Un libro ripercorre la storia della diagnosi delle malattie psichiatriche focalizzandosi sugli eccessi della disciplina, sui suoi pregi e difetti. Ricostruisce quel fenomeno che vede improvvisamente tutti scoprirsi affetti dalla stessa malattia
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/02/IMG_1396.jpg[/author_image] [author_info]di Roberto Cortelli. Nato a Bologna nel 1982, una laurea in Storia contemporanea e una in Geografia. Guida ambientale escursionistica, ha lavorato con uomini, donne, asini e bambini. È appassionato di natura a 360°, si definisce un esploratore delle superfici e dei meandri della terra. È divoratore di libri e di frutta secca.[/author_info] [/author]
21 febbraio 2014 – Pratico l’atletica leggera a livello agonistico da sedici anni, ossia la metà della mia vita, più precisamente mezzofondo prolungato: dai 1.500 ai 10mila metri e qualche excursus in mezza maratona che, come dice il nome, è la metà esatta di una maratona. Da ragazzo andavo forte, adesso un po’ meno, ho percorso migliaia di chilometri, col freddo, col caldo e sotto la pioggia. Da quattro a sei volte a settimana. Ho corso con una tendinite, con le contratture e con dolori non meglio specificati. Non ho mai guadagnato nulla da questa mia attività e non ho mai vinto nulla di veramente importante: questo fa di me un malato di mente? Ritenevo di no, ma, per il DSM-5, sì: ho i sintomi di una dipendenza comportamentale, probabilmente in una forma anche grave.
Prima di raccontarvi la mia reazione a questa infausta notizia, devo spiegarvi che cos’è il DSM-5 e, soprattutto, parlarvi del libro che me lo ha fatto scoprire: Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie, Bollati Boringhieri, 340 pp., 26 euro.
Iniziamo con la definizione tratta da Wikipedia: “Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, noto anche con la sigla DSM derivante dall’originario titolo dell’edizione statunitense Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, è uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo, sia nella pratica clinica che nell’ambito della ricerca”. Continuiamo col dire che l’autore del libro, Allen Frances, è uno psichiatra, un professore universitario ed è stato il curatore della penultima edizione del DMS, la quarta. Insomma è uno che sull’argomento è alquanto ferrato.
Scoprirmi malato non mi ha assolutamente preoccupato, perché insieme alla diagnosi c’era la cura, o meglio, c’era una profonda e complessa riflessione sintetizzata col titolo del libro, che mi ha tranquillizzato spiegandomi che, nonostante abbia i sintomi non devo essere curato. Perché in psichiatria, spiega il libro, “i sintomi non fanno la malattia”.
L’autore, che ha in mente soprattutto il contesto americano, percorre la storia della diagnosi delle malattie psichiatriche focalizzandosi sugli eccessi della disciplina, sui suoi pregi e difetti. Ricostruisce le prognosi succedutesi nei secoli e le dinamiche che portano al fenomeno dell’inflazione diagnostica, quel fenomeno che vede improvvisamente tutti scoprirsi affetti dalla stessa malattia. Mette in luce le sfumature e le differenze che trasformano una peculiarità caratteriale, o una semplice immaturità, in una patologia.
Prendiamo un esempio dagli Stati Uniti, dove uno studio ha dimostrato che la data di nascita di un bambino ha un notevole valore predittivo per stabilire se gli verrà diagnosticato o meno un ADHD, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. In sostanza, è risultato che i bambini nati nel mese di gennaio hanno il 70 per cento in più di possibilità di vedersi diagnosticato il disturbo, rispetto ai loro compagni nati in dicembre, semplicemente perché sono i più piccoli della classe. “Abbiamo trasformato l’immaturità dovuta alla giovane età in una malattia da curare con una pasticca”.
Frances scardina il principio per cui la malattia mentale è ovunque, mentre, semmai, ovunque è il marketing aggressivo delle case farmaceutiche, che hanno causato false epidemie di disturbi mentali e un’inflazione diagnostica funzionale ad aumentare i loro profitti. I sintomi psichiatrici, spiega Frances, sono per loro natura ambigui e mutevoli e la natura umana, che è “resiliente”, spesso ha la meglio sulle difficoltà della vita, anche senza l’aiuto farmacologico. Per una corretta analisi occorre un percorso, non una breve seduta con un medico che non ci conosce e che ci liquida con una diagnosi formulata in sette minuti. E il farmaco deve essere l’ultima chance, non la prima soluzione.
Insomma, la prima regola dovrebbe essere semplicemente non curare chi è normale. Perché la normalità sta nelle differenze, nei difetti e delle stravaganze, e solo quando la malattia ci impedisce di vivere, ci isola o ci mette in pericolo, è tale. Allora ben venga una terapia, farmaci compresi. Se volete sapere il resto, non vi resta che leggere.