Vado Ligure: quel che le stime non dicono – 2

Fratello minore del caso “Ilva di Taranto”, lo scandalo vadese si palesa con tonnellate di carbon fossile pronto ad essere combusto nelle caldaie della centrale termoelettrica Tirreno Power. Seconda puntata del reportage – la prima si trova qui.

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/02/Giovanni-Borrello-ritratto-bn.jpg[/author_image] [author_info]di Giovanni Borrello. Nato a Savona ventitrè anni fa, ha esordito nel 2011 con il volume “All’ombra delle ciminiere. 40 anni di carbone e tumori a Savona” (Fratelli Frilli Editori – Genova) sulla vicenda del presunto inquinamento della centrale termoelettrica di Vado Ligure-Quiliano. Si tratta del primo libro a livello nazionale a trattare di questo tema. Collabora con alcuni giornali online e a progetti culturali di ricerca storica, ha scritto alcune drammaturgie teatrali e ha curato allestimenti di mostre in ambito museale.[/author_info] [/author]

 

CARBO FACIT VERSUS

2 marzo 2014 – Di primo acchito sembrerebbe che solo esponenti politici (o alte cariche dello Stato) abbiano diritto di parola sull’argomento. In verità, sondando il vasto sottobosco della rete, i cittadini qualunque esprimono, anche piuttosto accaloratamente, le loro opinioni a riguardo. Ci sono gli spazi dedicati ai lettori delle testate giornalistiche online, i blog di cultura e notizie, i gruppi facebook dedicati alla propria città. È qui che le posizioni dei savonesi si combattono: nell’arena digitale è lecita qualunque tipo di strategia comunicativa, dall’insulto gratuito al tono pedagogico. Volete sapere se la centrale è percepita con amore o odio, se le scelte politiche soddisfano o meno l’elettorato? Date un’occhiata su internet. La giustizia ha i suoi tempi… ma il processo vero si fa su internet! Se non ci sono soldi per indire un referendum pubblico… basterebbe richiamare l’attenzione di migliaia di internauti con una domanda secca e quasi tabù: “Che ne pensi della faccenda sulla centrale?” Ci vorrebbero ore probabilmente per raccapezzarcisi… ma si avrebbe un panorama piuttosto preciso e realistico della variegata gamma di opinioni a riguardo.

C’è chi vorrebbe vedere tutti gli amministratori pubblici della zona in galera, chi desidererebbe l’immediata chiusura dell’impianto senza se e senza ma; oppure chi difende strenuamente la centrale, perché “in fondo energia pulita al giorno d’oggi se ne può produrre senza chiudere l’impianto” e chi punta il dito contro i fumi di scappamento, le sigarette o le navi da crociera, veri responsabili dell’aumento di morti e malati. E gli operai si sentono bollati come carnefici e i cittadini vituperati come personaggi di serie B.

La chiamano “l’altra Ilva”, ma scoop mediatici a parte è interessante notare che l’esposto denuncia contro ignoti, per gettito di cose e omicidio colposo, era stato depositato nel 2010 da un gruppo di cittadini qualunque – coadiuvati da un avvocato – che simpatizzavano o facevano parte di alcuni gruppi per la difesa della salute pubblica come Uniti per la salute onlus (il più importante). Nel giro di pochi anni, grazie ad una capillare strategia comunicativa sorretta in gran parte dall’utilizzo sapiente del web, riuscì a farsi conoscere ed apprezzare – ed essere ritenuto degno di fiducia e rispetto – da migliaia di savonesi, e non solo, per le campagne di informazione e sensibilizzazione a favore della salute.

 

centrale e quartiere dei Griffi

 

Anzitutto bisogna sottolineare un fatto assai importante: l’opinione pubblica è spaccata in due. A Vado, ad esempio, metà popolazione ritiene che la centrale sia un impianto dannoso sia per la salute che per l’economia del territorio, e l’altra metà si barrica dietro l’ideologia – fomentata dalla crisi economica – del “ancora grazie che c’è”. Nel resto del savonese invece c’è più attenzione, ma stando ai comitati, la politica fa orecchie da mercante per via del “lavoro” che darebbe l’impianto. Il problema principale che si trovano ad affrontare i gruppi è proprio questo: spezzare le barriere mentali del ricatto lavoro-salute. Per questo la corretta informazione è fondamentale. La centrale occupa circa 300 persone, più qualche altra decina di indotto che può lievitare a qualche centinaio a seconda di eventuali appalti e lavori all’impianto.

Chi ha sempre avuto a che fare con una Vado ammorbata dai fumi delle fabbriche e che in quell’atmosfera ottocentesca ravvisava la massima realizzazione di progresso, non ammette e non può ammettere che nel XXI secolo quel tipo di progresso non è più sostenibile nel mondo occidentale. La politica ideologizzata, i partiti di massa, ancor oggi fanno perno sul fatto che se ci sono le ciminiere ci sarà lavoro e benessere. Non si parla mai di industrie di altro tipo: solo gli impianti impattanti possono dare un futuro sicuro. Il terziario, nelle sue svariate forme, non ha mai veramente preso piede da queste parti. In questi anni i gruppi di contestazione hanno dovuto smontare queste credenze popolari.

È importante sottolineare che non si sta parlando di gruppi di ambientalisti sorretti da utopie o cittadini egoisti e menefreghisti che potrebbero essere bollati di fare parte di una rete NIMBY (acronimo inglese per “Non nel mio cortile”): sono persone che ben conoscono i limiti e le potenzialità della propria terra e vogliono agire su di essa per essa. In questo frangente poi c’è da sottolineare il fatto che nell’estate 2013 i gruppi stessi (confluiti nella Rete Savonese Fermiano il Carbone) hanno organizzato un festival di due giorni dove l’apertura a più entità politiche ha riscosso un successo enorme. Sul problema si sono espressi un gran numero di personalità di primo piano (da Dario Fo a Margherita Hack, da Don Gallo a Carlo Freccero) che, inevitabilmente, prestando il loro volto e la loro fama a questa causa, l’hanno resa più popolare.

