Quella Sicilia un po’ “lombarda”

Italia e Sicilia: il Grande Coniglio.

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/02/RITRATTO1.jpg[/author_image] [author_info]di Nicola Duberti (Mondovì 1969) si spaccia per romanziere (Piccoli cuori in provincia granda, 2011) e attore (Le voci del Tanaro, 2012) ma in realtà è presentabile solo come poeta in dialetto alpino (J’òmbre ’nt le gòmbe/Le ombre nelle valli, 2013).  Alle varie lingue del Piemonte, e non solo, dedica da anni un vivace interesse prima di dilettante, poi di semi-professionista consacrato dalla frequenza di un dottorato in Scienze del Linguaggio presso l’Università di Torino. I suoi ambiti di ricerca sono molti, in particolare la sintassi dialettale: ma sa che di queste cose non si parla in pubblico…Per sopravvivere, conta sui lauti proventi della propria attività di insegnante di lettere part-time in una scuola media.[/author_info] [/author]

 

Puntiamo il nostro obiettivo sul Piemonte sud-occidentale. A sud di Mondovì c’è una valle alpina, la Val Mongia. La parte alta della valle è tutta occupata da un piccolo Comune che ha il suggestivo nome di Viola. Una delle borgate del paese ha invece lo strano nome di Coniglione. Un toponimo che sconvolge sempre i forestieri e li predispone a una specie di stupefatta ilarità. C’è poco da ridere. È un esempio della stupidità dei cartografi militari sabaudi: il nome del posto, nella varietà dialettale alto-monregalese che si parla a Viola, sarebbe Cüniòn, cioè “grosso cuneo”. Un nome non così strano per un paese situato in provincia, appunto, di Cuneo. Il coniglio, che in violese si dice lapén, non c’entra proprio niente. I cartografi sabaudi del Settecento e dell’Ottocento, però, erano abituati a ragionare in dialetto torinese, dove coniglio si dice cünij. Cüniòn, per loro, era senza equivoci un grosso coniglio. E così, senza problemi, la borgata è diventata Coniglione. Se si pensa che da quell’establishment militare sabaudo è stata fatta l’unità d’Italia, si capiscono molte cose sullo sciagurato destino di questo Paese.

 

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A proposito di unità d’Italia. Spostiamo lo zoom molto più a sud, sempre tenendoci a ovest. Cunigghjuni è anche un toponimo siciliano. Il nome di un centro piuttosto grande situato nella Sicilia occidentale. È un mistero perché questo centro si chiami così. Cosa c’entra il coniglio? Niente. A meno che anche quello non sia un Cuneone, di cui poi si è persa memoria quando il dialetto locale è stato sostituito dal siciliano. Ah, già, abbiamo dimenticato un fatto importante: quel paese (che già doveva esistere in epoca araba) è stato popolato, nel Medioevo, con coloni “lombardi” (cioè settentrionali) guidati da Oddone di Camerana. Un tizio che prendeva la sua gente dalle valli oggi appartenenti alla provincia di Cuneo, dove appunto si trova Camerana. Ai Normanni che avevano appena preso possesso della Sicilia piacevano quei settentrionali e ne stanziarono ovunque in Sicilia, creando vere e proprie isole linguistiche gallo-italiche. Alcune di quelle isole sono sopravvissute e ancora oggi parlano dialetti straordinariamente somiglianti a quelli delle valli tra Liguria e Piemonte, diciamo fra Monregalese e Alto Monferrato. La maggior parte di questi centri ancora attivamente galloitalici si trova in provincia di Enna o di Messina. Altre di quelle isole linguistiche, invece, soprattutto quelle situate più a ovest, hanno cambiato codice passando al siciliano. Una di queste è stata Cunigghjuni.  Che adesso parla siciliano. E si chiama Corleone.

Ora, forse l’etimologia Cüniun>Cunigghjuni è sbagliata. O forse è solo parziale: ci sono già tracce arabe di un toponimo molto simile, che probabilmente i galloitalici provenienti dal Piemonte reinterpretarono secondo le proprie abitudini linguistiche. Ma sta di fatto che la cosiddetta capitale della mafia è un centro di origine galloitalica. Cioè settentrionale: galloitalico è un termine linguistico inventato nell’Ottocento per indicare le lingue dell’Italia settentrionale in cui si presentano fenomeni simili a quelli del francese: diciamo, il piemontese, il ligure, il lombardo, l’emiliano, il romagnolo e il marchigiano settentrionale. Probabilmente i coloni di Corleone, come quelli degli altri centri galloitalici siciliani, venivano dal Piemonte sud-occidentale, come proverebbero alcuni cognomi che richiamano nientemeno la Provenza. Provenzano, per dirne uno. O Riina, che potrebbe venire dal provenzale antico, dal catalano o dal castigliano medievale.

 

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Che cosa significa tutto questo? Niente. Solo che i percorsi della storia e della lingua, grazie a Dio, fanno giustizia di tutti i pregiudizi etnici e di sangue. E che il Sud è più settentrionale di quanto sembri e di quanto gli stessi meridionali normalmente credano. I dialetti della Sicilia “lombarda” testimoniano ancora oggi questi legami antichissimi e oggi quasi dimenticati. Sono preziosa testimonianza dei mutamenti morfologici, sintattici e fonetici avvenuti negli odierni dialetti galloitalici parlati in Piemonte e Liguria. Purtroppo queste varietà dialettali (con alcune vistose eccezioni) sono in crisi, minacciate dal siciliano comune e dall’italiano. Fa una certa impressione pensare che le prove viventi di un’intensa attività di scambio fra Nord e Sud, dopo quasi un millennio di tenace mantenimento, entrino in crisi con il consolidarsi dell’unità italiana. Evidentemente l’Italia unita preferisce affidare la propria unificazione ad altre agenzie sociali. Come quella per cui, a torto, è diventata famosa Corleone.

 



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