11-M, dieci anni fa

«Bomba! Bomba!».
La voce di Marta è quasi un grido mentre bussa alla porta della mia stanza. È l’11 marzo del 2004. Sono le otto del mattino. Fra tre giorni si vota in elezioni che vedono favorito il Partido popular di José Maria Aznar, al suo secondo mandato con maggioranza assoluta, contro un volto nuovo dei socialisti, José Luis Rodriguez Zapatero.

di Angelo Miotto

Vamos bien, vamos a mas, dice la campagna elettorale martellante della destra, che ormai ha consolidato in otto anni un sistema di potere politico, economico e giudiziario capillare.
«Bomba!» Picchia ancora forte Marta sulla porta, mentre gli occhi corrono alla sveglia, cerco di oltrepassare la barriera del sogno e di capire in quale realtà mi trovo catapultato. È una settimana che giro la Spagna, dalla Catalogna ai Paesi Baschi, lasciando per ultima Madrid, per seguire gli utlimi comizi e lo spoglio in diretta, dalla sede del Partido popular.

11195250000_60600040

Bomba, Eta. Il riflesso è immediato e mi alzo veloce. La radio, accendo la radio, sono flash in continuazione una, due esplosioni, treni de cercanias, pendolari. La televisione è accesa in sala, Marta e Claudia in pigiama, Joli è già verso il lavoro? Sta bene, come stanno i familiari di Marta? Si attacca al telefono, i cellulari sono saltati, le linee sono fuori uso. Maglia, giacca, pantaloni, registratore, zaino e scarpe, tallonite fottuta, zoppico, il telefono suona, è la radio, primo collegamento, con i dati della diretta, ma adesso devo andare, devo raggiungere Atocha, la stazione. No Atocha è coperta c’è Carlo e trasmette da una cabina del telefono, io vado verso il parlamento.

Le strade sono deserte, sirene, ambulanze. Zoppico altri quattrocenti metri, ingoio un antidolorifico, fermo un tassista. Intanto telefono, i miei contatti, Paesi baschi. Poche parole, ancora grande incertezza. Sento Giovanni ragioniamo sui dati: tre giorni dalle elezioni, treni pendolari, lavoratori che arrivano in città, bombe che esplodono a poco tempo una dall’altra. Una strage. Sono anni che raccontiamo attentati e studiamo comunicati di Eta. Non ci sta, non ci sta proprio. È la prima sensazione, corroborata da anni di esperienza e studio e la raccontiamo in radio, mentre in ogni notiziario aleggia sempre più insistente la notizia della colpevolezza dell’organizzazione armata basca.

Carlo continua con le interviste, è un macello, il Samur allestisce ospedali da campo, gente sotto shock, immagini, paura. Panico, si respira panico. Ecco gli statuari leoni delle Cortes, sono arrivato scendo, sui gradini incontro una senatrice, che diventerà vice presidente del governo una setimana dopo. È costernata, non sa cosa dire, mi annuncia un presidio silenzioso dei parlamentari davanti alla porta dell’emiciclo, in segno di lutto e di presenza. Intanto vado dalla parte opposta, dove ci sono i gruppi parlamentari. Proprio quel giorno avevo appuntamento con i rappresentanti del Partido popular, sono già registrato, entro.

C’è confusione, un gran via vai di persone, sembra un formicaio impazzito. La sicurezza è saltata,posso andare dove voglio, nessuno chiede chi sei e cosa fai lì. Entro nell’ufficio del Partido popular, stanno guardando un foglio, un dispaccio, c’è il responsabile e per la prima volta sento l’ipotesi islamica sulle labbra dei funzionari presenti, mentre il responsabile va via con il suo dispaccio dentro la valigia.

