La domanda senza risposta

Renzi, Letta, il palazzo, i giornali che parlano della smart in fuga da Montecitorio, quelli che ci fanni cliccare gallery di toto-ministri e una musica che trascende nel porci di fronte alla grande domanda dell’esistenza. Come si tiene il tutto?

di Angelo Miotto

 

13 febbraio 2014-. Matteo è arrivato in Smart. Ed Enrico è zen, guarda i tweet! Questi sono i prossimi ministri, clicca qui. Il faccia a faccia è ricco di retroscena, vuoi sapere quali? Enrico tiene duro, oggi c’è la direzione del Pd, vogliamo non pubblicare un live twitting?
È la macchina della cattiva informazione e spesso della cattiva politica che di cattiva informazione vive, che batte in testa. Il rapporto di forza è evidente: noi subiamo il messaggio. Noi subiamo l’inazione politica. Le realtà sono tante per ognuno di noi, nella propria diversità e quasi nessuna di queste pare avere ponti di collegamento su argomenti e discorsi di sostanza. E allora tanto vale raccontare una storia: quella di un ex assicuratore che scriveva musica e che ha scritto negli anni Trenta un brano che vive di archi, di legni, di una tromba solista. E che spiegava quelle sue note come il grande punto di domanda che ciascuno di noi scrive, prima o poi nella vita, rispetto alla propri esistenza.
Cosa c’entra con Renzi, Letta, Grillo e Berlusconi? Ecco qui.

C’è un bellissimo brano di Charles Ives, si chiama The unanswered question, la domanda senza risposta. Il compositore americano, era un assicuratore che venne scoperto solo in tarda età, rivolgeva la sua domanda ultima, quella più profonda in una scrittura che commuove nel senso più letterale del termine. È la domanda che chiede in assoluto, che viene pronunciata di fronte alla nostra esistenza. La descriveva così: “Gli archi – immobili, pianissimo – che rappresentano il silenzio dei Druidi, che non sanno, non vedono e non odono nulla, la tromba che intona la perenne domanda sull’Esistenza, i legni che cercano, come tutti gli uomini, di dare risposte contrastanti. Gli strumenti infatti costruiscono dei suoni onomatopeici che riescono ad essere sia musica che concetto parlato. La tromba pone una domanda con un fraseggio che sembra davvero la voce di una persona (eppure le note non sono sconnesse, ma posseggono al loro interno un’armonia quasi “sacra)”.

Scomodare questo capolavoro e questa ricerca di senso per prosi una domanda di consapevolezza civile sulla politica può apparire una bestemmia.
E infatti per chi vuole vedere solo il lato deleterio della faccenda, sarà così.

Eppure, in tutto questo bailamme di cretinate giornalistiche in cui si sprecano parole per dirci se Matteo Renzi arriva a bordo di una Smart (ma la notizia sarebbe stata vederlo arrivare a dorso di canguro, il resto che notizia è?), in retroscena dai virgolettati falsati, in sproloqui che distraggono dai temi urgenti delle nuove povertà, una domanda seria ci sarebbe. Anzi c’è.

A ben vedere che una pagliacciata mediatica si riduca a cosa senza senso è un vero e proprio pericolo rispetto a quello che c’è in gioco. Riassumendo, e per brevità sarà perdonata la sintesi, c’è un governo anomalo, che ha fatto seguito a un altro governo anomalo. Prima i tecnocrati europei di un mondo parallelo, ma che ci dirige. Poi dopo le elezioni un’ingarbugliata situazione in cui il Pd, che era riuscito a farsi rimontare dalla mummia del berlusconismo, si era sottoposto addirittura a trattative in streaming, i Cinque stelle hanno scelto sempre di voler capitalizzare il consenso in vista di altre elezioni e senza volersi sporcare le mani nel compromesso, la scissione a destra, il governo bicefalo e anomalo con partiti su sponde opposte che usano la crisi e il terrore finanziario speculativo per dirsi autorizzati a proseguire. In più: legge elettorale bocciata dalla Consulta, primarie in tromba per Matteo Renzi, il Pd che dice che si cambia verso e una staffetta che da improbabile sette giorni fa’ è diventata notizia di cronaca, faccia a faccia teso, disaccordo, Letta resiste e il king maker Napolitano che dice: sbrigatevela nel Pd. Vedremo oggi.

