Il Senato ha approvato un ddl che vuole introdurre il reato di tortura nell’ordinamento italiano. Ma che definisce la tortura come un reato generico, e non come reato specifico del pubblico ufficiale. Una differenza sostanziale, come mostra il caso di Bolzaneto
di Alessandra Fava
10 marzo 2014 – Tortura. Chi tortura? Chi può esercitare qualche forma di potere. Questi due concetti lapalissiani non sembrano appartenere al nostro legislatore, che trovandosi a fare una legge sul reato di tortura, cerca di ovviare alla definizione stessa del reato. Nella legge italiana che dovrebbe ottemperare alle numerose indicazioni delle Nazioni Unite e varie associazioni, fra cui Human Rights Watch, tortura diventa un reato comune con pene da 3 a 10 anni di carcere. Se lo fa un appartenente a forze di polizia è solo un’aggravante (da 5 a 12 anni di carcere) e si configura in ”più atti di violenza e minaccia”: quindi se uno violenta una volta sola o minaccia una volta sola, il reato di cui è responsabile potrebbe anche non essere tortura. Si rischia 30 anni solo se la vittima muore. Il testo ora passerà alla Camera, ma intanto ha avuto una ridda di critiche sopratutto perchè cerca di dribblare il concetto di abuso di potere da parte di polizie.
Se si rimane sul vago non si arriva al punto. Quindi è meglio partire da un esempio pratico, se non bastassero i casi Cucchi e Aldrovandi. Nel 2001 a Genova centinaia di manifestanti furono arrestati nei tre giorni del summit. La stragrande maggioranza passò dalla caserma di Bolzaneto, un luogo nella Valpolcevera a Genova, che in teoria era adibito a centro di identificazione e smistamento dei fermati verso le carceri del Nord Italia (Pavia, Tortona eccetera). A partire dal lunedì dopo il G8, invece, quelli che uscivano dalle carceri, con fogli di via se stranieri e denunce di vario tipo se italiani (dalla resistenza all’associazione a delinquere per quelli fermati la notte della Diaz), cominciarono a denunciare una situazione intollerabile a Bolzaneto. Nella requisitoria dei pm Paola Petruziello e Vittorio Ranieri Miniati nel febbraio 2008, scorrevano una ridda di schiaffi, botte, minacce di sodomizzazione, piersing strappati, una mano divaricata, canti fascisti, gas urticante spruzzato in faccia alla gente dalle finestre ai danni di oltre 200 persone. Ci fosse stato il reato di tortura forse sarebbe stato applicato, anche se i magistrati avevano dei dubbi rispetto al protrarsi dell’azione nel tempo.
Bolzaneto è stata una delle pagine più nere di quegli anni. Se alla Diaz il massacro era stato in qualche modo mediatizzato, di Bolzaneto non abbiamo mai avuto un’immagine e perciò sapere che c’era un ‘Comitato d’accoglienza’ che nel piazzale appellava molte ragazze con frasi come ‘’entro stasera vi facciamo tutte’’ o ‘’bisogna fare come in Kosovo’’, e marchiava la gente come fossero bestie col pennarello, non dovrebbe rassenerare i cittadini del regno.
Nelle celle c’era chi veniva tenuto in punta di piedi, chi con le braccia alzate per varie ore e spesso picchiato con ‘’manganelli, schiaffi, pugni, pugni guantati, calci, colpo sulla nuca per far sbattere la fronte contro il muro, tanto è vero che parecchi testimoni hanno ricordato di avere visto macchie di sangue sui muri della cella più o meno all’altezza delle teste’’, ha detto il pm nella requisitoria.
