Condiviso non è letto

Il web delle pagine viste e dei click è morto, o comun­que è sem­pre più pros­simo ad esserlo, i cri­teri di valu­ta­zione, di attri­bu­zione di valore sin qui adot­tati devono essere inte­grati, o addi­rit­tura sosti­tuiti, con para­me­tri che siano com­pa­ra­bili con altri medium e, soprat­tutto, che siano fon­dati mag­gior­mente su aspetti qua­li­ta­tivi e meno su quelli quan­ti­ta­tivi. E’ que­sto il lavoro sul quale con­cen­trarsi

Pier Luca Santoro, il Giornalaio
Data Media Hub

12 marzo 2014 – Tony Hayle, CEO di Chart­beat, ha pub­bli­cato durante il wee­kend un pezzo su «Time» che fa un’ottima sin­tesi su quali siano le metri­che di valore e quali no.

L’articolo: “Quello che pensi di sapere sul Web è sba­gliato” spa­zia dal native adver­ti­sing, ripreso da Peter Kafka su Re/code, che par­rebbe avere risul­tati deci­sa­mente infe­riori alle aspet­ta­tive, alle pagine viste, foca­liz­zan­dosi su quello che, come sostengo da tempo, è il para­me­tro di mag­gior valore ed inte­resse: il tempo speso sulla pagina, nel sito.

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Tra le altre cose, dai dati basati sull’esame di 10mila arti­coli con­di­visi sui social, emerge che non c’è alcun rap­porto tra quanto un pezzo di con­te­nuto è con­di­viso e la quan­tità di atten­zione che un let­tore medio darà quel contenuto.

Se l’engagement, a pro­po­sito di tempo e del suo valore, fosse misu­rato, come dovrebbe essere, in base al time spen­ding, si attri­bui­rebbe molto più valore ai com­menti — tanto bistrat­tati e sot­to­va­lu­tati — che non ad azioni più mec­ca­ni­che quali like/retweet/condivisioni.

Le con­di­vi­sioni sono impor­tanti poi­chè creano pas­sa­pa­rola, brand aware­ness, ma non sono una dimo­stra­zione dell’effettiva let­tura di un arti­colo. Pos­sono, anche, essere sem­pli­ce­mente desi­de­rio di auto-proiezione del sè nei con­fronti della pro­pria cer­chia sociale online.

Con­di­viso NON è letto.



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