[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/1015058_4778608114201_571572631_o.jpg[/author_image] [author_info]di Elena Esposto. Nata in una ridente cittadina tra i monti trentini chiamata Rovereto, scappa di casa per la prima volta di casa a sedici anni, destinazione Ungheria. Ha frequentato l’Università Cattolica a Milano e si è laureata in Politiche per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo. Ha vissuto per nove mesi a Rio de Janeiro durante l’università per studiare le favelas, le loro dinamiche socio-economiche, il traffico di droga e le politiche di controllo alla criminalità ed è rimasta decisamente segnata dalla saudade. Folle viaggiatrice, poliglotta, bevitrice di birra, mediamente cattolica e amante del bel tempo. Attualmente fa la spola tra Rovereto e Milano[/author_info] [/author]
4 marzo 2014 – “Ninguém gosta de bunda caída. Ainda mais caída no chão” (A nessuno piacciono i culi cadenti, ancora meno se cadono a terra).
Questo è uno degli slogan della campagna promossa dall’ong Rio eu amo eu cuido nel tentativo di sensibilizzare coloro che buttano a terra i mozziconi di sigaretta (bundas de cigarro), e che nei primi giorni di febbraio ha sollevato un polverone di polemiche per aver osato paragonare i mozziconi ai fondoschiena delle donne.
Le femministe indignate hanno lanciato un messaggio chiaro e forte e in una nota di ripudio della campagna scrivono: “Siamo assolutamente contrarie all’utilizzo dell’immagine del corpo delle donne in modo umiliante e offensivo per raggiungere qualunque obiettivo […] Il nostro corpo ci appartiene e continueremo a resistere alla colonizzazione, alla territorializzazione e a tutti gli attacchi alla nostra libertà e sovranità sessuale”.
La ciliegina sulla torta è che la propaganda usa come testimonial l’enorme fondoschiena di Andressa Soares, la cosiddetta Mulher Melancia (Donna Anguria) che con i suoi 121 centimetri di diametro non passa certo inosservato.
Andressa, al contrario delle colleghe femministe, non si è sentita minimamente offesa dalla campagna che ha visto il suo fondoschiena protagonista assoluto, anzi, lo ha prestato gratis all’ong sentendosi lusingata.
In un’intervista ha affermato: «Non posso negare che uno degli attributi [per i quali sono stata scelta] è stata la fama del mio culo, ma credo anche che volessero comunicare con un pubblico diverso, più popolare. Il movimento voleva qualcuno che potesse parlare in modo simpatico a molta gente. E ho trovato bello usare la mia fama per una causa così importante». Andressa, insieme ad altre popozudas (letteralmente “chiappone”) hanno partecipato anche personalmente alla campagna andando in giro per le spiagge di Rio a distribuire porta-mozziconi ai bagnanti mettendo in bella mostra i loro deretani e facendo accorrere le masse.
Quando ho letto la notizia relativa allo scandalo provocato dalla campagna di sensibilizzazione non ho potuto fare a meno di trovarlo surreale, sebbene non fosse la prima volta che mi trovavo davanti a questo genere di reazioni.
Più di una volta mi è capitato di vedere donne brasiliane offendersi quando la conversazione cadeva sull’argomento dei corpi bellissimi e statuari di alcune loro connazionali e mi sono sempre stupita del fatto che quello che in apparenza era un complimento scatenasse tanta frustrazione.
Capisco che gli stereotipi possano irritare; il Brasile è molto di più che culi marmorei che ondeggiano a suon di samba, questo è evidente, e se non ne fossi convinta io per prima non sarei qui a scrivere.
E capisco anche le motivazioni profonde che hanno spinto le femministe ad indignarsi: la paura di perdere il controllo dei propri corpi, la paura di essere considerate donne di facili costumi, la paura che queste immagini incitino al turismo sessuale che spinge migliaia di uomini a recarsi in Brasile ogni anno perché lì “te la danno quasi gratis”.
Ma se volessimo fare i pignoli la mercificazione del corpo passa per canali molto più subdoli. Senza voler scadere nel banale non sono forse decenni che il Brasile vende i culi delle sue donne (perdonatemi l’espressione) per attirare migliaia di turisti a Carnevale? E allora perché dovremmo prendercela per una campagna ambientalista che mette in bella mostra il fondoschiena della Mulher Melancia?
Totale rispetto a Andressa e alle altre popouzadas che invece che nascondere le loro forme esagerate sotto strati di stoffa e di complessi le espongono in bella vista e se ne vantano. Questa è una cosa che ho imparato da un mio carissimo amico in Brasile: se hai qualcosa di bello devi metterlo in mostra, qualunque cosa sia, anche 120 centimetri di fondoschiena.
Personalmente trovo molto più aberrante la situazione di una donna complessata perché vede che il suo corpo non corrisponde a uno standard, questo sì maschilista e umiliante, generalmente accettato dalla società che non quella di una donna che si sente felice nel suo corpo e decide di ostentarlo come meglio crede.
Se le femministe difendessero davvero la “libertà e sovranità sessuale” allora dovrebbero anche difendere il diritto della Soares e delle altre popouzadas di usare i loro fondoschiena come meglio credono, anche se questo significa esibirli per sostenere una campagna a favore della pulizia delle spiagge.
Quello che voleva essere un messaggio positivo e femminista diventa più maschilista di coloro che vengono accusati, diventa una battaglia moralista e bigotta, diventa un discorso che prende quasi i toni dell’invidia.
Invidia verso chi ha capito che la vera libertà sta nel fare quello che si crede giusto e sbattersene dei giudizi altrui, da qualunque parte vengano. Invidia verso chi ha capito il vero significato di “sovranità del proprio corpo” e non si sottomette a nessuna regola, né maschilista né femminista.
Invidia, in ultima istanza, verso chi ha capito che se la vita è tutta una questione di culo tanto vale approfittarne.
.
.