 

centrale al tramonto

 

CONVIVERE CON IL DUBBIO

“Avrei pensato che Vado sarebbe passata alla storia come città industriale o come uno dei tanti siti di inquinamento umano da mostrare ai posteri con la reverenza che si deve a un sacrario di guerra…non mi sarei mai immaginato che avrebbe chiuso la seconda repubblica quasi come un fatto politico!” Era una mattina d’autunno quella in cui acciuffammo questa frase in un bar della piazza. Un’esternazione buttata lì con tanta sarcastica nonchalance da farci rimanere sbigottiti e ammettere, in effetti, che anche noi sotto sotto avevamo pensato a qualcosa del genere. Ci voleva però uno smaliziato mugugno per godere appieno del concetto.

Viene quasi da ridere. Peccato che la questione che ha ispirato l’ilarità è tutto tranne che comica. Anzi: più inquietante, tragica e pregna di sofferenza non poteva essere. Prime pagine di quotidiani, schermate internet, servizi televisivi… e poi la copertina di Panorama. In questi mesi la cronaca si è riappropriata ancora una volta dell’affaire carbone. Ma questa volta con una tale puntigliosità – mai riscontrata nei decenni passati – da lasciar intendere che qualcosa di grosso nella vicenda è davvero stato trovato. Esaltante e terribile constatazione al contempo.

Contenti dunque gli pseudoambientalisti? Mica tanto… sanno bene che una buona fetta di savonesi pretende chiarezza, si mobilita, si interessa e si preoccupa per quelle voci che da sempre circolano riguardo all’inquinamento; ma sanno altrettanto bene che molti, moltissimi altri non solo non si interessano della faccenda, ma quasi non hanno idea di quale sia il problema. Per molti le ciminiere sono solo quelle due alte stanghe colorate che di ritorno dal Piemonte in autostrada segnalano l’imminente ritorno alla costa. Il resto d’Italia – senza considerare le altre città interessate da problemi simili – non sanno nemmeno che sia possibile vivere nell’incertezza per la propria salute come in queste terre.

“Basteranno pochi minuti di servizio televisivo a farci compatire? Basterà un sensazionalistico titolo da rotocalco?”

“L’importante è che se ne parli, anche se sui telegiornali di Berlusconi!”

“Niente paura. È il solito gioco della stampa. Siamo nel secondo decennio del XXI secolo, funziona così. Lasciamoli divertire…”

“Se lo dice la TV allora è vero!”

Alla gente consapevole interessa la verità, la vita, la salute. Tutto il resto è un surplus da prima pagina o una macchietta degna di una campagna elettorale. Il fatto che a dare il via alla stagione mediatica in TV del problema siano state tendenze editoriali percepite di Destra (Berlusconiana, come si ama dire al bar) è assai interessante. “Ci stanno solo usando per motivi elettorali!” Imprecava qualcuno.

Curiosa la sorte di Vado… Chi l’avrebbe mai immaginato? Città operaia, città comunista, refrattaria ai modelli produttivi del terziario… e voilà, di botto, inaspettatamente, si ritrova assoldata nelle fila di correnti neoliberiste, certamente non di sinistra, cresciute al suono di gingle pubblicitari. Due mondi apparentemente incompatibili in questi mesi si sono incontrati nella “rossa” Vado, nella stessa sacrale atmosfera di ineluttabilità in cui probabilmente s’erano incrociati il Neandertal e il Sapiens Sapiens  nel paleolitico. L’uno fino a poco tempo fa vestiva la blusa da lavoro macchiata di grasso e olio, l’altro indossava già impeccabili tessuti griffati; un mondo gradisce l’odore delle fritture di pesce annaffiate da vinelli frizzanti, un altro si trova più a suo agio con  cocktail e tartine al caviale. Sì, sto parlando per stereotipi. Ma lo stereotipo è talmente prevalente in entrambe le parti chiamate in causa nella quaestio, che non è il caso di deludere le aspettative.

E i cittadini? Spettatori e al contempo attori di questa presunta guerra per il trono (più che una guerra per la verità), come percepiscono tutto ciò? Forse con lo stesso dispiacere con cui in un film il protagonista passa in secondo piano, oscurato dallo charme di un collega con un ruolo del tutto marginale. E nell’attesa si rifanno ai toni pacati e professionali della magistratura, per quasi tutti l’unico vero faro di riferimento nella tenebra del detto e non detto.

Ora Vado è un campo di battaglia. Una Waterloo (per qualcuno lo sarà pure…) in cui sciabole e pallottole di piombo sono sostituite dalle telecamere e dai flash dei fotografi (oltre che da carte bollate e avvisi di garanzia). Una distesa di serbatoi e ciminiere in cui si combatte… per serbatoi e ciminiere. Tuttavia quella non è la guerra dei vadesi e dei savonesi. La guardano avvicinarsi, la percepiscono tutto attorno a loro, li coinvolge, ma è qualcos’altro da loro. Come stupefatti abitanti di una catapecchia attorno alla quale, tra i campi, irrompono urlanti truppe di eserciti stranieri, attendono che tutto si plachi per vedere se il vincitore avrà un occhio di riguardo per la loro condizione. Qui non è questione di punti di vista politici. Qui è al contempo semplice e complicatissimo: qui è questione di vita o di morte.

 

 



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