Il primo marzo dei migranti

Per il quarto anno consecutivo il primo marzo è il giorno dei migranti. La prima volta, nel 2010, è stato uno sciopero per mostrare quanto importassero alla nostra economia: “un giorno senza di noi”, s’intitolava. Da Nord a Sud circa otto milioni di lavoratori (spesso in nero, sfruttati e mal pagati) per un giorno hanno incrociato le braccia.

di Lorenzo Bagnoli

La manifestazione s’ispirava a “Jour sans nous”, un’analogo manifestazione francese. Poi sono arrivate le manifestazioni antirazziste, fino a quest’anno. La novità del 2014 è che l’Europa è presente, partecipa.

primo marzo

D’altronde la trasformazione delle politiche migratorie sarà comunitaria, oppure non sarà.

Lo dimostra anche la formazione della Carta di Lampedusa (a cui ha partecipato e aderito anche Q Code Mag), un volano che ha ridato contenuti ed entusiasmo per la causa dei diritti dei migranti. Alla stesura del documento hanno anche partecipato, in modo più o meno diretto, associazioni di Amburgo, Berlino, Calais, che insieme a Melting Pot (progetto d’informazione sui migranti con base a Padova) formano uno dei nuclei più attivi.

La portavoce della prima Rete del primo marzo ha fatto strada. È stata anche ministro: ministro dell’Integrazione. A Cécile Kyenge è succeduta solo quest’anno, il 26 gennaio 2014, Elisa Celas, un passato da coordinatrice del presidio di Firenze e membro della chiesa valdese locale.

  1. Una nuova legislazione in materia di immigrazione.

  2. La cittadinanza per tutti i figli di migranti nati o cresciuti in Italia.

  3. Il diritto di voto amministrativo e regionale per stranieri residenti.

  4. Instaurazione di corridoi umanitari. Legge sull’asilo politico. Accoglienza degna ed effettiva.

  5. Pieno riconoscimento del diritto di ricongiungimento familiare più ampio e meno restrittivo.

  6. 
Rispetto dei diritti dei lavoratori e lotta al caporalato e allo sfruttamento lavorativo.

  7. Libera circolazione; abrogazione degli accordi bilaterali di respingimento e rimpatri. Abolire dispositivi di monitoraggio e di controllo militari del mediterraneo come il Frontex.

  8. Chiusura immediata di tutti i Cie.

  9. Impegno per una informazione qualitativamente e formalmente corretta rispetto alle questioni che riguardano l’immigrazione”.

 Eccole le nove richieste che guidano le proteste di questo 2014. Ogni presidio locale le interpreterà a seconda delle lotte del territorio. Perché la causa dei migranti è la causa degli sfrattati di Brescia, dei lavoratori della logistica di Padova, dei No Muos di Niscemi, degli squatter cacciati da un gruppo di neonazisti a Calais, in Normandia. C’è un filo rosso che corre lungo il continente, che accomuna le rivendicazioni di chi vuole abolire il Cie in Basilicata e chi chiede una casa a Calais. È il filo dei diritti negati e della sordità dell’Europa di fronte alle esigenze che provengono dal basso.

Tra i concentramenti italiani più interessanti di quest’anno c’è quello di Padova. Lo hanno organizzato i lavoratori della Artoni, un colosso della logistica che all’anno fattura milioni di euro (23 nel 2012). Sulla pelle dei lavoratori migranti. Secondo l’azienda, ci sono solo 648 dipendenti. Nove per ogni magazzino sparso in Italia. Possibile? Sì, se gli altri sono in nero. A difendere i loro diritti c’è l’Associazioni dei diritti dei lavoratori, che ha svelato questa storia di sfruttamento. Così racconta Melting Pot sul suo sito (qui il link all’articolo completo): “Per la politica Anna Maria Artoni incarna “l’imprenditoria illuminata” di questo paese. Già nel 2008 Veltroni l’aveva inserita nel ventaglio dei possibili candidati ministri del lavoro. Ma lei aveva rifiutato. Dopo aver ricoperto diverse cariche in Confindustria, il fascino della politica è tornato però a farsi largo. Così è stato proprio Enrico Letta, lo scorso novembre, a nominarla membro della commissione per le privatizzazioni del Ministero dell’Economia. Non proprio una pioniera visto che da un ventennio almeno la relazione pericolosa tra politica ed imprenditoria produce un turn over di nomine e scambi da non far neppure più notizia”. È contro questo sfruttamento e la negazione dei diritti che i migranti hanno iniziato a protestare.



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