Un libro ricostruisce la storia della Volante Rossa, ricollocando nel contesto storico del secondo dopoguerra la vicenda di questo scomodo gruppo armato comunista – senza pansanate, bene inteso. L’intervista all’autore, lo storico Francesco Trento.
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/02/karim_foto.jpg[/author_image] [author_info]di Karim Fael. Oriundo italo siriano, dopo gli studi in Filosofia a Milano si dedica prima alla scrittura, pubblicando racconti in diverse antologie, e poi al giornalismo. Trasferitosi a Damasco come freelance si è occupato di Medio Oriente e mondo arabo. Nel 2008 è a Parigi, tra i vincitori della prima edizione del Every Human Has Rights Media Awards. Al momento ritempra membra e anima a Verbania, sulle rive del Lago Maggiore.[/author_info] [/author]
28 febbraio 2014 – Milano in agosto sembra un’altra città. Con l’afa e la canicola di mezzogiorno che in giro non si vede un’anima. A Milano in agosto la notte arriva presto, lo dice anche il proverbio, giò el sol gh’è fosch, il sole va giù e fa già buio. È il 1943, a Milano c’è la guerra e con il buio a volte arrivano le bombe. Per quattro volte gli alleati attaccano dal cielo. Una città rasa al suolo, una città da piangere.
Passa un anno e la guerra è ancora lì a covare disgrazie, rancori e risentimenti. E il caldo cuoce ancora cadaveri. Quindici in tutto, partigiani. Esangui, coperti di mosche. Trucidati e abbandonati al sole sul selciato di piazzale Loreto. Si apre con questa immagine il nuovo libro di Francesco Trento, “La guerra non era finita – I partigiani della Volante Rossa” edito da Laterza (pag. 206, 18,00 euro). E mai titolo fu più azzeccato verrebbe da dire. No, La guerra non era finita. Quella guerra non sarebbe potuta finire con un proclama radiofonico. Troppe cose erano successe a Torino, a Milano, in Italia e in Europa. Un libro di cui si sentiva il bisogno. Perché quella della Volante è una delle tante pagine che ancora oggi mancano nei libri di storia. Nel caso specifico qualcosa di più che una dimenticanza, beninteso.
Perché hai deciso di scrivere questo libro?
Ho iniziato a occuparmi della Volante Rossa quando ero all’università, e ho poi scritto sull’argomento una tesi di dottorato in storia dell’Italia Contemporanea. Quando Laterza mi ha chiesto un libro, ho pensato subito di tornare sui miei studi, visto che nel frattempo erano anche usciti l’ultimo libro di Bermani e i due libri di Massimo Recchioni su Finardi e Paggio, che mi offrivano ancora nuovo materiale. Perciò sono tornato a tuffare le mani nell’enorme quantità di documenti e testimonianze orali che avevo negli anni raccolto, con un obiettivo molto chiaro: raccontare la Storia, quella con la s maiuscola, attraverso una piccola storia, quella dei cinquanta partigiani della Volante Rossa. E raccontarla tentando di resitutire il sapore di quegli anni, di quel che a tutti gli effetti, a Milano come in altre parti d’Italia, è un dopoguerra armato, dove si fronteggiano gruppi neofascisti e partigiani che temono il loro ritorno.
Un lavoro ingrato che però andava fatto…
Un lavoro difficile, soprattutto quando tentai di trovare i primi documenti, intervistare i primi protagonisti. A distanza di 60 anni, mi trovai a fare i conti con una certa diffidenza, probabilmente comprensibile perché nel frattempo erano fioccati libri pieni di panzane (o pansane, se preferisci), sul dopoguerra, sui partigiani e su una inesistente Gladio Rossa. Forse per timore di strumentalizzazioni, era difficile trovare qualcuno a sinistra che parlasse volentieri della Volante Rossa.
All’Istituto Gramsci, quando stavo cercando documenti per il dottorato, mi dissero: “Ah, boh, di Paggio non si sa più nulla: è emigrato e non si sa dove sia”. Io sorrisi e risposi: “E’ a Praga, col suo nuovo nome, Antonio Boffi. Ci ho parlato ieri al telefono, lo abbiamo chiamato con Banfi”. Dopo una lunga chiacchierata, compreso che non ero uno pseudostorico di destra che cercava di fare chissà quale scoop, e capendo che avevo già parlato con molti della Volante e con Raffaele De Grada, fu tutto più semplice.
