Il racconto di Karim Khan, un pashtun delle aree tribali pachistane, sequestrato il 5 febbraio e rilasciato dopo essere stato torturato per diversi giorni
di Emanuele Giordana, da Great Game
“Ho detto loro: se siete dei servizi, dalla polizia o del governo, ditelo chiaramente, non ho problemi. Io non sono un assassino, né un pregiudicato né una persona che lavora contro lo Stato. Perché mi avete preso? Ma hanno continuato a dire che dovevo solo stare zitto”.
E’ il drammatico racconto, diffuso anche in un’intervista video su Al Jazeera, reso da Karim Khan, un pashtun delle aree tribali pachistane, sequestrato il 5 febbraio e appena rilasciato dopo essere stato – mentre era bendato – picchiato e torturato per diversi giorni.
Non è una storia di ordinario abuso ed è una notizia che va accoppiata a un’altra, sempre di oggi e sempre in Pakistan: un comunicato congiunto firmato dai due capi negoziatori (Irfan Siddiqui per il governo e Sami ul-Haq per la parte talebana) dei due team che hanno avviato un negoziato tra Islamabad e il Teheerek-e-Taleban (Ttp, talebani del Pakistan) per por fine alla guerra iniziata nel 2007 tra islamisti delle aree tribali e governo centrale.
Il comunicato chiede uno stop alle azioni di killeraggio e violenza che, nonostante il negoziato, continuano a infiammare e insanguinare il Paese.
Qual è il filo rosso che lega le due notizia? Intanto i droni, gli aerei senza pilota responsabili di centinaia di vittime civili in Pakistan che cerano di uccidere i capi talebani in mezzo alla gente. Karim è un attivista noto per la sua battaglia contro i killer del cielo: suo figlio e suo fratello sono stati uccisi da uno dei tanti raid, ma lui non si è mai arreso. Alla vigilia del sequestro stava per partire per l’Europa al fine di raccontare ai parlamentari europei che non tutti gli abitanti delle Fata pachistane (aree tribali) sono terroristi. Non è mai partito.
E’ sostenuto dalla Foundation for Fundamental Rights di Islamabad il cui direttore, l’avvocato Shahzad Akbar, non ha dubbi: la responsabile del suo sequestro e delle torture è di “qualche agenzia governativa”, forse più di una visto che tra i venti energumeni che lo sequestrarono c’erano anche dei poliziotti. Dunque un attivista che si batte contro la politica dei droni (inviati dalle basi americane in Afghanistan) viene sequestrato molto probabilmente dai servizi di un Paese che, a parole, osteggia questa pratica definita un oltraggio alla sovranità nazionale. Ma veniamo al comunicato.
Mentre Karim è sotto sequestro e il Ttp uccide e persino rivendica i suoi attentati stragisti, i negoziatori governativi e non si appellano ai talebani perché smettano di uccidere. Purtroppo, la storia di Karim e le rivendicazioni dei talebani sembrano smentire le buone intenzioni di governo e guerriglia e quelle dei loro stessi portavoce. Entrambi chiedono al Ttp un passo indietro, ma il negoziatore protalebano si suppone abbia avuto mandato proprio da loro e l’emissario governativo si suppone abbia avuto mandato da Islamabad. Ossia dagli stessi che, nelle stesse ore, tollerano il sequestro di un poveraccio o ammazzano poliziotti e spettatori di qualche cinema di Peshawar. C’è qualcosa che non va.
Il problema del Pakistan, e dunque del negoziato, è che sono gli stessi negoziatori a essere drammaticamente fragili. Fragili nel senso che non rappresentano né il Ttp né il governo ma solo una parte per il tutto. Che è ben altro. Il governo non riesce o non vuole tenere a bada i servizi più o meno deviati, i talebani non riescono o non vogliono tenere a freno la galassia fondamentalista e stragista che hanno coltivato, Spesso con l’aiuto dei servizi deviati cui questa galassia ha a sua volta reso servizi. E’ un gatto che si morde la coda. Ecco perché la strada è tanto in salita.