SPERO CHE MI PERDONERETE

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/1015058_4778608114201_571572631_o.jpg[/author_image] [author_info]di Elena Esposto. Nata in una ridente cittadina tra i monti trentini chiamata Rovereto, scappa di casa per la prima volta di casa a sedici anni, destinazione Ungheria. Ha frequentato l’Università Cattolica a Milano e si è laureata in Politiche per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo. Ha vissuto per nove mesi a Rio de Janeiro durante l’università per studiare le favelas, le loro dinamiche socio-economiche, il traffico di droga e le politiche di controllo alla criminalità ed è rimasta decisamente segnata dalla saudade. Folle viaggiatrice, poliglotta, bevitrice di birra, mediamente cattolica e amante del bel tempo. Attualmente fa la spola tra Rovereto e Milano[/author_info] [/author]

17 febbraio 2014 – Spero che mi perdonerete per quello che sto per scrivere. Spero che mi perdonerete se con la mia penna tagliente ho trasformato il Paese dei sogni in uno scenario intriso di realtà. Spero che mi perdonerete se non sto rispondendo alle aspettative. Credetemi, anche io preferirei parlare di samba, spiaggia e Carnevale. Ma sembra impossibile.

Commentando le notizie degli ultimi giorni una mia amica mi ha detto “Vuoi davvero tornare in Brasile? Cavolo ci vuole coraggio”. Falso: ci vuole stomaco.

È il 2 febbraio 2014. Il mondo del Candomblé festeggia il giorno di Iemanjá, la dea del mare, bellissima principessa degli abissi cantata in tante poesie e canzoni. Praia de Copacabana. Uomini e donne vestiti di bianco si addentrano nelle onde dell’Oceano offrendo a Dona Janaína fiori bianchi, candele, cocchi e una bellissima barca azzurra carica di composizioni floreali. Praça da Mauá. La calda aria estiva è intrisa di allegria e di samba, i cariocas festeggiano la Princesa de Aiocá con il famoso Samba da Pedra do Sal, che prende il nome da un monumento storico e religioso della città, intriso di storia e cultura nera.

Bairro do Flamengo. Un giovane nero viene trovato nudo, sul corpo segni di percosse, legato ad un palo della luce con un catenaccio di bicicletta in torno al collo.

MENOR NEGRO

Non solo sono gli adepti del Candomblé che il 2 febbraio entrano nelle acque dell’Atlantico per la benedizione di Iemanjá. Lo abbiamo fatto tutti, tutti coloro che almeno una volta si sono trovati in spiaggia il 2 febbraio. E negli altri giorni non sfuggirà agli occhi dell’osservatore attento che alcune persone, prima di entrare tra le onde, si bagnano la punta delle dita e le baciano, come a chiedere il permesso a Dona Janaína di entrare nel suo regno.

Iemanjá è una divinità bianca ma il suo culto fu portato in Brasile dagli schiavi africani nel XVI secolo. Non so se coloro che seguono i sacerdoti fra le onde il 2 febbraio, coloro che baciano l’acqua prima di fare il bagno o coloro che si vestono di bianco il 31 dicembre sono veramente fedeli di Iemanjá, sono superstiziosi o semplicemente si sentono affascinati dalla religione altrui. Sta di fatto che le antiche credenze dei neri sono lì, presenti, onnipresenti oserei dire, nella cultura dei brasiliani.

Non esiste nessuno che io conosca immune al ritmo del samba (e ti pareva che non finivo a parlare di samba?…), e ve lo dico perché ho conosciuto decine e decine di stranieri in tutto il Brasile perdere completamente il controllo di se stessi al suono magico e ritmato di vecchie canzoni della tradizione. Fosse l’americano al Samba do Trabalhador, l’argentino al Samba do Ouvidor, l’algerino al Carioca da Gema o l’italiana (io) al Samba del pre-Reveillon sul molo di Recife. Per non parlare dei cariocas che riempiono le piazze e le strade se appena quattro musicisti si siedono in cerchio e iniziano la batucada.

C’è davvero bisogno che io vi dica da dove viene il samba? Davvero??? Addirittura il nome deriva da un dialetto angolano…

Vogliamo parlare del Carnevale? No dai, non parliamone altrimenti mi gioco l’articolo di marzo. Comunque saremmo andati a parare sempre lì.

Parliamo piuttosto dell’enorme ipocrisia di una società intrisa di credenze, valori e tradizioni che le vengono dal bagaglio culturale di un gruppo da sempre discriminato e bistrattato ma che ha lasciato un’impronta indelebile. Sì, proprio loro, i neri.

La cosa vi turba? Perfetto, allora potete evitare di ascoltare samba (e funk…), di mangiare feijoada, acarajé o bolo de mandioca, scordatevi il carnevale, scordatevi la capoeira, scordatevi la macumba per acchiappare quel ragazzo che vi piace tanto, scordatevi le offerte agli Orixás per la buona sorte… insomma, andate in vacanza in Portogallo.

La morale di questa storia, che di morale non ha proprio niente, è che fa figo ed esotico lanciare i fiori bianchi a Iemanjá, consultare una mãe di santo e accendere candele agli incroci delle strade, ascoltare funk va di moda e il Carnevale è un simbolo nazionale (condotto a suon di samba).

Intanto là fuori, nella vita reale, qualcuno picchia un ragazzo nero e lo lega ad un palo della luce con un catenaccio per la bicicletta attorno al collo. Là fuori c’è ancora qualcuno che chiama i neri “macacos”, c’è ancora qualcuno che crede che i neri abbiano capacità intellettuali inferiori ai bianchi, che siano tutti ladri e vagabondi, tutti favelados e bandidos.

Ci sono ancora razzisti. Ancora, perché ci sono sempre stati.

Cosa?!?  Nella terra delle bellissime mulatte, nella terra dove il melting-pot è uno stile di vita ci sono razzisti?

Proprio in quella terra. Proprio lì. È questa la notizia cari amici. Spero mi perdonerete.



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