro nero  per ascoltare le sue parole.
E che dire di quella famosa orchestra in cui collaborano insieme, fianco a fianco, giovani israeliani e palestinesi?
Sentirli suonare fa nascere la speranza, altroché politici e premi Nobel vari.

Ma la vita non si celebra solo con l’arte, ma spesso anche attraverso quelle azioni banali a cui non diamo molto valore.
A volte bastano un po’ di rossetto e un paio di tacchi alti, come quelli indossati dalle giovani donne libanesi anche in piena crisi nel 2007, o un gruppo di soldati israeliani che festeggia ad un matrimonio palestinese.
Proprio come per i giovani bosniaci che si ritrovavano a ballare in uno scantinato  di una Sarajevo assediata, a volte la vita ti ricorda che ancora esiste attraverso le cose più ordinarie.



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