Altre telefonate, fonti amiche e autorevoli. Non è opera di Eta, assicurano. Poco dopo la smentita per bocca di Arnaldo Otegi, portavoce di Batasuna. Ma adesso si temono le reazioni. La radio. Le accuse all’Eta si fanno sempre più convinte, i condizionali iniziano a scomparire, la televisione pubblica sta accelerando e dà la cosa ormai per certa. Arrivano le edizioni straordinarie dei quotidiani nelle strade.  El Pais: Matanza de Eta en Madrid. È il primo quotidiano di Spagna, il gruppo Prisa, quello più forte per radio e giornali. La linea è data. Gli altri giornali, della destra, stesso taglio.

elpais11M-1

Solo alcune settimane dopo sarebbe stato svelato il retroscena, con una telefonata fra il direttore del quotidiano progressista e il premier Aznar che dava ampie rassicurazioni sulla paternità etarra dell’attentato. Uno dei più grandi errori della testata storica spagnola, come riconoscerà il direttore di allora Jesus Ceberio. C’è di più: le Nazioni Unite votano a tempo record una condanna degli attentati menzionando nel testo direttamente Eta, quando ancora non era chiaro il quadro dei reperti, l’analisi dell’esplosivo, la dinamica. A priori.

Un comunicato spinto dal governo Aznar in sede diplomatica, come il telegramma che venne girato alle ambasciate di tutto il mondo: “aprovechar aquellas ocasiones que se le presenten para confirmar autoría de ETA de estos brutales atentados, ayudando así a disipar cualquier tipo de duda que ciertas partes interesadas puedan querer hacer sugiren torno a quien está detrás de estos atentados“. Firmato dalla ministra degli esteri di Aznar, Ana Palacio. La nota suggeriva: “acudir a los medios para exponer estos hechos“. La grande menzogna, la gran mentira, aveva ormai iniziato il suo corso.

Mentre il governo intensifica il suo messaggio contro Eta con l’occhio alle elezioni che lo aspettano entro poche ore, telefono a un vecchio amico, ottima fonte, contatti in Izquierda unida e in altre formazioni di sinistra non solo partitiche. Vienimi a trovare, dice. Mi precipito nella sua casa bunker. Hanno trovato una cassetta a nastro ad Alcalà de Henares, mi dice. Su un furgone. Il furgone su cui viaggiavano gli attentatori. La cassetta contiene registrazioni del Corano. È la pista del fondamentalismo islamista, quella che circolava nella sede del Partido popular già alle 10 del mattino, ma che è stata messa nel cassetto, puntando tutto sulla menzogna elettoralmente più facile da gestire.
La notizia di Alcalà inizia a circolare, iniziano a intravedersi le prime crepe sollevate già in mattinata dallo stesso  Otegi.

resizer.php

Solo molto tempo dopo alcuni prigionieri politici baschi mi raccontarono cosa stava accadendo in quegli stessi minuti dentro le prigioni. Le celle dei prigionieri baschi vennero lasciate aperte, mentre la filodiffusione interna alternava, in molti istituti di pena, marcette franchiste a insulti e messaggi d’odio contro Eta, con la possibilità di aggressioni all’interno delle stesse celle. Le notizie da fuori davano i numeri di un vero e proprio massacro: 197 morti e migliaia di feriti; donne, ragazzi, lavoratori. Uno dei prigonieri mi raccontò che quel giorno si chiuse in cella, la porta accostata, dopo aver preso il manico di una scopa di legno, sfregandolo fino a farlo diventare appuntito, con le lenzuola intorno al corpo per evitare colpi e attutire eventuali attacchi all’arma bianca. Loren, si chiamava, si era rintanato in fondo alla cella e aspettava che la porta si aprisse, perché «Almeno qualche figlio di cagna me lo sarei portato dietro prima che mi ammazzassero”.

Il giorno dopo, 12 marzo, la grande manifestazione. Madrid era immobile, una marea umana, difficile camminare, farsi largo. La prima sorpresa nei cartelli, decine di cartelli fatti a mano, con pennarello e cartoni. Quien ha sido? Chi è stato?

