È un gesto lento, misurato, tradizionale. Si compie in una piccola traversa di via Paolo Sarpi. Un uomo sulla settantina, cinese, porge un hong bao a colui che ha tutta l’aria di essere suo nipote. La piccola busta rossa è piena di banconote. Durante la festa di Primavera, chunje, i grandi le donano ai piccoli. L’uomo è serio, morigerato in ogni sua movenza. Dall’apertura poco ampia della sua bocca è certo che non parli italiano. Il nipote ha una cresta verde come l’erba di campo che gli divide in due la testa, l’andamento di un rapper di strada e uno spiccato accento milanese. Apparterrà alla cosiddetta terza generazione. La quarta la rappresenta il bambino seduto nel passeggino vicino a lui. Entrambi fanno parte della comunità cinese di Milano che conta circa venticinquemila persone.
Via Paolo Sarpi è il loro centro fisico. L’hanno ornata con lanterne rosse appese tra un palazzo e l’altro, e tutti gli altri simboli che secondo i costumi orientali scaccerebbero demoni e spiriti malvagi. Il Capodanno cinese 2014 è il decimo dal 1906 sotto il segno del cavallo.
In estremo Oriente, seguendo il calendario delle fasi lunari, è stato festeggiato allo scoccare della mezzanotte del 30 gennaio. Ieri è stato il turno delle Chinatown italiane di ospitare le sfilate dei dragoni di cartapesta, delle danzatrici tradizionali e delle giovani vestite da mogli dell’imperatore.
C’è un menestrello di strada fra Sarpi e piazza Gramsci. È seduto su uno sgabello e imbraccia la sua chitarra. La custodia è aperta ai suoi piedi con una cinquantina di monete da un euro. La sua voce è blues, il suo accento americano. Canta Proud Mary dei Creedence Clearwater Revival come se fosse in una spiaggia californiana. Vicino, invece, gli passano donne e uomini vestiti con abiti tradizionali cinesi. Raggiungono l’adunata delle maschere in piazza. È un trionfo di rosso. I colori della protezione dal Nian, i colori della Repubblica Popolare. C’è una piccola rappresentanza giunta da Pechino che saluta, ringrazia, e benedice laicamente l’addio al serpente e l’esodo dei cittadini cinesi. Una piccola diaspora che, solo quest’anno, prevede 3,6 miliardi di spostamenti in tutto il mondo.
Su via Sarpi due ali di folla accolgono Leoni, Dragoni e maschere tipiche. Fra di loro ci sono grandi, piccoli e anche italiani attivi nelle associazioni culturali e sportive cinesi. Il loro incedere è educato e metodico. C’è lo Yin e lo yang. I sorrisi delle principesse avvolte nei loro hanfu sono appena accennati, misteriosi come la loro terra. I dragoni sono schegge possedute, si dimenano allo scoppiare dei petardi, percorrono dieci metri alla volta, poi si fermano, salutano, si mostrano agli obiettivi dei telefonini.
Sono i sinofili che colmano gli spazi e scattano migliaia di fotografie. I connazionali camminano a stento fra le vie di fuga. Spingono, sbuffano e sembrano chiedersi che cosa ci trovino di così entusiasmante gli italiani in quei festeggiamenti. È come se per loro fosse importante esserci e non partecipare. Non danno informazioni e alle domande sulla manifestazione rispondono con la faccia di chi pensa: “è tutta qui. Non la vede?”. Non si concedono altro lusso se non quello del ricordo. L’importante è lavorare. I bar non chiudono, il riposo non è contemplato, anzi, la produzione è il miglior modo di celebrare la ricorrenza qui in Italia.
Fra loro solamente pochi si godono il corteo. I vecchi che parlano riuniti in gruppi di due, massimo tre. Sono così composti che sembrano statue di cera, non hanno espressione di gioia, né d’insofferenza. Stanno lì, negli angoli meno affollati a guardare e commentare con piccoli movimenti del capo. I loro nipoti sono quelli che ancora vanno a scuola. Per loro quell’evento domenicale è semplicemente una festa come le altre. A differenza dei grandi, hanno appreso e fatto propria la gestualità nostrana. Si spingono, ridono ad alta voce e parlano delle partite del pomeriggio.
Infine le famiglie con i figli piccoli. Sono vestiti da imperatori. Uno di loro sembra essere uscito dal film di Bertolucci. L’idea è quella di fargli respirare le loro le origini, devono ricordarle, preservarle, trasmetterle.
C’è ancora una fila di petardi che esplode al termine dei festeggiamenti. I draghi concedono le ultime giravolte. Le principesse sono già in cammino verso le loro abitazioni. È un rosso che si dissolve in una domenica milanese. È un frammento di Cina che inizia l’anno nel segno del cavallo.