A ciascuno il suo nord

Come si sente un coreano del sud in giro per il mondo

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/09/Berra-Portr-bw.jpg[/author_image] [author_info]testo e foto di Matteo Berra, da Daegu, Corea del Sud. Nato a Milano nel 1977, e’ docente di scultura a Daegu, in Corea del Sud, dove vive dal 2011. Ha esposto in Italia e all’estero in mostre personali e collettive. Il suo sito: www.matteoberra.com[/author_info] [/author]

7 gennaio 2014 – Pensate di avere un fratello. E che questi ne combini di cotte e di crude, spesso anche con cattiveria. Pensate che sia proprio un individuo spregevole fino alla macchietta, uno che ruba i soldi della merenda ai bambini, che attacca i petardi alle code dei gatti e che picchia i vecchietti per puro sollazzo.

Pensate quindi che il nome della vostra famiglia venga sempre associato a lui e che nonostante voi siate dei professionisti di successo in tutto il mondo, all’avanguardia in molteplici vostre attività, ogni qual volta il nome della vostra famiglia venga nominato, sia per raccontare l’ennesima idiozia ordita e messa in atto dal nefasto fratello. Ecco, questa è la condizione in cui credo si possa sentire un coreano del sud all’estero, o almeno in Italia.

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Quando sento parlare della Corea sui media italiani, l’attenzione è rivolta alla parte nord della penisola, dove si è dato qualcuno in pasto ai cani, dove si costruisce un missile nucleare o da dove si minaccia guerra al mondo capitalista. D’altro canto constato spesso, ormai quasi per divertirmi, che molti ignorano quanta Corea del sud li circondi. Tanti sanno che Samsung è coreana, alcuni che lo sono Daewoo e Kia, ma sulla provenienza di LG quasi tutti inciampano. L’anno scorso solo Psy ed il “Gangnam Style” sembravano riuscire a segnare chiaramente Seoul sul mappamondo.

Ma la situazione non è sempre stata così, anzi la Corea fu una nazione unificata sin dal settimo secolo.  Quindi all’inizio del ventesimo secolo il Giappone la invase facendo disastri incredibili e commettendo atrocità simili a quelle dei nazisti, ma fu costretto a ritirarsi come conseguenza dell’aver perso la seconda guerra mondiale. A questo punto un mero gioco politico, analogo al caso della Germania, tracciò una bella riga a metà della penisola, con i filo comunisti al nord, sotto l’ala dell’Urss ed i filo americani al sud. Dopo soli tre anni, nel 1950, con armi e carrarmati russi, i coreani del nord cercano di invadere il sud. Dopo tre anni di morti firmano l’armistizio, ma non la pace, che è tutt’ora in vigore.

Con un territorio più esteso ed un appoggio diretto da Mosca in principio sembrava che il nord dovesse prosperare, ma la storia e la caduta del blocco sovietico hanno dato ragione al sud, che conta oggi una popolazione più che doppia rispetto al nord, ma soprattutto un ruolo nel mondo proiettato nel futuro, rispetto allo sprofondo medioevale del nord.

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Mi fa arrabbiare quando sento i commenti di certi politici italiani che recentemente si sono recati in visita la nord, elogiandone l’ordine, la disciplina ed il desiderio di rapporti col mondo, quando questi aggettivi andrebbero coniugati come tirannia, disperazione e sfruttamento.

La Corea del Nord è a tutti gli effetti un enorme lager, dove venti milioni di persone non hanno alcun diritto civile e sono in balia di un caro leader, ora giovane, paffutello e con lo sguardo non proprio vispo. Kim Jong-Un si è presentato al mondo l’anno scorso con una lunga minaccia di invasione che ha avuto molta eco sui media italiani e mondiali, che come unica vera conseguenza ha avuto quella di spaventare i parenti e gli amici che preoccupati ci scrivevano e chiamavano dall’Italia. In Corea la situazione era preoccupata quanto un passante abituato allo sbraitare di un cane dietro una recinzione.

L’unico vero dubbio, anche a livello internazionale era proprio il novello grande leader del nord; non si sapeva ancora se fosse tonto abbastanza da passare a delle vie di fatto. E così, come al solito, non è stato. Bisogna pensare che se un attacco a sorpresa potrebbe certamente fare qualche danno  e vittime al sud, porterebbe anche ad una fulminea ripresa del conflitto e una probabilissima quanto rapida disfatta del nord. Quindi chi perderebbe il suo status di dittatore per finire quasi certamente in una cella, solo per fare il gradasso fino in fondo? Solo qualcuno completamente pazzo.

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In quei giorni al sud girava una premonizione poi avveratasi, che col giungere della primavera le minacce sarebbero finite, perché i soldati sarebbero dovuti andare nei campi a zappare.

