Morto, dopo quasi un anno di coma, un ragazzo ferito durante l’insurrezione di Gezi, Istanbul reagisce con rabbia
di Christian Elia, da Istanbul
Dicono che l’anima pesi 21 grammi. Quelli che si perdono nel momento di spirare. Non si può sapere con certezza. Una certezza è che quando Berkin Elvan è morto, a Istanbul, ieri 11 marzo 2014, pesava solo 16 chili.
E’ morto a 15 anni, ma il suo mondo si è fermato quando ne aveva solo 14, 269 giorni fa. Colpito alla testa da una granata lacrimogena ed entrato in coma. Erano i giorni della rivolta di Gezi Park, la battaglia delle tante voci della Turchia che cantavano unite contro un obiettivo: il governo.
La comunità LGBT, gli ultras del calcio, aleviti, armeni, curdi, kemalisti, i movimenti per i beni comuni, gli islamisti contro il capitalismo e tanti altri ancora. Come cittadini, prima che come militanti, come persone prima che come membri di una comunità.
Dalla fine di maggio a metà giugno, conquistando e tenendo il parco della piazza Taksim, un presidio di alberi, contro il mostro famelico della speculazione, della gentrification, del mutamento urbano in senso commerciale e non più umano.
Berkin con la maglietta del Besiktas, Berkin che sorride in mille e mille poster e adesivi, in città. Berkin che ti guarda e ti sorride. Continua a sorridere, come se non si fossero presi la sua vita.
In poche ore, appena dopo la diffusione della notizia della morte del ragazzo, parte il frenetico tam tam dei social media. I ragazzi di VideoOccupy e tutti gli altri. La via Istiklal , che porta a Taksim, è sempre presidiata. Ma oggi la polizia, come già in occasione delle manifestazioni per l’8 marzo, blocca la strada e forma un muro.
Un corteo li fronteggia, senza paura: bandiere dei partiti della sinistra, bandiere dell’HDP, nuova piattaforma nata tra partiti di sinistra e dei curdi, avanzano con vecchi e giovani, ragazze velate o meno. I più preparati con maschere anti-gas e caschetto. Urlano ‘’Erdogan assassino”, “Berkin vive”.
Le notizia girano veloci: altri movimenti a Besiktas, a Kadikoy, di fronte all’ospedale dove è morto il ragazzo. La repressione è rabbiosa: cariche, cannoni ad acqua che quando ti colpisce in un occhio è urticante, come gli spray, che gli agenti portano come dei disinfestatori. Ma non ci sono insetti, di fronte a loro. Ci sono persone, rabbiose. Per un ragazzo che è morto, per una protesta che non finisice.
Perché incontri gli ottimisiti e i pessimisti, perché oltre Gezi c’è tutto un paese, che non è tutto compatto. Ma non c’è nessuno che non ti dica che quel movimento ha cambiato le cose per sempre. Il modo di fare politica, anche se è da costruire, come il modo di sentirsi uniti.
Gli scontri continuano, in un clima surreale. Attorno e in mezzo, come nulla fosse, la vita scorre. Un turista spiega a un altro che son ”quelli di Gezi”, un uomo appena uscito dal lavoro cammina lungo il muro dove un minuto prima un poliziotto ha tirato un lacrimogeno, nei bar convivono e si mescolano avventori annoiati e dimostranti quasi soffocati dai gas.
Berkin, ieri, si è unito alle altre vittime di Gezi. E’ passato un anno, ma non cambia niente. Oggi, al funerale, saranno in tanti. Arrabbiati. Diversi, ma per ora uniti. Con un sorriso tra le lacrime dei gas, con un limone che ti arriva da mani sconosciute, con un bar che ti accoglie per proteggerti. Non è tutto uguale, non sono tutti d’accordo, non ci sono i numeri di un anno fa.
La sensazione, però, è che tutto un mondo fatto di mille anime differenti, reagisca come una comunità che piange un fratello. Strade differenti, ma che portano a Gezi e a quello che ha significato. La polizia carica, si scappa nei vicoli, tirano ad altezza d’uomo, non amano foto e video. Di fronte a loro ognuno porta la sua storia, ma la condivide. Questo non finirà domani.
APPUNTI DI VIAGGIO: Il 31 maggio 2013 a Gezi Park la polizia attaccava il presidio contro le ruspe che ne dovevano fare un centro commerciale. La reazione è immediata e fino al 16 giugno 2013 in tutta la Turchia (79 province coinvolte) le dimostrazioni hanno infiammato il paese. Dopo lo sgombero della piazza, almeno fino ad agosto, le dimostrazioni sono andate avanti. Oggi il parco è ancora al suo posto. Le vittime degli scontri sono sette, ottomila i feriti, seimila persone indagate e duemila arrestate. Dati tratti da Associazione per i Diritti Umani (IHD) turca
Da ascoltare e da vedere: Grup Yorum, a Gezi. Un gruppo da sempre impegnato nelle lotte per i diritti, ha proclamato nei giorni scorsi uno sciopero della fame per protestare contro il governo.