Ucraina: cosa succede in Crimea, tra propaganda etnica e retorica umanitaria. Qualche spiegazione
di Matteo Zola
da EastJournal
10 marzo 2014 – Questo articolo segue idealmente quello realizzato per fare il punto sulle motivazioni e conseguenze delle proteste a Kiev.
Riassunto dei fatti
Per il riassunto dei fatti, dalle prime proteste in Crimea alla pronuncia del parlamento locale per l’annessione alla Russia, si legga qui. Per una analisi dei fatti, si prosegua.
L’intervento russo è legale?
Nel 1921 la Crimea diventa una Repubblica socialista sovietica ed è solo nel 1954 che Nikita Krushchev la annette all’Ucraina, decisione osteggiata dalla popolazione che temeva di essere minoranza nella nuova repubblica. La scelta di Khrushchev rientra nella logica sovietica di unire all’interno delle repubbliche socialiste diverse componenti nazionali, al fine di impedire a ciascuna di emergere e mettere in discussione il potere di Mosca. Con l’annessione della Crimea, a maggioranza russofona, l’Ucraina si trovava così divisa a metà tra popolazione russa e ucraina.
Nel 1991, all’indomani della caduta del regime sovietico, un accordo tra Kiev e Mosca sancì la permanenza della Crimea all’interno dello stato ucraino. Nel 1992 la popolazione della Crimea votò per l’indipendenza ma alla fine il governo locale decise di restare parte dell’Ucraina pur con uno status di “repubblica autonoma”. L’Ucraina, tuttavia, non è uno stato federale e la Crimea non ha mai goduto di effettive autonomie. Essa è parte integrante dello stato ucraino: una richiesta di secessione non avrebbe nessuna legittimità legale, così come Mosca non può rivendicare il possesso della Crimea dopo aver firmato con Kiev un accordo in senso contrario nel 1991.
L’accordo del 1991 prevedeva che la flotta da guerra della marina russa potesse rimanere ancorata a Sebastopoli, ed è stato recentemente rinnovato fino al 2042. L’esercito russo, secondo gli accordi, non può uscire dalle basi: farlo sarebbe un atto di guerra. Il nuovo potere di Kiev ritiene valido l’accordo e la presenza della flotta russa a Sebastopoli non è stata messa in discussione dal nuovo governo.
Nel 1994 Stati Uniti, Russia, Regno Unito e Ucraina firmarono il Memorandum di Budapest che sanciva l’inviolabilità della sovranità ucraina e vietava qualsiasi azione di coercizione economica e militare da parte dei firmatari atta a sottomettere il paese. Tale accordo non fu mai rispettato nella sostanza: Mosca ha sempre tenuto Kiev nella sua orbita con la minaccia del gas (coercizione economica) e dal 2004 ha distribuito passaporti russi ai cittadini ucraini di lingua russa, in Crimea come nel Donbass, a est del paese (ingerenza politica).
Di ingerenza politica sono in certa misura responsabili anche gli Stati Uniti che, almeno dal 2004, hanno manifestamente finanziato – attraverso una rete di organizzazioni non governative e fondazioni – i movimenti di opposizione al regime di Yanukovich.
In ogni caso l’accordo di Budapest è oggi carta straccia.
Gli argomenti di Mosca
Mosca usa tre diversi argomenti:
1) ”le truppe paramilitari non sono russe, non obbediscono al Cremlino. Sono milizie di autodifesa” – formalmente può essere vero ma è evidente che rispondono agli interessi di Mosca. Non solo: gruppi spontanei di autodifesa non potrebbero avere quel tipo di capacità organizzativa e armamenti, né una preparazione militare sufficiente.
2) “a Kiev è andato al governo un potere fascista il cui ultranazionalismo è un pericolo per i cittadini di origine russa” – esiste nella protesta di Kiev una “anima nera” rappresentata da gruppi ultranazionalisti. Nel governo essi ricoprono alcune cariche, benché marginali. È impossibile dire, al momento, quale sarebbe la linea di governo verso le minoranze non ucraine. Tuttavia parlare di “fascismo” è retorico e fuori luogo e testimonia la volontà del Cremlino di dare un connotato ideologico alla sua operazione. Il governo rappresenta tutte le forze dell’opposizione, tra cui gli ultranazionalisti, ma non è guidato da loro. È sbagliato prendere una parte per il tutto. È però un fatto che la legge a tutela delle minoranze sia stata cancellata dal nuovo parlamento.
3) ”Mosca ha il diritto di difendere la popolazione russa” – un diritto che si fonda su un abuso. In Crimea i russofoni sono davvero cittadini russi, poiché hanno il passaporto russo, ma questo è stato concesso senza un accordo con le autorità di Kiev. È evidente oggi come Mosca stesse – con quella mossa – preparando il terreno. Inoltre la popolazione russa in Crimea è poco più della metà del totale (58%, secondo il censimento del 2011).
