Il punto della situazione e le chiavi di lettura possibili.
da EastJournal
Premessa alle proteste
1 marzo 2014 – L’Ucraina è un paese diviso, ad ogni elezione si può vedere come la parte meridionale ed orientale del paese, di lingua russa, voti in maggioranza per il candidato più vicino a Mosca. La parte occidentale e settentrionale è invece di lingua ucraina, più vicina all’Europa centrale anche per ragioni storiche e vota tendenzialmente per i partiti di orientamento nazionalista. Tuttavia non c’è una spaccatura netta e la frontiera tra le due anime del paese è graduale e indefinita.
Il candidato “russofilo”, l’attuale presidente Yanukovich, è stato eletto presidente nel 2010, per la seconda volta non-consecutiva. In mezzo c’è stata la Rivoluzione arancione che ha portato al potere i candidati nazionalisti Viktor Yushenko e Julia Timoshenko. Quella “rivoluzione” nacque da un ampio e pacifico movimento di protesta per i risultati delle elezioni del 2004, ampiamente manipolati. La vittoria di Yanukovich fu contestata e piazza Indipendenza divenne il simbolo di quella protesta. La coalizione arancione tuttavia fallì nei suoi obiettivi e nel 2010 Yanukovich è stato rieletto. Da allora ha giocato sui due tavoli russo ed europeo, cercando di ottenere il massimo possibile da entrambe le parti ma senza mai mettere in discussione l’alleanza con Mosca.
Tuttavia l’imperversare della crisi economica convinse parte dell’establishment intorno a Yanukovich a giocare la carta europea: l’accesso all’area di libero scambio avrebbe forse giovato all’economia nazionale. Anche gli oligarchi che sostengono Yanukovich sembravano d’accordo. Non lo era però il Cremlino. Dopo una serie di trattative l’accordo con l’UE fallì anche grazie alla promessa di Mosca di elargire 15 miliardi di dollari per dare fiato all’economia ucraina.
Le fasi della protesta
Le proteste – che già covavano sotto la cenere – scoppiarono in quel novembre 2013 quando Kiev decise di non firmare l’accordo di associazione con l’Unione Europea. La protesta è un insieme di anime con diverse aspirazioni e coloro che la guidavano a novembre, quando tutto è iniziato, non sono più gli stessi di oggi. Si possono individuare tre fasi:
1) La prima fase, iniziata il 21 novembre quando il Governo sospese le trattative per l’Accordo di Associazione con l’UE, si è connotata per le proteste pacifiche ed era fondata su una visione modernizzatrice dell’Ucraina come paese europeo.
2) La seconda fase è iniziata il 30 novembre quando i Berkut – le forze speciali – hanno sgomberato con la forza Maidan durante la notte. Il pacifismo è sparito, le bandiere europee pure e l’obiettivo è diventato opporsi alla mala gestione del presidente Yanukovich. In questa fase hanno assunto la guida progressivamente i gruppi d’opposizione più estremi, Svoboda e Spilna Sprava in primis, e questo trasferimento di leadership all’interno della piazza ha coinciso con eventi significativi: l’abbattimento della statua di Lenin a Kiev l’8 dicembre, l’accordo con la Russia per un prestito di 15 milioni di dollari il 19 dicembre, il pestaggio di Tatyana Chornovol il 25 dicembre, le leggi anti-protesta del 16 gennaio.
3) La terza fase è iniziata con i morti del 22 gennaio: la protesta diventa guerriglia urbana e l’obiettivo diventa la rimozione di Yanukovich ad ogni costo. Chi guida questa fase sono i guerriglieri, coloro che sono disposti a rischiare la vita per portare a termine il loro compito. Chiaramente le forze all’estrema destra dello scenario politico giocano un ruolo fondamentale, ma la situazione ha cancellato ogni logica politica. Durante ognuna delle tre fasi un’anima della protesta non ha escluso l’altra, e mentre gli estremisti si guadagnano la ribalta continua la protesta, pacifica e talvolta silenziosa, della gente comune.
4) La quarta fase è quella in corso, che ha visto la fuga da Kiev del presidente Yanukovich e la sua delegittimazione da parte del parlamento; la liberazione di Julia Timoshenko; la richiesta di “perdono” da parte dei Bekrut. Ma mentre il nuovo corso cerca di affermarsi, cominciano le proteste in alcune città a maggioranza russa che vedono il nuovo potere di Kiev come un colpo di Stato e un pericolo per le loro comunità.
Le responsabilità della politica ucraina
L’opposizione condivide con Yanukovich ed il suo governo tutte le colpe, e forse ne ha di maggiori. Non ha saputo leggere la situazione e comprendere le proteste né tanto meno guidarle. Si è fatta trovare impreparata in ogni momento e non ha avuto proposte politiche concrete.
