[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/1015058_4778608114201_571572631_o.jpg[/author_image] [author_info]di Elena Esposto. Nata in una ridente cittadina tra i monti trentini chiamata Rovereto, scappa di casa per la prima volta di casa a sedici anni, destinazione Ungheria. Ha frequentato l’Università Cattolica a Milano e si è laureata in Politiche per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo. Ha vissuto per nove mesi a Rio de Janeiro durante l’università per studiare le favelas, le loro dinamiche socio-economiche, il traffico di droga e le politiche di controllo alla criminalità ed è rimasta decisamente segnata dalla saudade. Folle viaggiatrice, poliglotta, bevitrice di birra, mediamente cattolica e amante del bel tempo. Attualmente fa la spola tra Rovereto e Milano[/author_info] [/author]
3 gennaio 2014 – Premessa (breve ma cruciale): il pezzo seguente parla di religione, argomento delicato e spinoso, specialmente se parliamo di religione in Brasile. Prima di cominciare ci tengo a precisare due cose. Uno: questo non è un trattato socio-antropologico sulla situazione religiosa brasiliana, al contrario. Probabilmente chi se ne intende davvero troverà lacune e imprecisioni imperdonabili, tuttavia il proposito è cercare di descrivere il contesto religioso come si presenta allo straniero che non ha nessun tipo di conoscenza previa.
Due: la sottoscritta ritiene inviolabile il diritto di ciascuno di scegliere la religione che più gli si confà. Tuttavia ritiene altrettanto inviolabile il suo diritto di non dover per forza esprimersi secondo le regole del politically correct (cinque anni di Scienze Politiche non hanno sortito grandi risultati…). Spero che nessuno si senta offeso dalla mia irriverenza e scarsa diplomazia.
Era il 12 ottobre 1931 quando l’enorme (38 metri compreso il piedistallo) statua del Cristo Redentore venne inaugurata a Rio de Janeiro, e in quest’occasione venne per la prima volta messo in funzione il sistema di illuminazione del monumento che, per amore dei dettagli, venne azionato da un segnale inviato da Roma, emesso dalle mani di, pensate un po’, Guglielmo Marconi. Il 12 ottobre era una giornata di nuvole basse.
Secondo una leggenda l’ironia della storia volle che proprio nel momento esatto dell’inaugurazione una nave straniera entrasse nella Bahia de Guanabara. Uno dei marinai, un irlandese dalla dubbia morale cui piaceva sollazzarsi nell’alcol e negli altri vizi terreni, rimase tramortito dallo spavento vedendo un enorme Cristo dalle braccia spalancate emergere dalle nubi avvolto in un alone di luce fluorescente. Si racconta che il tale corse dal prete di bordo e, consegnandoli tuta la sua scorta di liquore, confessò i suoi peccati promettendo di non toccare mai più un goccio di alcol. Il religioso sapeva perfettamente che quella non era una apparizione ma lasciò che il marinaio si convertisse grazie a quel segno divino (o forse di-wiskhy).
Recentemente quel simpaticone del Cristo Redentor ha pensato bene di farsi coinvolgere in un altro evento soprannaturale. Immagino che tutti voi abbiate visto almeno una delle foto della statua colpita dai fulmini, uno dei quali ha arrecato anche dei danni ad una delle mani della statua.
Chissà se anche sta volta qualcuno ha interpretato il fenomeno come un messaggio celeste. È vero che siamo nel XXI secolo, immersi in una mentalità razionale e poco incline al soprannaturale ma stiamo parlando di Brasile, una società in cui il soprannaturale è sempre, e talvolta esageratamente, tirato in ballo.
Stra-semplificando lo scenario religioso che si para davanti allo straniero che per la prima volta arriva in Brasile si presenta più o meno così: ci sono le religioni di origine africana, la Chiesa Cattolica e le Chiese protestanti. Infine esiste un gruppo di persone, principalmente un elite, devota delle religioni orientali, tipo buddismo e induismo, una tendenza che ricorda i nostri fan della new age. La distribuzione percentuale di questi gruppi varia da regione a regione, sulla base degli influssi storici pre e post coloniali.