La risposta occidentale
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea ne usano sostanzialmente una:
1) “la Russia ha stracciato tutti i trattati esistenti e tutte le regole del diritto internazionale, deve ritirare le truppe e riconoscere la legittimità delle aspirazioni di libertà del popolo ucraino” –
Nella forma è corretto, nella sostanza non si può però dimenticare che il bombardamento di Belgrado e del Kosovo, come la guerra in Libia, furono condotte dalla Nato senza avallo Onu. E la guerra in Iraq fu motivata con prove poi rivelatesi false, costruite ad arte da Washington. Le argomentazioni usate allora non furono dissimili da quelle usate oggi da Mosca: c’erano governi dittatoriali e popolazioni da proteggere. Intervento umanitario, insomma, come quello messo in campo oggi dal Cremlino. Disse Montanelli che “ogni diritto ha il suo rovescio” e il concetto di “bellum iustum” è facile da piegare ai propri interessi.
In tutto questo l’Unione Europea ricopre un ruolo marginale: i paesi che la compongono non hanno la stessa opinione sul da farsi e, al di là dell’accordo di associazione già proposto, non hanno molto da offrire. Certo anche l’UE ha fatto la sua “propaganda” insistendo sull’europeismo delle proteste anche quando era evidente che non lo erano. Ma oltre a questo, non è l’eminenza grigia che l’altra propaganda, quella anti-europeista, vuole descrivere. La recente intercettazione tra la Ashton e il ministro degli Esteri estone conferma l’estraneità di Bruxelles dalle vicende ucraine, al punto che Ashton ha dovuto farsi informare dal ministro estone su quanto accedeva in quelle ore a Kiev.
La pericolosa propaganda etnica
Mosca insiste sulla tutela della popolazione russa di fatto calcando la mano sulle differenze “etniche” tra due gruppi che vengono presentati dalla retorica del Cremlino come contrapposti e irriducibilmente diversi. Non è vero. Se guardiamo ai morti durante le manifestazioni di Kiev, c’era chi veniva dalla Crimea e chi da Donetsk, anche se per ovvie ragioni la maggior parte erano cittadini di Kiev. Inoltre non esiste una linea di demarcazione culturale netta: molti ucraini sono di religione ortodossa, come i russi. Altri di confessione uniate (una fede di rito orientale ma di dottrina cattolica) a testimoniare come l’Ucraina sia un ponte tra oriente e occidente europeo. Anche linguisticamente gran parte della popolazione parla surzhik, un misto di vocabolario russo combinato con la grammatica e la pronuncia ucraina.
Nel caso della Crimea poi si dimentica come solo poco più della metà della popolazione sia russa (58%), seguita da ucraini (24,4%) e tatari (12,1%). Questi ultimi sono gli unici abitanti autoctoni della regione, in buona misura scacciati dalle loro terre durante la russificazione forzata avvenuta a metà dell’Ottocento e deportati in Asia centrale da Stalin nel 1944. Sorte che condivisero con una minoranza italiana, tutt’ora presente nella penisola. Insomma, lo slogan “la Crimea è Russia” non dice il vero.
La retorica occidentale e la diplomazia divisa
Come non dice il vero nemmeno la pelosa retorica del campo occidentale, fondata sul diritto alla libertà del popolo ucraino: anche quelli che manifestano a Kharkiv contro l’attuale governo, e hanno votato per Yanukovych alle scorse elezioni, sono cittadini ucraini. Non si è ancora certi che il nuovo corso rappresenti davvero le aspirazioni di tutto il popolo ucraino. E questo parlamento, va ricordato, è lo stesso che votò le leggi repressive contro i manifestanti di piazza Indipendenza volute da Yanukovych. Finché non si andrà a votare, il parlamento resta quello.
La situazione è quindi assai più complessa di come certe retoriche la dipingono. Il potenziale esplosivo c’è tutto e le opposte propagande confondono. La diplomazia internazionale è all’opera in queste ore per trovare una soluzione. Germania e Italia fanno cospicui affari con il Cremlino, specialmente con Gazprom (colosso energetico pubblico russo). La Gran Bretagna è pronta a un accordo e gli Stati Uniti non sembrano disposti a infilarsi in questo ginepraio. L’opzione di una spartizione dell’Ucraina, di cui si parla ormai da dieci anni, si sta facendo sempre più concreta.
Conclusioni
In mezzo a tante retoriche è bene guardare alla vicenda ucraina con una buona dose di realismo politico. Un realismo che vede due “blocchi” contrapposti desiderosi di mettere le mani sulla preda ambita: della libertà degli ucraini o della sicurezza dei russi, non importa né a Mosca né a Washington. Come abbiamo più volte detto, l’Ucraina è fondamentale per la volontà di potenza russa, ed è per questo che Washington è interessata a spostarla nella sua orbita di influenza.
Tuttavia Mosca non accetterà facilmente una Ucraina di campo occidentale, magari con basi Nato a poche centinaia di chilometri dalla capitale.
Nell’era moderna il dominio non si esercita solo con le armi: l’Ucraina è un paese in bancarotta. Il Fondo monetario internazionale è pronto a elargire prestiti che saranno condizionati, come è la regola, da precise scelte politiche che Kiev dovrà operare. Scelte non meno “invasive” di quelle che avrebbe dovuto fare accettando il denaro russo. Tra la padella e la brace, gli ucraini saranno comunque cotti e mangiati.
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