Cassius Clay, il 25 febbraio 1964, diventa campione del mondo per la prima volta. Scrivendo la parola fine a un’epoca intera, quella di Liston e dei neri silenziosi
di Christian Elia
Sono passati cinquanta anni. Il 25 febbraio 1964, a Miami, l’appuntamento era con la storia. Non lo puoi sapere prima. Puoi intuirlo, puoi sentire nell’aria che c’è qualcosa di elettrico, una tensione fisica, ma non puoi saperlo prima.
La Storia è come una spettatrice ritardataria. Mentre un evento si compie, arriva, si siede nelle ultime file. Non l’hai vista arrivare, non la vedrai mai andare via. Perché quello che è accaduto è per sempre.
Quella sera in Florida, sul ring, c’è ancora Cassius Clay. L’oro alle Olimpiadi di Roma ne ha fatto già una star, una grande promessa. Ma Sonny Liston non è un campione del mondo per caso. In quegli anni, nei pesi massimi, per caso ci arrivavano in pochi alla vetta del mondo. Troppi fenomeni, troppi campioni. C’erano anche tante magagne, certo, ma se arrivavi in cima era dopo una scalata massacrante. Non tutti la reggevano.
La scalata di Sonny era stata dura. Uno dei 25 figli di Tobe Liston, mezzadro abusivo, che si spaccava la schiena in un campo di cotone negli anni Venti. Sonny non passa una sola ora della sua vita su un banco di scuola. Se può mangiare, può lavorare. Il cotone nei campi lo aspetta, come per le sue sorelle e per i suoi fratelli, in una zona paludosa dell’Arkansas.
Quando morì, nel 1970, venne disposta un’autopsia. Ne risultarono profonde cicatrici sulla schiena. Si scoprì che risalivano all’infanzia, per le frustate ricevute nei campi. Unica certezza di una vita dove anche la sua data di nascita non è certa. La madre, dopo la guerra, lo portò via con sé, in Missouri, a St.Louis, dove dai campi di cotone, Sonny passa in una banda di teppisti locali.
Rapine, aggressioni, risse. Sonny lo beccavano sempre per due motivi: portava sempre la stessa camicia, tirava dei pugni micidiali. Finisce in carcere, due cappellani con la passione della boxe si rendono conto che hanno per le mani un fenomeno. Lo avviano alla nobile arte, gli salvano la vita.
Ma la vetta della montagna è ancora lontana. Ci sono il vagabondaggio, l’alcool, la mafia, che in quegli anni manovrava la quinte della boxe. Ma Sonny va avanti, analfabeta, con la sola forza dei suoi pugni. E uno stile nuovo, che per la prima volta non legge il ring come un posto dove massacrarsi di pugni, ma cneh come uno spazio, dove muoversi prima e dopo aver colpit
Questo lo rende invincibile: nel 1962, dopo centinaia di incontri per fare soldi, arriva la grande notte. Batte Floyd Patterson, diventa campione del mondo. La stampa lo maltratta: non è un bello spot per l’America questo ex galeotto, che si esprime a fatica. Il grande Norman Mailer, di lui, dirà che in fondo agli occhi di Sonny c’era il più grande dolore del mondo.
Il vantaggio tattico di muoversi sul ring finisce il 25 febbraio 1964. Perché a Miami, contro il pugile campione del mondo dei massimi da due anni, sale sul ring Cassius Clay. Che del movimento ha fatto un’arte. Sonny abbandona all’ottava ripresa, sfinito dall’inseguimento a quel dannato ballerino, che lo chiamava ‘grande orso cattivo’.
Un’epoca finiva. Alla forza bruta seguiva la tecnica, il passo, il movimento. Liston è stato l’anello di congiunzione tra il pugilato pre Clay e quello post Clay. Liston va ricordato per molto di più di quella notte a Miami. Solo che quella notte, per la prima volta, Cassius Clay diventa campione del mondo. La Storia è arrivata e si è seduta nelle file in fondo.
Il giorno dopo Cassius annuncia la conversione all’Islam e il cambio del suo nome in Mohammed Alì. Il nuovo campione del mondo una la lingua come i pugni, il povero Sonny sapeva a malapena parlare. Le sue cicatrici erano profonde.
Iniziava una nuova era. I neri diventavano protagonisti, Alì ne sarebbe stato il simbolo della riscossa, tra i Beatels e il Vietnam, tra i diritti civili e l’orgoglio nero. Con Liston finiva l’era dei neri schiavi e sfruttati, che avevano solo le loro braccia per sperare in un futuro differente. Magari Liston in quel momento non se ne rendeva conto, ma Alì, con la sua linguaccia, rinfacciava agli Usa le cinghiate prese dal piccolo Sonny.