Ma andiamo con ordine.
Le religioni africane sono principalmente due, Candomblé e Umbanda. La prima strettamente ancorata alle credenze africane, la seconda un prodotto della prima, derivante dal suo incontro con le credenze indigene. La prima promuove la venerazione degli Orixás, divinità dai forti tratti umani legate a diversi elementi naturali, la seconda, prevedendo sempre un Pantheon di Orixás, mette un maggiore accento sul culto delle anime dei defunti e ha spiccate tendenze spiritiste. Entrambe le religioni sono caratterizzate da un fortissimo sincretismo.
Nel XVI i portoghesi iniziarono il traffico di schiavi dalle coste africane destinati a lavorare nelle grandi piantagioni di caffè, zucchero o nelle miniere di oro. Gli schiavi, nonostante venissero battezzati e obbligati ad abbracciare il cristianesimo, portavano con sé un complesso di credenze che non potevano certo essere cancellate da un po’ di acqua benedetta versata sulla fronte e neanche dalle costrizioni dei padroni a venerare un dio straniero. Gli africani dunque escogitarono uno stratagemma geniale. Nascosero le loro credenze dietro una facciata cristiana, associando ad ogni Orixá un santo cristiano. Nella venerazione dei santi, quindi, non violavano le regole e le imposizioni dei colonizzatori, ma nella sostanza mantenevano il culto delle loro divinità.
Nel tempo questo vincolo tra le due religioni si rinforzò tanto da diventare quasi indissolubile. Oggi molti pai e mãe de santo sia dell’Umbanda che del Candomblé si dicono cristiani e credono in Gesù Cristo, mantenendo comunque la loro fede negli Orixás. Gli Orixás sono entità spirituali che hanno un grandissimo legame con il mondo terreno e gli esseri umani, i quali mantengono il contatto con le divinità attraverso il culto, la divinazione e le offerte. È molto comune incontrare agli incroci delle strade offerte cibo, cachaça, candele, fiori e a volte perfino animali uccisi o soldi, volte a ingraziarsi gli spiriti e per ottenere i loro favori. Molto radicata è anche la pratica della Macumba, sia per il bene che per il male.
Abbiamo poi i cattolici. Una Chiesa Cattolica davvero strana quella brasiliana. Questa è stata la prima realtà religiosa con la quale sono venuta a contatto. Mi aspettavo un cattolicesimo fortemente contaminato dalla Teologia della Liberazione, una Chiesa un po’ comunista, tutta rivolta al popolo, con i piedi nudi affondati nel fango putrido che invade le favelas durante la stagione delle piogge, una Chiesa fortemente impegnata, forse anche un po’ più indulgente. Mi sbagliavo.
Con le debite eccezioni, che ci sono e fanno un lavoro eccellente, lo scenario è un po’ diverso. Una delle cose che più mi ha colpito è che una buona parte dei preti cattolici hanno studiato a Roma e si portano dietro dai loro studi un’essenza di rigidità vaticana che stona un pochino con l’ambiente culturale nel quale sono inseriti. Molti dei sacerdoti che ho intervistato nel periodo della mia ricerca mi hanno ricevuta in uffici ordinati e con l’aria condizionata e vestiti di tutto punto, con colletto bianco e tutto il resto. Visto che li stavo intervistando in quanto rappresentanti della comunità cattolica nelle favelas cercavo di immaginarmeli salendo strette scalette e vicoletti ripidi. L’unico che mi ha concesso un’intervista seduti alla buona su due sedie a caso, con il colletto della camicia slacciato e la barba sregolata è stato un missionario italiano dalla risata profonda e uno sguardo amorevole.
