Svalutazione del peso: voci dall’Argentina

Settimana scorsa il governo argentino ha svalutato pesantemente il peso, portandolo a quota 8 per un dollaro. Un itnervento che ha fatto seguito a una politica di micro-svalutazioni in atto da tempo che non sono riuscite a fermare l’emorragia dei depositi di dollari nelle casse della Banca centrale. Il dolar blu, al mercato nero oggi vale fra i 12 e i 13 pesos a seconda dei giorni. Con i provvedimenti adottati dal governo si è allentato il cosiddetto cepo cambiario, una limitazione imposta dal 2011 per volere della presidente cristina Fernansez, che prevedeva un irrigidimento e alte commissioni per chi voleva investire in dollari. A quel tempo le spese energetiche e l’instabilità e mancanza di fiducia del paese rispetto a possibili crediti da chiedere a organismi internazionali, portò alla chiusura di una tradizione: quella di investire i propri risparmi nel biglietto verde.

La nuova strategia del governo per arginare la crisi ha destato molte perplessità nel paese. Ve lo raccontiamo con la testimonianza in prima persona da una cittadina argentina.

da Azùl, Silvina Grippaldi

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In questa cittadina sperduta nelle pampas argentina, l’unico “arbolito” del paese (colui che compra e vende dollari in nero) era in vacanza il giorno stesso in cui il governo argentino ha tolto le limitazioni del cosiddetto “cepo cambiario” e ampliato le possibilità per poter acquistare dollari presso le banche. Doveva tornare il 31 invece oggi è di nuovo in azione perché l’euro blue (quello del mercato nero) da 12 pesos di settimana scorsa è da ieri a 16 e probabilmente salirà ancora di più.
Proprio da queste parti e fino a poco tempo fa si acquistavano e vendevano dollari o euro soprattutto nel mercato nero e molte transazioni finanziare si facevano in nero in valuta estera: dall’acquisto d’immobili o terreni a macchine agricole, industriali o automobili. Persino lo stesso notaio che si occupava di firmare l’atto di vendita prendeva una commissione sull’ammontare pagato in nero in dollari mentre sul documento si registrava una cifra simbolica in pesos.

La nuova strategia del governo per arginare la crisi ha destato molte perplessità nel paese. Soprattutto perché in questo momento grazie al fantasma della crisi e all’inflazione reale al 25% saranno pochi gli argentini della classe media che potranno risparmiare per poter acquistare il minimo stabilito dal governo di 2000 dollari. Si stimola così il risparmio in valuta estera ma all’interno di una situazione economica molto fragile e incerta.

La gente comune vede che iniziano a mancare sugli scaffali dei supermercati anche i prodotti di prima necessità perché i commercianti e i distributori tolgono le merci in attesa di venderle a un prezzo maggiore, in vista dell’aumento del dollaro.
H.P. proprietario di un’agenzia immobiliare sostiene che le nuove misure di governo producono soltanto uno stop nella compra vendita di abitazioni perché nessuno acquista nulla valutato in pesos giacché da sempre il 70/80 % degli affari immobiliari è stato fatto in dollari. Soltanto nella pregiata moneta verde si poteva vedere un investimento o un risparmio.
Altri sono d’accordo perché nella maggior parte dei paesi del “primo mondo” la moneta è quella nazionale e se qualsiasi cittadino vuole andare all’estero, acquista le banconote presso le banche o le agenzie di cambio.

In Argentina da quando è stato inserito per la prima volta il “cepo cambiario” se vuoi andare all’estero è l’Agenzia delle Entrate argentina (l’Afip) che stabilisce secondo il tuo reddito quanti dollari puoi acquistare con una tassazione del 20% e se acquisti all’estero con la carta di credito hai una tassazione che arriva al 35%. Da quando appunto c’è stata questa misura del governo, gli arbolitos hanno avuto modo di arricchirsi perché i potenziali turisti che non potevano avere i dollari dall’Afip li acquistavano da loro, anche se a un prezzo maggiore.

Per tanti è una misura assurda, che nasconde l’incoerenza di questo governo, che ha stimolato finora il consumismo forsennato in pesos con l’aiuto di finanziamenti e carte di credito che sbucavano come funghi, mentre ora si stimola al risparmio in dollari che puoi solo prelevare dopo 12 mesi se non vuoi pagare la tassa del 20%. Così sostiene J.M. un traduttore a partita Iva che lavora anche per multinazionali.

R.Z. ex commercialista e attualmente proprietario di un negozio di alimentari dice che sarà impossibile per Cristina Kirchner e il suo governo traballante riacquistare il credito di fiducia che gli argentini stessi le avevano concesso, se continua a viaggiare sul treno della bugia.
La realtà che gli argentini vedono in questo momento è che ci sono sempre meno soldi, che l’inflazione reale è molto più alta di quella comunicata dal governo, che i capitali continuano a fuggire all’estero e che l’Argentina ha sempre meno credibilità.
Sono riuscita a parlare con l’arbolito e mi ha confessato che è tornato in fretta e furia dalle vacanze perché sapeva che con i pesos che aveva lasciato in cassaforte avrebbe acquistato meno dollari rispetto a settimana scorsa e perché sapeva che c’era la coda di gente ad attenderlo per acquistare il dolar blue da mettere sotto il materasso, prima che arrivi alle stelle. La sua tranquillità comunque mi ha sorpreso e quando gli ho chiesto se non era preoccupato per il fatto che avrebbe perso “clienti”, mi ha risposto che dopo queste misure non sarebbe cambiato nulla per lui.
In questo paese surreale si può applicare benissimo la frase di Tancredi Falconeri, nipote del Principe Fabrizio ne Il Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”



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