Nel 2009 un gruppo di giovani giornalisti di Reggio Calabria ha deciso di dare vita a una piattaforma multimediale sulla ‘ndrangheta. Per scavare nella memoria, indagare il presente e ragionare sul futuro. Con la consapevolezza e la freschezza di chi sa che un altro Sud non solo è possibile, ma c’è già. Non resta allora che dargli voce. Con questo intervento la redazione di www.stopndrangheta.it si presenta ai lettori di Q Code Magazine
di Patrizia Riso
C’è una parola in Calabria stranamente musicale che non si pronunciava troppo spesso vent’anni fa. Risuonava solo in ambienti particolarmente attenti al sociale, in bocca a persone – formatori, professori, genitori – interessate a far sì che i giovani calabresi imparassero a conoscere le storie di casa loro, cosi come conoscevano quelle altrettanto importanti di Falcone, Borsellino e Peppino Impastato. Le vittime di mafia appartengono a tutti, ma era ancora latente la necessità di connettere la conoscenza storica del recente passato calabrese a un processo più ampio di recupero della memoria collettiva. La parola ’ndrangheta è strana e non tutti riescono a pronunciarla. Si poteva anche averla sentita ma in quale contesto sociale e con quali strumenti interpretativi?
La parola ‘ndrangheta non è stata dimenticata, ma rimossa per lungo tempo dall’immaginario collettivo, un’ulteriore operazione di indebolimento sociale ai danni di una terra abituatasi a dimenticare la sua storia. La maggior parte dei calabresi ha dimenticato – o cosi ha lasciato intendere – i tentativi di falso sviluppo industriale decisi dall’alto; non ha voluto riconoscere con prontezza l’inutilità di progetti invasivi e dannosi per un territorio pieno di agrumi e ulivi; non ha protestato per i soldi negati alla collettività e per l’ordinaria mancanza di servizi pubblici.
La parola ‘ndrangheta è strana e non tutti riescono a pronunciarla, ma qualcosa stava per cambiare. Il 16 ottobre 2006 viene ucciso il vicepresidente del Consiglio Regionale, di fronte al seggio delle primarie del PD a Locri, provincia di Reggio Calabria. Si chiamava Francesco Fortugno ma quello che è successo dopo non è esclusivamente connesso al suo nome. Dopo l’omicidio infatti un gruppo di ragazzi scende in strada con uno striscione bianco in un piccolo comune dell’ultima provincia dello stivale. Mentre la Calabria ritorna al centro delle cronache, l’Italia riscopre l’esistenza della ‘ndrangheta. Quei ragazzi diventano un caso mediatico nazionale ma i riflettori non restano accesi troppo a lungo. Eppure qualcosa cambia.
Non era cambiato molto dopo la stagione dei sequestri degli anni Ottanta; né dopo la scomparsa di Rossella Casini, la giovane fiorentina fatta sparire dalle cosche della ‘ndrangheta a Palmi nel 1981; neanche nel 1991, quando la faida tra cosche reggine è terminata con l’uccisione del magistrato calabrese Antonino Scopelliti e la marcia della pace “Perugia – Assisi” è stata organizzata a Reggio Calabria. E’ successo di tutto, ma sembrava che i tempi non fossero mai abbastanza maturi. Telecamere puntate con arroganza e cronisti impreparati non hanno mai aiutato a capire quello che succedeva nella terra degli ulivi e del bergamotto. In pochi riescono anche solo a pronunciare e scrivere correttamente la parola ‘ndrangheta.
Mentre negli anni Duemila andavano riaccendendosi forme di attenzione mediatica spesso fini a sé stesse, alcuni giovani giornalisti decidono di concentrarsi sul recupero della memoria storica calabrese, raccogliendo storie e rendendole accessibili a tutti sul web. Nasce così nel 2009 il progetto www.stopndrangheta.it che realizza un’idea semplice e al tempo stesso particolare: la creazione di un archivio web multimediale dove raccontare le storie delle vittime di ‘ndrangheta calabresi e delle battaglie antimafia, raccogliere materiali giuridici e contenuti culturali, dare spazio alle nuove forme di una riscoperta forma diffusa di cultura civile anti-ndrangheta. La nascita dell’archivio nasce per concretizzare una rivendicazione personale e al tempo stesso collettiva della memoria calabrese utile a ricostruire la struttura di un immaginario sociale, politico e culturale che sembrava perduto o addirittura inesistente: la Calabria che ha detto no alla ‘ndrangheta e che continua a farlo.
Si ricostruisce la breve storia della ’ndrangheta; si realizza una rassegna stampa; si sceglie di organizzare i contributi secondo la forma del dossier: un insieme di articoli, interviste, approfondimenti riguardanti una tematica particolare connessa alle vicende calabresi; si selezionano le notizie da diffondere sul tema; si realizzano pubblicazioni sulle vittime di ‘ndrangheta che i calabresi non conoscevano o avevano dimenticato. Gli autori di questi libri da allora girano per l’Italia e parlano di persone il cui nome non era mai stato pronunciato chiaramente, proprio come la stessa parola ‘ndrangheta. Intanto studenti, giuristi, sociologi, fotografi e grafici, si uniscono al primo nucleo di fondatori collaborando alla continua crescita di un vero e proprio laboratorio in rete della memoria calabrese.
Da qualche anno la parola ‘ndrangheta si pronuncia sempre più spesso e qualcuno ha imparato a scandirla sia fuori dai confini regionali che oltralpe. Gli attivisti dell’archivio stopndrangheta incontrano anche i ragazzi che, da tutta Italia, partecipano ai campi della legalità per conoscere questa parte di storia calabrese che anche i calabresi avevano dimenticato. La rete rende più facile accedere ai settori perduti della memoria collettiva e collaborare a mantenerla in vita in un’ottica di riscatto vero e consapevole. L’archivio si fa promotore di questa presa di coscienza fornendo agli utenti un racconto critico di quello che avviene nella punta dello stivale, per essere sempre capaci di ricordare che un altro Sud c’è sempre stato, c’è ancora e può ancora esserci.