Questo girare le spalle al “proprio” passato alla fine ha generato dei mostri dal punto di vista storico. Rivisitazioni parziali e di parte che talvolta sono sfociate in nel più superficiale dei revisionismi. Tu stesso prima parlavi di “pansane”, giusto?
Sì, è un termine che usavamo spesso con un amico davanti a incredibili sciocchezze che trovavamo in libri revisionisti. Ti faccio un esempio: nel suo romanzo del 1995 “Siamo stati così felici”, Giampaolo Pansa nomina più volte la Volante Rossa, e sempre a sproposito. Questo suo libro costituisce anzi un esempio lampante di come una storia scarsamente indagata generi facilmente miti ed equivoci. Agli uomini di Paggio viene attribuito un omicidio politico in Piemonte sul finire del 1947, ma nel 1947 l’unico omicidio attribuibile con certezza alla Volante è quello del generale Gatti, avvenuto a Milano; più avanti, Pansa fa dire ad un suo personaggio, nel maggio del 1948: “Hanno passato un momento di difficoltà perché la polizia aveva scoperto quelli che li comandavano. Uno l’hanno arrestato, più di un anno fa. Due l’hanno fatta franca: sono scappati in Jugoslavia, aiutati dal loro partito”. Invece nel maggio del 1948 la Volante non è stata scoperta affatto, lo sarà nel gennaio dell’anno successivo, e a scappare (non però in Jugoslavia, ma in Cecoslovacchia) saranno in tre. E di certo dopo gli arresti e le fughe la Volante Rossa non può più progettare di “fare le ghette ad un pezzo grosso”, un deputato Dc piemontese, come invece avviene nel libro di Pansa.
Ne “Il sangue dei vinti”, poi, Pansa accusa la Volante dell’omicidio De Agazio (che invece non è stato compiuto dagli uomini di Paggio, come racconto nel mio libro), adducendo come “prova” la testimonianza orale di tale Livia Bianchi, che come lo stesso Pansa dichiara nell’introduzione al volume, è “un personaggio immaginario”…
Tornando alla domanda, a mio avviso invece di cancellare una parte di storia sarebbe stato più semplice dire: certo, il Pci si teneva pronto a fronteggiare un eventuale colpo di stato (come racconto nel libro, durante la campagna elettorale del 1948 vi erano vari piani dei servizi segreti statunitensi per invalidare un’eventuale vittoria del Fronte Popolare), a fronteggiare un’eventuale rinascita del fascismo. Si teneva pronto a difendersi e a Milano proprio per questo aveva rapporti con la Volante Rossa e con altri gruppi di ex partigiani.
La storia non può limitarsi alla cronaca degli eventi, deve indagarne l’origine, raccontare cosa è successo prima, cosa succedeva nello stesso momento in Italia e in Europa, descrivere insomma il contesto socio-economico, politico, e in fondo anche etico, e psicologico, in cui quegli eventi sono accaduti. Forse per quello che riguarda la Volante per troppi anni a sinistra è mancata la volontà di farlo e si è preferito lasciare il campo alle fandonie della storiografia di destra… (con le degne eccezioni dei libri di Guerriero e Rondinelli, di Bermani, e dei recenti lavori di Recchioni)
E qual era il contesto? Nel tuo libro torni ad affrontare una questione dibattuta: quante guerre si stavano combattendo in quegli anni?
Se ti riferisci alla polemica sull’utilizzo del termine “guerra civile”, ci tengo però a sottolineare una cosa: Claudio Pavone non dice che la Resistenza fu guerra civile, dice piuttosto che la guerra patriottica contro i nazisti si svolse in alcune zone in un clima di guerra civile. Ma se appunto la guerra patriottica finisce con la resa nazista, ci vuole più tempo perché i conflitti di classe e la guerra civile, sotto forma delle vendette dell’immediato dopoguerra, si plachino. Un fenomeno peraltro comune a tutta Europa, come dimostra egregiamente il libro di Keith Lowe, “Il continente selvaggio”. Anzi, si può forse dire che solo in Italia le uccisioni dell’estate 1945 abbiano dato vita alle leggende sul tentativo del Partito comunista di conquistare il potere per via armata. Subito dopo il 25 aprile, è proprio il Pci a tenere calmi gli animi, come dimostrano i documenti che cito nel libro reperiti all’Archivio Gramsci. Certo, nella base si ingenera il famoso equivoco del doppio binario, con il partito che sceglie la via della Costituente e del compromesso democratico e una buona fetta di iscritti e militanti invece convinta che una volta vinta la guerra arriverà anche il tempo della rivoluzione.