Dove sta il pericolo? Nell’apatia voluta e ricercata, di chi è stato delegato con un voto democratico, nel non voler riformare la legge elettorale, in chi ne ha pensata una che penalizza le minoranze in maniera pesante, nel voler costruire ipotesi di meccanismi democratici a seconda dei propri interessi, da una parte e dall’altra, senza pensare davvero a cosa sia meglio per i cittadini, anzi arrogandosi il diritto di dire che quello che viene raggiunto in un patteggiamento a tratti infame, è ancora di salvezza.
La staffetta, come ipotesi, è comprensibile nei giochi politici, ma le nostre esistenze sono condizionate in maniera pesante da questi continui giochi di potere e rapporti di forza.
È sottomettersi a un certo grado di violenza, se ci si ferma a ragionare.

La legge elettorale andava riformata anni fa, anche ora un governo non è in grado di licenziarla per farci andare ordinatamente alle urne e scegliere, indicare una direzione, sentire, insomma, che il nostro voto vale. Il nostro voto è l’unica cosa che abbiamo e mentre lo si scrive si sente tutta l’impotenza e a volte anche un pensiero di inutilità rispetto a equilibrismi, lobby, corruzione, interessi stratificati.

first

Quando pensiamo al fine ultimo della nostra esistenza, eccoci di nuovo a Charles Ives, i pensieri volano alto, ma precipitano in maniera subitanea quando ci ritorviamo licenziati, disoccupati, malpagati, esodati, esclusi, poco rispettati nei nostri diritti, corteggiati in campagna elettorale, bistrattati nel resto dei giorni. Facciamo notizia quando siamo arrabbiati, anche se i fenomeni di indignazione sono stati pochi rispetto ad altri paesi europei. E quando esprimersi ha significato non solo dire, ma dimostrare in maniera cruda siamo tornati a leggere il messale del giornalismo buonista, che grida alla violenza e agita i fantasmi di anni bui.

Pensare alle nostre esistenze presuppone che si riesca a creare delle condizioni perché il pensiero alto parta da basi non negoziabili, cioè quelle che ci riportino a una dinamica di delega vera, operativa, efficace. E a un livello dignitoso di pratiche, comportamenti e dibattito.

In fondo, le tasse, la pressione fiscale, i dati dell’istat sulle famiglie in povertà, il fine mese che angoscia, il problema dell’ambiente, quello dell’integrazione, evitare la retorica del disumano che scatena violenza fra classi subalterne, in fondo tutto questo fa parte della nostra esistenza e i pensieri alti iniziano a morire proprio lì. Ha voglia la tromba di Ives a interrogarmi sul senso della vita, quando devo passare la vita a cercare di resistere e quando altri che di lavoro amministrano, pensano in maniera più o meno evidente a mantenere le proprie agiate diversità e il potere.

In altre parole: fra le colpe di questo periodo partitico c’è la mancanza di futuro, ma anche lo scippo sistematico di possibilità che favoriscano un’evoluzione dell’individuo, che viene vissuto come elettore, fattore di produzione, accidente casuale di una fase storica.

Gustav Klimt

Ascoltiamo Charles Ives e si verifica, provateci, il miracolo del trascendere. È un’esperienza che chi ama la musica avrà provato anche in altre occasioni. Ma alla volatilità dei pensieri è attaccata la carne e il sangue, i muscoli e le nostre povere ossa, e i germogli che crescono senza orizzonti chiari per il futuro.
La domanda senza risposta è impossibile nella sua soluzione.
Ma il concetto di ‘tendente a’ è quello che ci muove senza sosta. Così come il fatto stesso di porsi la domanda, non è scontato farlo, è una costante di chi cerca e chi cerca sa che le domande non finiscono mai.

Staffetta o meno, nuovi pigli comunicativi o meno, svecchiamenti  rottamazioni, nuovi programmi politici; c’è da chiudere le deviazioni stratificate di una routine politica, mediatica che ormai non funziona più, che è anacronistica per molti e che non interessa altri.
Senza un programma coerente, ricco di visione, senza restituire al cittadino uno strumento reale di partecipazione e senza una profonda battaglia culturale, la dimensione politica del nostro appartenere a – e formare  – una comunità è compromesso. Il rapporto di forza che ci vede spesso soccombere, in realtà, non è e non sarà altro che una bomba a orologeria per chi vive nel mondo del soliloquio autoreferenziale permanente. È solo questione di tempo.

P.S. Ho appena finito di leggere Impegno Italia. Un programma di governo con una tempistica di realizzazione difficile da credere. Ottimi argomenti, ma il dubbio è sempre lo stesso: annunci o fatti? E con che maggioranza e con che ostruzionismi, anche interni?

Ma soprattutto ho negli occhi i lavoratori di Privalia licenziati dall’impresa. Sono 52. Li ho incontrati per strada, fischietti e trombe, cartelli improvvisati, bandiere. La loro domanda di esistenza si faceva sonoramente sentire mentre la Smart arrivava a Monteditorio.  (Ne scriveremo a breve, promesso)



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