PEPERONI: SECONDO NATURA

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Sono passati almeno 10 anni dall’uscita di ognuno dei film che rivisiteremo in questo spazio, eppure, nel bene o nel male, nulla pare essere cambiato. Pare che le tematiche siano più attuali del previsto. Dunque, si ripropongono, proprio come i peperoni. Speriamo solo di digerirli il prima possibile. [/note]

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/07/Schermata-2013-07-12-alle-14.20.02.png[/author_image] [author_info]Alice Bellini. Scrittrice, si laurea in cinematografia tra Londra e New York. Non è una critica di nulla, ma le piace dire la sua, sapendo che, comunque, la risposta a tutto è inevitabilmente 42.[/author_info] [/author]

13 marzo 2014 – La politica è un’attività che, nel pratico e nel teorico, dovrebbe condurre a un vivere positivo, nel bene di tutti e tutto, all’insegna di una giustizia equa e un’armonia di diritti e doveri altrettanto equi. Dunque la politica non è altro che l’attività che la natura ogni giorno incessantemente compie. Ed è il motivo per cui l’uomo, secondo natura, è un animale politico, o almeno dovrebbe, se non fosse ormai tanto snaturato.

Questo fatto che la politica venga vissuta ormai in maniera così schierata è una cosa buffa e altrettanto innaturale. Uno schieramento dogmatico, cieco e sordo, che non guarda in faccia altro che la definizione che campeggia sulla testa di ogni persona: “comunista”, “fascista”, “moderato”, “anarchico”, “di destra”, “di sinistra”, “qualunquista”. E così via. Son termini forti e buffi al contempo. Sensazionali, ma anche banali.

Perché lo schieramento, come accade per le squadre sportive, gli assolutismi, i tradizionalismi e gli integralismi, non ha nulla di profondo, nulla di forte, nulla di pensato, né tantomeno di armonico.

Pensare che avere un forte ideale politico significhi schierarsi nettamente con un partito e non schiodare mai, succeda quel che succeda, è semplicemente sbagliato.

Per parlarne in maniera più cinematografica, nel 2003 Paolo Virzì firma un peperone di tutto rispetto, dalle tonalità tenere e al contempo amare, che fa riflettere senza appesantire. Con un’Alice Teghil semplicemente impeccabile ad interpretare la pura protagonista, Caterina va in città racconta la storia di una ragazzina alla ricerca della sua identità alle prese con la disumanizzazione degli schieramenti e lo svuotamento che essi generano.

Perché nel momento in cui ci si schiera in nome di un aggettivo completamente fine a se stesso, allora ogni parte è uguale, combacia perfettamente. Comunista, fascista, moderato, anarchico di destra, di sinistra, qualunquista. E così via. Non fa più alcuna differenza, se non un mero estetismo, la convenienza di uno stereotipo piuttosto che un altro, la possibilità di potersi definire in qualche modo, un modo che pare comprato al supermercato insieme al latte e al pane, al giornale e al caffè. Un modo che probabilmente era in svendita, perché l’hanno acquistato cani e porci. Un modo che è un bene sia così economico e facilmente accessibile, perché farselo da sé è una vera fatica, ci si potrebbe mettere una vita.

E non è neppure l’esasperazione di chi uno di quegli aggettivi non è ancora riuscito a comprarselo ad avere la meglio su di loro. Perché a quel punto non è altro che la storia della volpe e l’uva, che disse che era acerba perché non era riuscita ad arrivarci. Ma probabilmente, se ci fosse arrivata, avrebbe largamente apprezzato. Perché a quella volpe un qualsiasi aggettivo sarebbe andato bene, pur di averne uno.

Così, tra l’amica zecca e quella fascista, la madre radical chic, il padre ministro e quello incazzato e arrivista, l’unica che abbia una vera identità politica, che mira a un bene umano e generale, suo e degli altri, senza badare a schieramenti e aggettivi, ma solamente a qualcosa di puro e onesto, alla continua ricerca di un’armonia sua e del mondo, è Caterina.

E mi piacerebbe se la realtà che mi circonda fosse popolata un po’ più di nomi propri e unici, e un po’ meno d’aggettivi. Che ognuno cercasse il suo personalissimo modo di essere, invece di continuare ad accettare comportamenti precotti. Che la politica fosse una ricerca di armonia e non un ottuso schieramento. Tornare ad essere animali politici, invece che animali schierati.



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