Pelle d’oca lungo un corteo interminabile con la rabbia della gente, delle persone, dei cittadini che non avevano bevuto la grande menzogna. Era la fine dell’aznaridad, come la chiamava Manuel Vázquez Montalbán, ma le elezioni erano lì a 48 ore. Il giorno dopo, sabato 13, giornata del silenzio elettorale.
Quando iniziò a girare quel famoso Sms, 140 caratteri: “¿Aznar de rositas? ¿Lo llaman jornada de reflexión y Urdaci trabajando? Hoy 13M, a las 18h. Sede PP, C/ Génova 13. Sin partidos. Silencio por la verdad. ¡Pásalo!”. Un Sms che farà un pezzo della storia della comunicazione orizzontale, mentre Alfredo Urdaci, direttore dei servizi di informazione della televisione di stato, continuava a trasmettere a favore del suo dominus Aznar, propagando la menzogna sugli attentati.

1240586589079

Calle Genova, dove c’è la sede del Partido popular, era piena di gente. «Corri è un casino!”, mi aveva detto Carlo. Taxi da Toledo fino a Colon e poi i primi manifestanti, rotoli di carta igienica dispiegati lungo la strada con scritte, cartelli, urla. Una vera e propria manifestazione, mentre dal resto di Spagna, via radio, sentivo che anche nelle altre città le sedi della destra venivano presidiate con la rabbia per la menzogna, per le falistà, per il dolore. Dentro il palazzo i responsabili di un partito il cui capo si era fatto scattare una foto sorridente alle Azzorre, nel 2003 Lui, George W.Busch e il premier britannico Tony Blair. Saluti per l’Iraq. Ma la cartolina era tornata tragicamente indietro.

Atocha al lume di candela. Sono tornato alla stazione. Lumini rossi, centinaia, fiori, bigliettini, messaggi, in quell’aria rarefatta di tristezza, ma ache solidarietà che succede spesso dopo un evento così indicibile dentro una grande comunità di cittadini. E poi il voto. Zapatero e un ricordo di una analisi che veniva detta da più parti: cittadini, politologi, sociologi. La cappa, quell’oscura e pesante cappa di otto anni di potere incontrastato di Aznar, andava in fratumi. Come l’ultima scena di Blade Runner.

Dieci anni dopo, sembra incredibile, c’è da segnalare che la destra non ha mai smesso nemmeno a processo compiuto e autori arrestati e individuati, di sostenere connivenze di Eta con gli autori della strage. È un grumo pericoloso e profondo che non si arrende di fronte alle evidenze nel rispetto delle direttive della peggior propaganda di regime: ripeti la tua versione  falsa, finchè diverrà realtà.

È uno dei temi ancora attuali nella Spagna contemporanea. Non tanto per discutere di Atocha 2004 e dell’11-M, perché la storia ha detto tutto quel che si voleva sapere.
Ma perché dimostra che quel grumo è vivo e vegeto e risponde a dinamiche poco trasparenti, sotterranee,sopravvivendo a due mandati socialisti.

Non potremmo chiudere questo ricordo con le altre due vittime dell’11M, quelle legate alla propaganda della destra e alla repressione: Ángel Berrueta Legaz, aveva 61 anni, panetterie nel quartiere San Juan a Pamplona, Navarra. Eramembro di Gurasoak, una associazione di genitori a difesa dei figli accusati di kale borroka, guerriglia urbana. Il panettiere non volle accettare di affiggere un cartello che responsabilizzava degli attentati Eta, era il 13 di marzo. Valeriano de la Peña, agente della policía nacional andò a cercarlo con il figlio. Il giovane lo accoltellò e il padre, con la pistola di ordinanza, gli scaricò quattro colpi a bruciapelo.

Schermata 2014-03-10 alle 17.13.44

Due giorni dopo, il 15 marzo 2004, in una manifestazione della sinistra basca a Hernani, in cui si denunciava l’assassinio del panettiere,  la polizia autonoma caricò i manifestanti. Fra questi c’era Kontxi Sanchiz, una donna di 58 anni, che morì letteralmente di spavento, per un infarto.

associatibig

.



Lascia un commento