Il comunicato di Meltin Pot Europa in occasione del 1° marzo, la giornata dell’orgoglio di essere migranti.
tratto da Meltin Pot Europa
1 marzo 2014 – Fin dai primi momenti dopo la chiusura della tre giorni sull’isola per la stesura della Carta di Lampedusa ci era chiaro che la sfida era appena cominciata.
Sappiamo infatti che non basta certo scrivere una carta per modificare la realtà.
Perché ciò che sta scritto nella Carta di Lampedusa diventi realtà c’è bisogno della capacità di ognuno di farne strumento di allargamento, occasione per costruire percorsi di convergenza, possibilità di declinare i suoi contenuti nei territori e di proiettarli su un orizzonte transnazionale.
Non è retorica. Ce lo siamo detti centinaia di volte. La Carta di Lampedusa non è, e non è mai voluta essere, una rete che si sostituisce ad altre. E’ invece un tentativo di costruire orizzonte comune, intreccio, complicità.
Per questo, proprio a partire da questo spirito, ci sembra di poter dire che il primo punto della nostra agenda non può che essere quello legato al suo allargamento: la necessità di lavorare per farla sottoscrivere, di farla propria e condividerla con altri, di utilizzarla per costruire spazi comuni, come è avvenuto in queste settimane da molte parti. Chi ci crede, chi si riconosce in questa dichiarazione programmatica scritta dal basso, non esiti allora a farla vivere in assemblee, riunioni, spazi pubblici, mobilitazioni, percorsi quotidiani.
Perché se è vero che una Carta di per sé, non può cambiare nulla, è vero anche che la ricerca di convergenza, di discorso comune, di intrecci e sinergie, è oggi una necessità inaggirabile per chiunque si ponga il problema di trasformare l’esistente. Inventarsi un modo nuovo di stare insieme, non è infatti secondario. E la tre giorni sull’isola è stata anche questo. Un esperimento che, pur con i suoi limiti, ha abbozzato una nuova forma possibile di relazione, l’embrione di uno spazio capace di valorizzare le differenze invece di appiattirle o peggio, renderle ostacoli; un confronto che, anche per lo spirito con cui si è svolto, ha saputo ribaltare i rituali classici delle assemblee di rappresentanza producendo una discussione trasversale su obiettivi e strategie.
Il risultato è un documento che non lascia scampo ad ambiguità, nei temi e nei linguaggi. E non è certo cosa da poco visto che, proprio le ambiguità, sul terreno dell’immigrazione, dell’accoglienza e dei diritti di cittadinanza (vedi la questione dell’umanizzazione dei CIE o della retorica dell’umanitario), hanno caratterizzato troppo spesso il dibattito, anche dei movimenti e dell’associazionismo.
Allo stesso modo ci sembra di poter dire che la spinta propulsiva della Carta di Lampedusa, la sua tensione europea e mediterranea (non la rappresentazione dei movimenti europei ma un contributo al loro allargamento), la sua ambizione trasformativa, siano già all’opera. L’abbiamo già toccata con mano pochi giorni fa a Ponte Galeria, a Mineo e ad Ancona, e potremo farlo ancora nei prossimi giorni con la mobilitazione del primo marzo quando, in moltissime città italiane, tante vertenze, numerose battaglie, diverse istanze, avranno l’occasione di esprimersi in maniera diffusa ma comune. Proprio a Lampedusa è arrivato l’appello dei rifugiati accampati in piazza ad Amburgo per una mobilitazione unitaria che si intreccia al percorso che negli ultimi anni ha caratterizzato il primo marzo. Noi non abbiamo potuto fare ameno di raccoglierlo.
Così a Niscemi, a Milano, a Padova, a Bologna, a Parma, a Brescia a Calais ed in molte altre città europee, migliaia di persone scenderanno in piazze per dare corpo a piccole e grandi rivendicazioni: da quelle dei lavoratori della logistica a quelle dei rifugiati senza futuro, dalle istanze degli sfrattati a quelle legate ai permessi di soggiorno, da quelle contro il razzismo a quelle di chi rivendica una nuova Europa, libera dai confini e dall’austerità.
Proprio questo ultimo punto, quello legato all’Europa, ci pare assolutamente prioritario. Perché se l’Europa di Bruxelless e Strasburgo è lontana, un ripiegamento delle nostre istanze sul piano nazionale, non potrebbe che risultare una gabbia. Al contrario è proprio un allargamento dell’orizzonte dei movimenti, sul piano immediatamente europeo e mediterraneo, a poterci offrire l’occasione di andare verso una radicale trasformazione dell’Europa, dei suoi confini, del suo ruolo. E’ a partire da questo che gli stessi movimenti europei stanno costruendo un’agenda di mobilitazioni per i prossimi mesi. Dal primo marzo al primo maggio, dalle mobilitazioni di blockupy alla marcia europea che alla fine di giugno ci porterà a Bruxelless per rivendicare la libertà di movimento.
Ma quello delle piazze e delle vertenze non è l’unico terreno di espressione della Carta di Lampedusa. Perché se è vero che il piano delle lotte è il motore centrale di un potenziale cambiamento, è vero al tempo stesso che la trasformazione non può che assumere le sembianze di un processo complesso, che investe l’ambito sociale, culturale, economico, e politico.
Non è un caso che intorno alla Carta di Lampedusa si stiano sviluppando percorsi nelle scuole, progetti artisti e culturalin incontri di studi e che, al tempo stesso, sia nata la necessità di sperimentarsi anche sul terreno della codificazione normativa delle istanze proposte.
Dal primo marzo nelle piazze europee, agli studi giuridici per la forzatura del quadro giuridico comunitario: questa è per noi la Carta di Lampedusa. Ed è per questo che il prossimo primo marzo le nostre piazze parleranno un linguaggio comune che invitiamo tutti a fare proprio:
Our Europe is without borders! La nostra europa non ha confini!