Pakistan, governo e talebani trattano mentre non si ferma la violenza
tratto da Great Game, di Emanuele Giordana
Mentre un uomo ieri (10 febbraio 2014) si è fatto esplodere a Peshawar, capitale della provincia del Khyber Pakhtunkhwa, uccidendo quattro donne, sabato, nella provincia meridionale del Belucistan (entrambe al confine con l’Afghanistan), veniva appiccato fuco al luogo sacro dedicato a un poeta sufi, Mast Twakali.
E’ un personaggio la cui memoria, che travalica i confini del Pakistan, viene onorata quotidianamente con pellegrinaggi che non piacciono ai puristi di scuola deobandi che vorrebbero il Pakistan governato dalla sharia e dal Corano al posto della Costituzione.
Il giorno dopo, a Karachi, capitale del Sindh, alcune granate sono state lanciate contro un assembramento di sufi. Poi è stato aperto il fuoco: otto morti e altrettanti feriti. Il sufismo non è una dottrina o una corrente settaria dell’Islam ma la sua forma spirituale mistica per eccellenza. Un vero antidoto al settarsimo radicale e infatti, secondo i puristi del Teheerk-e Taleban Pakistan (Ttp), è una deviazione che va punita. Con la morte.
E’ ancora presto infatti per capire se il processo negoziale porterà a qualcosa e se è effettivamente un passo storico destinato a chiudere una guerra interna che dura dal 2007, ha ucciso quasi 150 persone solo dall’inizio dell’anno, e che oppone soprattutto la zona delle aree tribali (Fata) del Khyber Pakhtunkwa al governo centrale di Islamabad (ma con rivoli, come si vede, che si estendono in tutto il Paese).