Cos’è la Volante Rossa Martiri Partigiani?
È tante cose e nel tempo assumerà caratteristiche diverse. All’inizio, immediatamente dopo il 25 aprile, la Volante è un’associazione di ex partigiani che, su iniziativa di Giulio Paggio (il Tenente Alvaro della 118ª brigata Garibaldi), comincia a riunirsi alla Casa del Popolo di Lambrate. Ufficialmente si ritrovano a scopo ricreativo, celebrativo. Partecipano a commemorazioni di martiri della guerra di Liberazione, vanno in montagna a scalare, organizzano feste danzanti. Intanto, però, un nucleo ristretto composto di fedelissimi di Paggio si organizza e comincia a progettare e a mettere in atto anche una serie di azioni illegali. Dal punto di vista storico questa fase (assimilabile come dicevo prima a quel che succede in molte parti d’Europa) è difficile da documentare e ricostruire, perché manca qualsiasi tipo di documentazione. Secondo la testimonianza orale di C. raccolta da Bermani molti anni fa, e parzialmente confermatami da Banfi, in quei mesi alcuni della Volante fanno sparire fascisti rimasti impuniti, militi e ufficiali fascisti che man mano tornano a Milano e che non di rado arrivavano a vantarsi di stragi e omicidi efferati… alcuni li segnalano agli uomini di Paggio, e loro intervengono.
Quando e come si esaurisce questa prima fase?
Già nell’estate, la Volante depone le armi. Ma poi, di fronte al riorganizzarsi di gruppi neofascisti e agli attentati quasi quotidiani contro le sedi del partito comunista e del sindacato, il gruppo ingaggia una lotta senza quartiere contro le Squadre d’Azione Mussolini, i Fasci d’Azione Rivoluzionaria e le altre sigle sotto cui si raccolgono man mano gli ex repubblichini di Salò.
Tuttavia questa lotta, come racconto nel libro, non riguarda solo la Volante Rossa. Coinvolge vari gruppi operai e partigiani. La volante non è un fenomeno isolato, questo è un dato fondamentale, e anche, se vuoi, una novità storiografica portata dai miei studi. C’è una sorta di guerra civile clandestina che vede da un lato le milizie neofasciste e dall’altro gli uomini di Paggio e altri partigiani armati, soprattutto a ridosso del referendum del giugno 1946. La stessa Casa del Popolo di Lambrate, sede della Volante Rossa, è oggetto di un assalto armato da parte delle SAM e gli uomini di Paggio si salvano solo grazie alla soffiata di un infiltrato.
Poi, nell’autunno del 1947, le acque sembrano calmarsi. Lo stesso Pci apre alla Volante Rossa che in qualche modo si istituzionalizza, compra delle divise, un camion, e diventa una presenza fissa in ogni manifestazione di piazza, intervenendo a supporto degli operai nelle vertenze sindacali, difendendo le fabbriche occupate dagli assalti delle forze dell’ordine.
Le azioni clandestine, però, non finiscono del tutto. Anzi proprio in questo periodo gli uomini di Paggio portano a compimento uno dei pochissimi omicidi attribuibile con certezza documentaria alla Volante, quello del generale Gatti, capo dei Fasci di Azione Rivoluzionaria.
Poi, nel 1948, arriva la crisi…
Sì, sicuramente. Prima le elezioni, che il Fronte è convinto di vincere e invece perde largamente…
E l’attentato a Togliatti…
Sì, esatto. Ed è proprio in quei giorni che si scioglie il famoso equivoco del doppio binario. Il 14 luglio Togliatti viene colpito da tre colpi di pistola sulla soglia di Montecitorio. Immediatamente, la base operaia e partigiana del Pci invade le strade, le piazze, le fabbriche. Ci sono occupazioni, blocchi stradali, manifestazioni in mezza Italia. A Milano, la Volante Rossa è convinta che la rivoluzione sia cominciata e decide di dare l’assalto alla caserma dei Carabinieri. Un camion carico di partigiani armati (ancora una volta, non solo membri della Volante), parte e prima di mettersi in marcia comunica alla federazione milanese del Pci le proprie intenzioni. Dalla federazione Giuseppe Alberganti si lancia all’inseguimento di quel camion, lo raggiunge e ferma tutto. Togliatti sta bene, “tornate a casa”.