Una diversità rispetto alla Rivoluzione arancione del 2004 è stata la non adeguata preparazione dei leader d’opposizione che non hanno colto la gravità del momento continuando a ragionare in modo settario. Klitschko, ex pugile, e leader di UDAR è colui che avrebbe maggiori possibilità, ma non ha una preparazione politica sufficiente. Yatseniuk, ex ministro degli Esteri e leader del partito Patria (quello della Timoshenko), non ha il carisma necessario. Tiahnybok, il leader di Svoboda noto per i suoi saluti nazisti, non rappresenta una credibile alternativa. In tutto ciò la Timoshenko, in carcere fino a pochi giorni fa con l’accusa di corruzione, ha perso i riflettori: ha sempre la guida del suo partito, lo stesso di Yatseniuk, ma dal carcere lo spazio d’azione è limitato e questa diarchia all’interno del suo partito rischia di portare a Patria una perdita di consensi.
Dal canto suo Yanukovich ha gravi colpe. Non l’avvicinamento alla Russia, che è una legittima scelta di politica internazionale, ma la gestione mafiosa e clientelare del potere. Un potere che si basa sugli oligarchi che lo finanziano e su squadracce di picchiatori: molti settori dell’economia sono stati infiltrati dagli uomini “d’onore” vicini al Partito delle Regioni e per chi non si piega ci sono le intimidazioni e le violenze. Stessa sorte capita alle voci libere, in genere giornalisti indipendenti come fu Gongadze. Rimarchevole è che il leader dell’opposizione, Julia Timoshenko, sia stata in carcere fino a pochi giorni fa: la Timoshenko, che certo non è esente da colpe, è stata condannata per ragioni eminentemente politiche.
Questa situazione è divenuta insostenibile al punto che il supporto a Yanukovich è cominciato a venir meno anche da parte dei suoi elettori mentre i suoi oppositori non hanno dimenticato l’esperienza della Rivoluzione arancione.
Le responsabilità internazionali e il gioco geopolitico
L’Ucraina è sull’orlo del collasso economico, ma resta una pedina fondamentale dello scacchiere geopolitico internazionale e specialmente nei rapporti tra l’Europa e la Russia. I motivi della sua importanza sono molteplici. Quelli essenziali sono:
1) il controllo dei gasdotti e la possibilità di influire sul prezzo del gas. Per la Russia è fondamentale controllare i gasdotti ucraini per continuare a giocare in posizione di vantaggio la partita del gas con l’Europa. Per i paesi europei la sicurezza energetica dipende, oggi, in buona misura da Mosca
2) lo sbocco sul Mar Nero, fondamentale per la Russia che non ha più porti dal pescaggio sufficiente ad ancorare la sua flotta mercantile e da guerra. Attualmente a Sebastopoli, in Crimea, si trova ancorata la flotta da guerra russa in base a un accordo firmato tra Yanukovich e Putin.
3) La Crimea è al centro degli interessi del Cremlino e le spinte autonomiste vanno viste come un tentativo di Mosca di tornare a controllare la regione. Il Mar Nero e l’accesso al Mediterraneo sono strategici per una Russia che voglia coltivare volontà di potenza. Senza l’Ucraina il peso geopolitico della Russia sarebbe ridotto, ed è per questo che gli Stati Uniti sono da sempre interessati alle vicende ucraine.
Il ruolo dell’Unione Europea
L’Unione Europea da anni annovera l’Ucraina nelle sue politiche di parternariato orientale e nel 2004, mentre a Kiev andava in scena la Rivoluzione arancione, dieci nuovi paesi (quasi tutti dell’est) aderivano all’Unione facendo dell’Ucraina un oriente ormai vicino. Quello che l’UE può offrire oggi all’Ucraina in crisi è l’accesso al suo spazio di libero scambio che consentirebbe a Kiev di vendere le proprie merci senza barriere e dazi doganali. Nel novembre 2013 questa opzione è stata rifiutata (ma si riproporrà) e al momento da Bruxelles non possono fare altro. Rispetto alla Rivoluzione arancione del 2004, quando Javier Solana si recò a Kiev per esprimere apertamente il sostegno dell’Unione alle proteste, oggi i rappresentanti di Bruxelles sembrano più freddi. La grande differenza con il 2004 è l’assenza americana.
Alcuni paesi europei, Polonia in testa, manifestano apertamente il loro supporto alle proteste. Lettonia e Lituania garantiscono rifugio e cure mediche ai manifestanti. La Germania critica, senza eccessi, l’operato delle forze dell’ordine che hanno causato, ormai, più di cento morti dall’inizio delle proteste.
Le chiavi di lettura
Quello ucraino è un conflitto di conflitti. Quello che vediamo, in superficie, è uno scontro tra “piazza” e “palazzo”. Tuttavia non tutto il paese è rappresentato in quella piazza, come si è detto molti sono gli elettori di Yanukovich. Più in profondità si trova una lotta tra clan oligarchici e le violenze potrebbero essere strumentali a uno di questi clan, impegnato a scalzare quello che sostiene Yanukovich ma certo non migliore. Più in alto, molto sopra le teste dei protestatari, c’è la competizione geopolitica tra Russia e blocco euro-atlantico. Se guardiamo alla società troviamo invece una conflittualità tra nazionalisti, più o meno estremi, e “russofili”. Un contrasto che fin qui non ha mai prodotto violenze ma che non va sottovalutato.
Il rischio di una guerra civile è reale ma non inevitabile, molto dipenderà da quanto soffieranno sul fuoco le parti in causa.