Perché nel bel paese del nord manca tutto, il cibo in primis e con un servizio militare di dieci anni, si capisce bene che non ci siano le risorse per lasciare la gioventù a far nulla scrutando oltre il confine, a volte bisogna istigarli per tenerli concentrati sul conflitto, altre volte bisogna fargli fare ginnastica nei campi, altrimenti non ci sarà un raccolto per sfamarsi il prossimo inverno. E così col giungere della primavera il luminoso esercito del popolo si rimbocca le maniche ed armato di zappe combatte la nera guerra contro la fame.

Per amor di completezza possiamo aggiungere che qualora venisse voglia di fuggire dall’opulenza del nord, oltre ad infrangere il cuore del caro leader che probabilmente piangerebbe, si avrà la certezza che il fermo  braccio della giustizia del popolo non esiterà a prelevare l’intera nostra famiglia e a deportarla in un ridente lager nel quale moriranno probabilmente in breve tempo a causa del troppo spasso provocato dai lavori forzati.

I segni dell’armistizio si vedono in molti dettagli nella vita quotidiana del sud: dai miei studenti che al secondo anno partono per i due anni di servizio militare e l’abbondanza di militari per le strade e sui treni, al frequente rombare dei caccia in esercitazione. Ma la ferita aperta più evidente di questa guerra congelata è la DMZ, la zona demilitarizzata, quale eufemismo per il confine più armato al mondo. Una striscia larga quattro chilometri che corre da costa a costa, per 250 chilometri e passa anche a lato di Seoul. L’unica conseguenza positiva non era naturalmente prevista, ma in assenza di persone, si è trasformata in una lunghissima riserva naturale, dove flora e fauna possono prosperare indisturbate.

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Anche anche in questo contesto l’estrosità e l’eterodossia dell’approccio nord coreano alle cose non manca di mettersi in evidenza, o meglio si notano le messe in atto delle folli idee strategiche dei cari leader susseguitisi. La mia preferita sono certamente i tunnel. Notando delle incongruenze nel livello dell’acqua di alcuni stagni lungo il confine i coreani del sud si sono messi ad investigare ed hanno scoperto che i nordisti stavano scavando delle gallerie che passavano sotto alla zona demilitarizzata, con lo scopo di creare vie di ingresso per le truppe in prospettiva di una invasione. Un piano degno di Gatto Silvestro. Alcune delle gallerie individuate sono visitabili e fanno impressione, scavate nel granito a suon di esplosivi.

Per non farsi mancare nulla, sul confine si mettono in atto anche sottili battaglie psicologiche. I raffinati strateghi del nord hanno fatto costruire a ridosso del confine un villaggio modello posticcio, in modo che i meridionali che si affacciassero ad ammirarlo, non possano resistere all’impellente desiderio di saltare la recinzione ed unirsi al paese dei balocchi. Girano voci poi che nella zona condivisa, dove i soldati sono letteralmente divisi da una riga, i soldati del nord siano incaricati e responsabili di sorvegliare anche i compagni di piantone, prima che gli venga in mente di fare un passo di troppo verso sud. Pare anche che una volta abbiano cercato di trascinare un soldato del sud dalla loro parte, malcapitato salvato dalla pronta presa di un commilitone. Comunque nei periodi di crisi il peggio che il nord possa fare è l’interrompere le comunicazioni telefoniche.

In realtà durante la crisi dell’anno scorso sono stati sospesi anche gli ingressi dei dirigenti delle aziende del sud che hanno avuto il permesso di aprire uno stabilimento al nord. Infatti da almeno venti anni esistono realtà di questo tipo, gestite dal sud con manodopera del nord, in territorio settentrionale. Il paradosso di un popolo di fratelli, divisi dalla politica e da una guerra immobile.

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I pareri che ho raccolto al sud sulla situazione non sono molto sorprendenti, alcuni sono preoccupati dal doversi far carico di venti milioni di poveri, altri credono che l’unificazione sia necessaria e che alla lunga porterebbe maggior benessere per tutti. Ma incredibilmente, o forse no, non ho mai scorto del rancore o della rabbia nelle parole della gente, anzi spesso compassione e comprensione per i fratelli oppressi dalla dittatura, mentre per esempio il rancore contro i Giapponesi è tutt’ora molto vivo.

La Corea del nord non ha nulla del sogno socialista che sbandiera con un allucinante cinismo. È un luogo di sopruso e violenza reiterata che si spera quanto più in breve troverà la forza di sollevarsi e non condannerei la mancanza di compassione dei suoi cittadini nel pareggiare i torti subiti.

Quindi la prossima volta che chiunque si permetta di presentarne anche un solo aspetto positivo dubitate, perché questa persona o è stupida o è ignorante.



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