Un’altra cosa bizzarra è la conduzione del culto. Un misto di tradizione e follia alquanto interessante. Da un lato prediche talvolta anche molto dure contro i vizi del mondo come il sesso o la droga (data la situazione delle zone più popolari è difficile non percepire queste affermazioni come un giudizio morale diretto alla popolazione) e dall’altro messe infinite con canti, balli e piccole rappresentazioni teatrali… Alla messa di Natale dell’anno scorso, con mio enorme sconcerto, giusto un momento prima della benedizione finale, il sacerdote ha preso in mano il microfono e ha cantato una canzone sull’altare in pieno stile pop-star.
Infine (ne ho per tutti non preoccupatevi) ci sono le Chiese protestanti, le quali comprendono sia quelle classiche (luterani, battisti, presbiteriani, avventisti del settimo giorno, metodisti) sia l’universo frammentato e caotico degli evangelicos, ovvero il cosmo delle Chiese pentecostali e neo-pentecostali. Tra queste le maggiori per numero di adepti sono l’Assembleia de Deus, la Congregação Cristã no Brasil e l’Igreja Universal do Reino de Deus.
Oltre queste esistono un numero imprecisato di piccole Chiese che sorgono come funghi ovunque ci sia un po’ di spazio. Uno dei pastori che ho intervistato per la mia tesi era il Pastore di una Chiesa che aveva solo due gruppi di fedeli, in due favelas diverse di Rio. E basta.
Le Chiese neopentecostali vendono la salvezza e l’amicizia di Gesù al modico prezzo del 10% del tuo stipendio (il cosiddetto dizimo) e di un oceano di regole e regolette che in alcuni casi rasentano i limiti dell’assurdo e del bigottismo. Divieto per le donne di indossare i pantaloni, ad esempio. Mi è anche capitato di incontrare un gruppo di evangelicos che aveva organizzato una veglia di preghiera per i giovani il primo sabato di Carnevale. A Rio. Non so se mi spiego.
Sfruttando la disperazione della povera gente, specialmente nelle zone popolari caratterizzate da alti livelli di violenza e dalla presenza gruppi di narcotrafficanti, queste chiese si pongono come alternativa di aggregazione sociale rispetto alla criminalità organizzata. Una mia amica che vive nella Baixada Fluminense una volta mi ha detto: “Se vuoi fare parte di un gruppo qui devi essere o evangelico o bandido”. La linea di demarcazione tuttavia è spesso sottile. Molti chefões do tráfico sono legati ai movimenti evangelici, si dichiarano credenti e eleggono i pastori a loro guide spirituali.
Recentemente una chiesa legata all’Assembleia de Deus ha avuto uno dei suoi pastori, il signor Marco Feliciano, come presidente della Commissione dei Diritti Umani e delle Minoranze alla Camera, il quale è stato coinvolto in una serie di scandali (internet offre una vasta quantità di informazioni al riguardo) alcuni dei quali riguardanti le sue dichiarazioni omofobiche e razziste.
In generale le chiese neopentecostali, specialmente quelle maggiori, si trasformano spesso in imperi finanziari che sfruttano la sete di salvezza della gente per crescere e diventare potenti.
La foto mostra la sede dell’Assembleia de Deus a Salvador della Bahia, cerchiata in rosso, e la stazione degli autobus, cerchiata in blu. Dato il fatto che Salvador è la terza maggiore città del Brasile dopo Rio de Janeiro e São Paulo lascio a voi le conclusioni.
In alcune situazioni gli evangelici possono anche essere spassosi, comunque. Come quella volta che su di un autobus di Fortaleza si sono seduti vicino a me e ad un mio amico due pazzi con una radio che, a volume massimo, emetteva un canto di chiesa. O come quando sugli autobus a Rio salgono personaggi bizzarri che urlano “Vou anunciar para vocês a glória do Nosso Senhor Jesus Cristo” e qualcuno dalla folla risponde “Aleluja”.
E magari un giorno vi capiterà di ascoltare un funk (non so se avete presente il ritmo del funk… in caso youtube provvederà) che canta “tudo que tem fôlego louva ao Senhor, perninha de lado, mãozinha também, vamo lá! (…) Vem vem, glória a Deus, vem vem Aleluja!”. Devo dire che quest’ultima esperienza può risultare abbastanza provante.