Iraq: i mille volti di Moqtada al-Sadr
di Christian Elia
Il progetto Shi’at Alì 2003-2004/2013-2014 – Viaggio nel decennio del rinascimento sciita, a cura di Christian Elia, continua. Seguiranno reportage vecchi e nuovi, interviste, contributi, testimonianze e narrazioni di sé.
8 marzo 2014 – A poco meno di due mesi dalle elezioni in Iraq, il panorama politico iracheno in generale e sciita in particolare è stato attraversato da un lampo. Quanto a ciel sereno è complesso da definire, ma sempre di lampo si tratta.
Moqtada al-Sadr, leader sciita iracheno filo-iraniano, ha annunciato domenica 16 febbraio scorso il suo ritiro dalla politica. Nell’attuale Parlamento di Baghdad, il partito di Sadr contava su quaranta deputati, dieci dei quali hanno già seguito il loro capo dimettendosi.
Per il mondo sciita, un colpo a sorpresa. Nouri al-Maliki, premier iracheno in cerca del terzo mandato, vede più o meno spianata la strada per la vittoria, mentre gli sciiti più radicali si ritrovano senza bussola politica.
Perché Moqtada si ritira? Le mosse del giovane leader, erede di una famiglia di grandi tradizioni teologiche, hanno sempre avuto nella sorpresa un ingrediente determinante. Di lui si inizia a parlare nel 2004, quando l’invasione Usa dell’Iraq inizia a mostrare tutta la sua fragilità. A fronte di centinaia di migliaia di civili iracheni che morivano, le forze di resistenza alla coalizione internazionale diventavano sempre più forti.
In gran parte elementi sunniti, legati al precedente regime, ma anche gli sciiti, dopo una serie di attacchi devastanti, iniziarono a organizzarsi per difendersi. Moqtada e il suo esercito del Mahdi si distinse per atti efferati, prendendo il controllo di Najaf e di altri luoghi santi dello sciismo in Iraq. La sua guerra era senza confini: contro gli occupanti, contro le milizie sunnite radicali.
Le operazioni Usa contro di lui furono violente, ma Moqtada sembrava in grado di resistere, fino a quando, quasi all’improvviso, con la stessa veeemenza con al quale incitava alla resistenza e all’autodifesa nel conflitto interconfessionale ordinò ai suoi di fermarsi, mutando in formazione politica la sua milizia. Partì per un primo viaggio di studio e ritiro spirituale a Qom, in Iran. Un altro periodo come quello che ha preceduto la sua ultima decisione.
E’ proprio in Iran che bisogna cercare la chiave dei comportamenti di Moqtada. L’ala sciita più pragmatica, che fa capo ad al-Maliki, non è amata a Teheran, ma l’elezione di Rohani ha cambiato l’atteggiamento in politica estera della Repubblica Islamica. Il predecessore di Rohani, Mahmud Ahmadinejad, aveva una visione molto più aggressiva del ruolo dell’Iran sullo scenario internazionale.
Con il ginepraio siriano da risolvere, con il Libano sull’orlo del vulcano, con i colloqui sul nucleare che paiono per la prima volta dar dei risultati, la sensazione è che la diplomazia iraniana non abbia interesse a sostenere la linea radicale in Iraq. Baghdad, da anni, non affrontava una stagione tanto sanguinosa. Puntare su un nuovo esecutivo al-Maliki, più pragmatico, sembra la soluzione più conveniente.
Tanto, in caso di necessità, Moqtada è pronto a cambiare ancora la sua posizione, magari tornando alla politica attiva in Iraq, come ha già dimostrato in passato.
Il suo ritiro dalla politica è una buona notizia per l’Iraq? Difficile dirlo adesso, perché la situazione è davvero fluida, ma di sicuro il voto in Iraq perde un protagonista particolare.