La rivoluzione, insomma, non s’ha da fare… Nel libro tu racconti molto bene come questo “tornate a casa” sia una vera mazzata per i sogni rivoluzionari della Volante Rossa. Ma ogni storia ha un epilogo. Il nostro coincide con l’entrata in scena di un personaggio che fino ad ora all’ex casa del fascio di Lambrate si è visto poco. Anche lui ha combattuto tra l’Ossola e la Val Grande, Eligio Trincheri…
Trincheri da qualche tempo frequenta la Volante Rossa, è stato anche ferito durante duri scontri di piazza con la Celere del maggiore Arista. Nel gennaio del 1949, una sera, comunica a Paggio che ha trovato l’assassino del martire della Resistenza Eugenio Curiel, il repubblichino Felice Ghisalberti. E chiede l’onore di poter partecipare all’eventuale azione contro di lui.
Poi però Trincheri, in quelli che verranno in seguito ricordati come “gli omicidi dei taxi”, commette molte ingenuità, tanto che ancora a distanza di 60 anni molti della Volante lo ritengono una spia…
E cosa succede?
Che la polizia si mette sulle tracce della Volante (su cui però sembra avere un dossier aperto da tempo) e la maggior parte dei membri della formazione vengono arrestati e finiscono sotto processo. Paggio, Burato e Finardi, con l’aiuto del Pci milanese, riescono ad espatriare all’estero, iniziando una lunga vita d’esilio.
Secondo te Trincheri era una spia?
No, mi sembra davvero impossibile, anche se qualche mese fa Finardi, con cui ho parlato a lungo, ancora la pensava così. Sicuramente in carcere ha avuto le sue difficoltà, perché i compagni della Volante Rossa lo accusavano di aver parlato subito, e aver compromesso molti già nei primi interrogatori. Ma Trincheri è anche quello che ha fatto più carcere di tutti, con una sentenza durissima, ed è uscito solo grazie all’amnistia, dopo 22 anni di reclusione. Quindi l’idea che fosse infiltrato nella Volante dalla polizia, in cambio magari di uno sconto di pena sulla rapina di Varallo Pombia, è totalmente fuorviante. Credo sia molto più vero, a proposito dei molti errori da lui commessi all’epoca, la sua dichiarazione disarmante a Bermani: “eh beh, s’évan giùvin”.
In effetti quando si parla della Volante Rossa spesso ci si dimentica che parliamo di uomini cresciuti in fretta… cosa spinge secondo te dei ragazzi che in media hanno 20 anni a entrare nella Volante Rossa?
Ci sono sicuramente vari fattori, ma il principale mi pare essere questo: l’Italia che si trovano di fronte è un’Italia alla rovescia, con i partigiani che spesso finiscono nelle patrie galere per azioni di guerra che vengono giudicate come reati comuni, e torturatori repubblichini che camminano liberi per le strade, impuniti, protetti in seguito anche dall’applicazione incredibilmente di parte che una magistratura non epurata fa dell’amnistia emanata da Togliatti.
È davvero un’Italia alla rovescia quella che nasce nel dopoguerra?
Il “boia di Genova” Basile, condannato a 20 anni, viene assolto nel 1947 dalla Corte d’Assise di Napoli. Renato Ricci, ministro sotto il fascismo e poi comandante della Guardia nazionale repubblicana a Salò, condannato per ben due volte a trent’anni di carcere, viene scarcerato a inizio 1949, così come Junio Valerio Borghese, comandante della X Mas e diretto responsabile di numerosi eccidi di partigiani e civili. Invece, come racconta bene Recchioni nel suo ultimo libro, il comandante partigiano Moranino viene perseguitato per un’azione partigiana e costretto all’esilio (come moltissimi altri combattenti della guerra di Liberazione).
Ma forse, guarda, il dato più impressionante è questo, lo citava Ginsborg anni fa:
Nel 1960, 62 questori su 64 sono già stati funzionari sotto il regime fascista. E come loro 135 questori su 135 e tutti i 139 vicequestori.
Solo cinque, di questi 338 funzionari dello Stato, avevano partecipato alla Resistenza.