Nell’infermeria i ‘’piercing venivano rimossi ma in maniera brutale e con minacce, oppure davanti ad altre persone’’, ha scritto Petruziello rimarcando ‘’il caso della ragazza con il piercing vaginale, obbligata a rimuoverlo con le mestruazioni davanti a 4-5 persone’’ oppure uomini minacciati di sodomizzazione (“carino il comunista, ce lo facciamo?”). Qualcuno è stato ustionato con un accendino, ad altri hanno tagliato ciocche di capelli e via di seguito. Se non erano torture queste…
Nel novembre del 2008 furono rese note le motivazioni della sentenza di primo grado. In sostanza il reato di abuso d’ufficio doloso, che i pm avevano escogitato per trovare qualcosa di vicino alla tortura, fu attribuito a un solo imputato perchè per gli altri non si poteva provare – dicevano i giudici condannando a luglio 15 imputati a 23 anni e 9 mesi, assolvendone 30 quando i pm avevano chiesto 76 anni e rotti per 44 dei 45 accusati – che ci fossero la coscienza e la volontà di nuocere al fermato.
Il Tribunale presieduto da Renato Delucchi ammetteva che c’erano stati insulti e percosse; posizioni vessatorie nel cortile e nelle celle; schiaffi e calci, sputi, percosse in tutte le parti del corpo, compresi i genitali; spruzzi di sostanza urticanti, urla fasciste, il taglio forzato dei capelli avvenuto in infermeria o la marchiatura sulla guancia e che quindi ‘’l’elenco delle condotte criminose poste in essere in danno delle persone arrestate o fermate transitate nella caserma di Bolzaneto nel giorni compresi tra il 20 e il 22 luglio 2001 consente di concludere, senza alcun dubbio, come ci si trovi dinanzi a comportamenti che rivestono, a pieno titolo, i caratteri del trattamento inumano e degradante’’. Ma in un centinaio di pagine su un totale di 450, ricordavano che la responsabilità penale è personale; che il reato di abuso d’ufficio non può essere messo in correlazione con quello di abuso d’autorità contro arrestati e che per molti imputati manca la certezza che volessero o capissero di procurare un dolo al fermato. Le sentenze su Bolzaneto raccontano l’imbarazzo dei giudici. Com’è finita in Cassazione lo sappiamo: in pratica nel giugno 2013 sono stati condannati in 7, la pena più grave è stata comminata al poliziotto che ha divaricato la mano al manifestante, per gli altri noccioline.
Ora arriva la legge che cerca di ignorare che comportamenti non leciti avvengono quotidianamente, da qualche parte, nelle carceri, nelle caserme, nei commissariati, nei Cpt. ”Il testo passato al Senato pecca soprattutto in un punto, laddove definisce la tortura come reato generico e non come reato specifico del pubblico ufficiale – commenta Lorenzo Guadagnucci del Comitato Verità e Giustizia, giornalista, parte lesa al processo Bolzaneto – E’ una differenza sostanziale, perché svuota l’effetto deterrente che una legge del genere deve avere. Gli agenti devono sapere che l’abuso sui detenuti o su persone momentaneamente provate delle libertà è un reato odioso e insopportabile per chi veste una divisa e rappresenta lo stato. Non un reato qualunque con una semplice aggravante se commesso da un agente”.
”Il brutto testo approvato nei giorni scorsi – dice ancora Guadagnucci – è frutto di precise pressioni esercitate in questi anni dai vertici delle forze dell’ordine, che hanno sempre considerato l’eventualità di una legge ad hoc sulla tortura come un’offesa, quasi un atto d’accusa. Quando è vero l’esatto contrario: una legge severa e intelligente può essere un ottimo strumento di formazione, persuasione e correzione”.
Anche l’Unione delle camere penali dice che la legge è sbagliata: ”La circostanza dell’introduzione per la prima volta nel nostro ordinamento del reato di tortura é attesa da trent’anni – dicono – ma, non é meno vero che la soluzione che si sta delineando appare debole e contraddittoria. Dovrebbe essere un reato proprio del pubblico ufficiale, come per altro prescritto dalla Convenzione della Onu fin dal 1984 – commenta l’associazione degli avvocati penalisti – Viceversa il testo approvato al Senato introduce la fattispecie come reato comune aggravato nel caso in cui sia commesso dal pubblico ufficiale. Questo é un grave errore ed una soluzione pasticciata, anche perché in questa maniera la condotta prevista finisce per sovrapporsi a quelle prese in considerazione da altri reati già esistenti”. Ora stiamo a vedere che cosa succede in Parlamento.
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